Vito Amato: tra palco e fiction. Premiato al Fashion Gold Party. Intervista

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Vito Amato: tra palco e fiction. Premiato al Fashion Gold Party. Intervista

Premiato al Fashion Gold Party – Summer Edition 2025 con un riconoscimento unico, realizzato a mano dal maestro vasaio vietrese Benvenuto Apicella, Vito Amato continua a farsi notare non solo per il talento, ma per l’umanità che porta in scena e fuori.
Sguardo pulito, approccio autentico e una passione viscerale per il teatro: Vito Amato, classe 2002, originario di Pompei, è una delle promesse più luminose della nuova scena attoriale italiana. Ha solo 22 anni, ma già un percorso artistico costellato di esperienze intense, come la formazione al Nuovo Teatro Sanità di Mario Gelardi e lo spettacolo Cuore Puro, tratto da un romanzo di Roberto Saviano, che lo ha portato in tournée nei teatri italiani.
Oggi il grande pubblico lo conosce per il ruolo di Mimmo Burgio ne Il Paradiso delle Signore, fiction amatissima di Rai 1, dove interpreta un giovane poliziotto siciliano diviso tra il senso del dovere e un cuore che non sa stare al suo posto. Lo ritroveremo anche nella decima stagione, in onda da domenica 8 settembre su Rai 1.
Ma a colpire di Vito non è solo la carriera promettente, quanto piuttosto lo sguardo curioso e quell’entusiasmo contagioso che lo accompagna ovunque. «Recitare è un gioco – racconta – e deve restarlo, anche quando diventa una cosa molto seria». In quest’intervista si racconta con spontaneità: dai sogni che rincorre, alla musica che lo ispira, passando per il teatro, il padel e la voglia di meravigliarsi ancora, come un bambino.


Vito, come abbiamo lasciato Mimmo alla fine della nona stagione del Paradiso?
«Il personaggio è stato lasciato da eroe, dopo il salvataggio del dottor Proietti in piazzetta, una scena action, bellissima da girare anche grazie agli stuntman. Ma Mimmo resta un eroe tormentato, pieno di conflitti interiori: il confronto e la rottura con suo padre Carmelo (interpretato da Enrico Lo Verso) lo hanno segnato profondamente. Lo ritroveremo quindi cresciuto, in un momento di svolta».
Hai detto che recitare, per te, è come guardare il mondo con gli occhi di un bambino. Che intendi?
«Sento di avere ancora questa capacità: mi stupisco e mi meraviglio facilmente. Credo sia fondamentale per un attore. Se perdi lo stupore, perdi anche il divertimento. Recitare, alla fine, è un gioco. Un gioco serio, ma pur sempre un gioco».
Qual è il set che più ti ha emozionato?
«Senza dubbio Il Paradiso delle Signore. La ricostruzione storica, i costumi, le auto d’epoca… è un po’ come entrare in un gigantesco parco giochi. C’è una cura pazzesca per ogni dettaglio, persino i capelli: io sono riccio, ma per il personaggio me li lisciavano tutti, tirati indietro alla perfezione!».


Mimmo è un personaggio con molte sfumature. Come lo hai costruito? Hai ricevuto indicazioni precise o hai lavorato in autonomia?
«Nel lavoro di ricerca sono stato lasciato molto libero, e questa è stata una grande fortuna. Il rapporto con i vari registi è stato un dare e avere continuo, sempre in ascolto reciproco, anche con gli altri colleghi. Il personaggio è venuto fuori poco a poco. Io avevo in mente una direzione, ne abbiamo parlato con gli autori, che mi hanno spiegato la sua evoluzione. Mimmo all’inizio appare con una scorza dura, un atteggiamento spigoloso, e in alcune scene ha esternato opinioni molto discutibili sul ruolo della donna. Questo è legato al contesto culturale da cui proviene: la Sicilia degli anni Sessanta, ancora fortemente patriarcale. Ma sotto quella corazza, piano piano, è emersa la sua vera natura: un ragazzo buono, puro, ingenuo, dolce e profondamente sensibile».
Hai partecipato a molti laboratori, anche molto diversi tra loro. Ce n’è uno che ti ha cambiato più profondamente?
«Ce ne sono due che porto nel cuore, ognuno in modo diverso. Il primo è il laboratorio Laborart, di Gragnano, dove ho mosso i miei primi passi. È lì che sono cresciuto, dove ho imparato le basi. L’altro è il Nuovo Teatro Sanità di Napoli, diretto da Mario Gelardi: con loro ho imparato a camminare davvero. Ho avuto la fortuna di andare in tournée nei teatri italiani con lo spettacolo Cuore Puro, tratto da un romanzo di Roberto Saviano. Un’esperienza che mi ha fatto capire quanto il teatro possa essere potente e necessario».
Parliamo dello spettacolo Cuore Puro che dovrebbe tornare in scena. Che ruolo interpreti e com’è stato avvicinarti a una materia così delicata? Hai avuto modo di confrontarti con Saviano?
«Per ora non sappiamo ancora con certezza se tornerà in scena, ma lo speriamo. Saviano è un po’ difficile da incontrare, però ci siamo sentiti: ha voluto scrivere personalmente a ciascuno di noi del cast, ci ha mandato dei messaggi molto belli. Il mio primo approccio al progetto è stato il confronto con Mario Gelardi, poi la lettura del copione, che è ispirato al romanzo ma si prende anche diverse libertà, com’è giusto che sia per esigenze teatrali. Dopo il copione, ho letto il libro. Il mio personaggio incarna la speranza. La storia è ambientata in una periferia napoletana non ben definita, dove tre ragazzi, che passano il tempo a giocare a pallone in una piazzetta, vengono reclutati da un guappo di quartiere per fare le vedette in una zona di spaccio. Il mio è l’unico personaggio che riesce a sottrarsi a questo destino, a non farsi inghiottire dalla spirale della camorra. Quando entri in contatto con certe dinamiche, uscirne è difficilissimo, quasi impossibile. Il mio personaggio rappresenta proprio quella possibilità, anche minima, di salvezza».
Quindi un personaggio positivo, un messaggio positivo.
«Sì, positivo. Però durante tutto lo spettacolo lo vedi sempre burbero, perché giustamente non si vuole rapportare a queste persone. Ci sono conflitti anche con gli amici, che lo portano a rompere queste amicizie e ad andare via. Lui va via, è l’unico che lascia Napoli, va a Parma e insegue il sogno del pallone. Gli altri due invece restano e hanno un destino un po’ più triste».
Saviano ha detto la sua sullo spettacolo?
«A Saviano è piaciuto molto. Gli hanno raccontato tutto i suoi avvocati e la sua assistente, che sono venuti a vederci. Ci ha fatto tanti complimenti. L’assistente è stata entusiasta e ha portato anche i figli, che hanno apprezzato molto il progetto».


Hai detto di amare il vintage. Se potessi vivere un giorno in un decennio passato, quale sceglieresti e perché?
«Gli anni Ottanta, senza dubbio. A Napoli in quegli anni c’era tantissima energia artistica: uscivano i film di Troisi, Pino Daniele era nel pieno della sua carriera... Quegli anni avevano un’atmosfera speciale».
Ami le sfide. Qual è quella che ti sei posto da quando hai iniziato questo mestiere?
«Ho iniziato a lavorare solo dall’anno scorso, ora ho 22 anni. Sto entrando in punta di piedi, ma ho degli obiettivi chiari. Vorrei riuscire a entrare nel grande cinema italiano.»
Suoni la chitarra. Che musica ascolti? Hai qualche riferimento particolare?
«La strimpello un po’, ma di musica ascolto davvero di tutto. Amo molto il cantautorato italiano, però sono cresciuto ascoltando i Pink Floyd con i miei genitori. A casa abbiamo tantissimi vinili. Pino Daniele è stato per me una guida spirituale. Insomma, davvero di tutto: Michael Jackson, i Beatles... la qualunque».
Oltre a lavorare, quali hobby coltivi?
«Da poco mi sono avvicinato al padel. Sto imparando e mi sto divertendo molto. Vengo dal tennis, che ho praticato per anni, quindi ora sto iniziando anche con il padel, che secondo me è molto divertente».
Quali sono i tuoi prossimi progetti?
«Tornerò in teatro con una piccola tournée in Italia con uno spettacolo che si chiama La Vacca, scritto da una giovane drammaturga di Pagani, Elvira Buonocore, per la regia di Gennaro Maresca. Recito con una fantastica attrice, Anna De Stefano. Questo spettacolo ha vinto qualche anno fa il premio Dante Cappelletti, un riconoscimento molto importante nel mondo teatrale, ed è un altro progetto che ci sta dando tante soddisfazioni».