
Premiata al Fashion Gold Party Summer Edition 2025 con una creazione unica del maestro vasaio Benvenuto Apicella, Enza Barra è un volto familiare del teatro partenopeo e un cuore battente della scena napoletana. Attrice, assistente alla regia, voce radiofonica e interprete sul grande schermo, vanta collaborazioni importanti, come quelle con Antonio Capuano, Stefano Incerti e Benedetto Casillo, suo mentore artistico da oltre vent’anni. Nella fiction Piedone – Uno sbirro a Napoli, interpreta Filomena Ruscello, donna ambigua e carismatica, segno di una maturità attoriale che continua a rinnovarsi. Dietro le quinte, però, Enza è rimasta “una bambina che si meraviglia”: nonostante i momenti difficili, il teatro non l’ha mai lasciata, e lei non ha mai lasciato lui. In questa intervista ci racconta con sincerità disarmante la sua lunga carriera, le emozioni da madre, i sogni ancora in cantiere, e quella sana ironia che le ha permesso di vivere (e recitare) senza mai prendersi troppo sul serio.
Hai lavorato a lungo con Benedetto Casillo, una figura iconica del teatro napoletano. Cosa credi ti abbia lasciato negli anni artisticamente e umanamente questa collaborazione duratura?
«Io ho iniziato proprio con Benedetto Casillo, ormai sono 27 anni che faccio parte della sua compagnia. Non vi dico quanti anni ho, ma fatevi due conti: avevo 18 anni. Benedetto mi ha lasciato sicuramente una grande umanità, perché, come dico sempre, la differenza la fanno le persone, prima ancora del talento. Artisticamente è stata una palestra incredibile: con il tempo sono diventata anche sua assistente alla regia. Mi ha cresciuta professionalmente, dandomi sempre consigli preziosi. Ma la cosa più grande che mi ha insegnato è il valore del dare. Benedetto non è un attore geloso del suo lavoro, anzi: è uno di quelli che si nascondono dietro le quinte e gioiscono per l’applauso ricevuto da un collega. È un esempio di generosità, ed è davvero incoraggiante».
E quanti dei tuoi consigli hai dovuto dare a lui? C’è stato qualcosa che ancora oggi ricorda?
«A dire il vero… consigli no! Tra noi c’è sempre stata una grande empatia. Dopo tanti anni insieme sul palco, ci capiamo anche solo con uno sguardo. Ricordo un episodio di circa vent’anni fa: lui entrò in scena con 40 di febbre. A un certo punto lo vidi in difficoltà, aveva avuto un vuoto. Lo guardai e gli passai la battuta. Andammo avanti, con un affetto profondo e sincero. Quel ricordo mi resta nel cuore».
C’è uno spettacolo che ti è rimasto particolarmente impresso e che vorresti rifare?
«Il mio esordio con lui fu Nu mese ’o frisco di Paola Riccora. Ricordo ancora la telefonata: avevo 18 anni, mi chiama Benedetto e mi dice “Ho scritto un personaggio pensando a te”. Per me fu un’emozione fortissima. Lo rifarei altre 300.000 volte!».
C’è un aspetto del teatro napoletano che oggi senti si stia perdendo e che invece vorresti fosse riscoperto dalle nuove generazioni?
«Penso che il teatro dovrebbe essere insegnato nelle scuole. Non solo per formare attori, ma per trasmettere l’empatia. Il teatro ti insegna a metterti nei panni degli altri, a capirli. Oggi i giovani hanno perso un po’ questa capacità. E poi manca il senso del sacrificio: siamo nell’era del successo facile, ma il teatro non ti regala niente. Devi amarlo davvero. Ti insegna tanto, soprattutto sulla vita».
Nel cinema ti abbiamo vista in Achille Tarallo e La Parrucchiera…
«Sì, ne La Parrucchiera di Stefano Incerti avevo un ruolo da comprimaria e mi sono divertita tantissimo. In Achille Tarallo, diretta da Antonio Capuano, ho vissuto un’esperienza incredibile. Lui è un maestro, mi ha lasciato tanto. Un altro ricordo teatrale forte è legato a Enzo Moscato: ho partecipato alla rassegna I Love Enzo al Teatro Nuovo. Alla fine dello spettacolo mi strinse la mano, e in quella stretta c’era tutto: approvazione, orgoglio. Un gesto che mi ha riempito l’anima».
È stato un riconoscimento anche da parte dei grandi, quindi dev’essere stato davvero emozionante.
«Sono stata molto fortunata, devo dirlo. Io penso che nella vita ci sia una sorta di destino. È inutile rincorrere troppe cose: l'importante è farle con criterio, con la gioia di fare questo lavoro. Poi, voglio dire... quello che succede, succede».
Hai partecipato a Gomorra 3, serie dal forte impatto sociale. Ti sei mai chiesta che immagine restituiamo di Napoli nel mondo?
«Gomorra racconta una realtà dura, purtroppo molto vera. È ambientata a Napoli, ma potrebbe essere ovunque. Credo che i giovani vadano educati anche attraverso storie crude, per capire davvero la differenza tra bene e male».
Com’è stato vestire i panni di Filomena Ruscello in Piedone – Uno sbirro a Napoli?
«Vestire i panni di Filomena è stato impegnativo. È un personaggio silenzioso ma forte, venuto dai vicoli. Si innamora di un uomo di malaffare e si costruisce una posizione apparentemente rispettabile. Mi è piaciuto tantissimo interpretarla: difficile, ma stimolante».
Ci sarà una seconda stagione?
«Credo che ci stiano lavorando».
Si dice che far ridere sia più difficile che far piangere. È così anche per te?
«Assolutamente sì. Far ridere è molto più difficile. Un attore comico, secondo me, può fare ruoli drammatici. Il contrario è più complicato. Il comico deve avere tempi precisi, ritmo. È qualcosa di innato, che non si insegna. Ma è solo la mia opinione, per carità!».
Nella vita sei ironica quanto lo sei in scena?
«Io non mi sono mai presa sul serio. Forse è anche per questo che ho perso qualche occasione. A vent’anni avevo una bella fisicità, ma mi nascondevo. Però, sai, è andata così».
Hai mai pensato di lasciare la scena? E se sì, cosa ti ha fatto restare?
«Ci ho pensato, sì. Ma non per delusione: nella vita di una donna ci sono tante fasi. C’è stato un periodo in cui facevo la mamma a tempo pieno. Però il teatro non mi ha mai lasciata davvero. Mi sento ancora una bambina curiosa, con voglia di fare. Non penso ci riuscirò mai a lasciarlo».
Fuori dal palco, chi è Enza Barra? Cosa ti emoziona nella vita quotidiana?
«Mi emozionano i miei figli. Ho un maschio di 15 anni e una femmina di 13. Hanno caratteri diversi, ma negli occhi di mia figlia Sofia rivedo la mia spontaneità di ragazzina. Ecco quando vedo la spontaneità di Sofia o l'esternazione di un sentimento da parte di Giuseppe questo mi emoziona tremendamente».
Loro vorrebbero intraprendere una carriera artistica?
«Il maschio, forse. Lui non lo sa, ma io penso che un giorno potrebbe farlo. Ha già provato a recitare e si è sentito libero. Il teatro può diventare parte della sua vita, chissà».
Tu scrivi anche qualcosa di tuo? Ti piacerebbe portare in scena un testo scritto da te?
«No, non scrivo... anche se forse era una tendenza che avevo da ragazzina. Mi riesce molto facile mettere nero su bianco certe cose, ma si tratta soprattutto di pensieri che non riesco a esternare subito, e che magari emergono al momento opportuno. Dicono che si scrive con la mano opposta al cuore, ma io credo che ci sia un filo diretto. Riesco a scrivere con grande facilità, ma sempre di me stessa. Non ho mai pensato di scrivere qualcosa per il teatro. Potrei farlo, un giorno…».
E come aiuto regia, ti piacerebbe portare in scena qualcosa di tuo?
«Mi piacerebbe, sì. Mai dire mai. C’è ancora tanto da fare… sono giovane!».
Hai altri progetti in cantiere?
«Sto lavorando a un progetto teatrale che mi vedrà protagonista».
Quando non sei in scena, cosa ti fa stare bene? Hai hobby o piccole abitudini che ti ispirano?
«Sul set sto benissimo. Tutto ciò che è creativo e condiviso mi fa stare bene. Il teatro per me è artigianato, costruzione collettiva. L’ispirazione? Mi basta stare in mezzo alla gente. Osservo tutto: movenze, sguardi, silenzi. La vita è un palcoscenico: basta saperla guardare».