Foto di Nicola Garofano
Emoziona per la sua grande e incommensurabile bravura l’attore Mariano Rigillo nel corto “Il nome che mi hai sempre dato” per la regia di Giuseppe Alessio Nuzzo, nel cast anche Anna Teresa Rossini, Marco Rosso Cacciapuoti e Fabiola Dalla Chiara. Ed è il primo corto sul canale televisivo di Rai Cinema Channel su IGTV, in modo che i suoi prodotti cinematografici di qualità, come questo corto girato in modalità verticale, possano raggiungere anche il pubblico del web per una perfetta fruizione da mobile.
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«Si basa su una storia – scrive nelle note di regia Giuseppe Alessio Nuzzo - realmente accaduta, di profonda bellezza: la bellezza della malinconia, la bellezza dell’amore, la bellezza della morte, la bellezza del dolore, la bellezza del ricordo.
Ogni giorno lo stesso gesto. Profondo, semplice, quasi incredibile se si pensa alla società di oggi. Un uomo anziano porta tutti i giorni con sé la foto incorniciata della moglie, si siede sul muretto guardando il mare e rimane in silenzio. Un gesto profondo e commovente che mi ha spinto a scrivere e rielaborare la sua storia, per poterla portare ancora di più nelle case e nei cuori delle persone, una storia dimenticata ma indimenticabile.»
Giuseppe Alessio Nuzzo e Mariano Rigillo
In questo momento di transizioni, nella nostra vita quotidiana mancano le opere che aiutano le persone a ragionare, a capire, non avendo più film che aiutano a emozionarsi, ma generalmente ci sono in giro solo commedie comiche, la gente comincia a non ragionare, ed è come debilitare l'arte in generale…
«Certamente manca un certo tipo di film culturalmente di formazione, sia di formazione di crescita sia di formazione di un certo pubblico. Un pubblico nuovo di cui abbiamo bisogno, non solo al cinema, ma anche a teatro, di cui io sono più pratico e quotidianamente coinvolto. Ciò che dici è molto vero ed è molto preoccupante, per quanto riguarda il futuro, io sono tremendamente preoccupato per la gioventù di oggi, che mondo non solo troverà domani, ma che mondo ci darà, non dico a noi, perché non ci saremo più, almeno la mia generazione, ma che mondo darà a chi ci sarà dopodomani, chi cresce in questa condizione di notevole crisi formativa è molto duro, molto amaro da constatare.»
Che cosa ha letto della sceneggiatura che la convinta ad accettare questo ruolo?
«A me ha convinto il racconto che mi ha fatto Giuseppe, prima ancora di mandarmi la sceneggiatura, che ha subito, quasi quotidianamente, una serie di cambiamenti che sono stati progressivamente portatori di molta ricchezza nuova all'idea. Mi ha certamente convinto, vedere nel racconto, Giuseppe così convinto e preciso nel voler arrivare a un certo risultato, che era impossibile negargli una collaborazione. Ero anche convinto, lo dico immodestamente, di riuscire a essere l'attore giusto per quello che pensava Giuseppe, ma io me ne sono convinto leggendo, giorno per giorno, questa storia anche perché mi piaceva l'idea di non parlare, che è proprio cinematografica, l'idea di essere solo una figura e mi stimolava la curiosità, io avrei tanto voluto conoscere il vero Giuseppe, il personaggio del corto, purtroppo non ho avuto quest’occasione. Mi ha molto entusiasmato anche l'idea che aveva Giuseppe di presentarlo come primo esperimento di cinema verticale, ed è stata una cosa che ci fa sentire giovani, vergini di situazioni nuove, ci fa sentire inventori. Tra l'altro mi è piaciuto anche molto, essere il primo attore premiato per il cinema verticale al festival Vertical Movie.»
Umanamente cosa le ha trasmesso questa storia?
«I personaggi che noi facciamo, naturalmente coinvolgo tutti i personaggi che ho fatto, anche teatralmente, non ci abbandonano mai. C'è sempre qualcosa che ci rimane, noi siamo alla fine del nostro percorso, non voglio dire alla fine della nostra vita, siamo la somma di tante piccole schegge di personaggi che ci sono rimasti dentro e che, in qualche modo, hanno causato delle crescite o addirittura a volte anche delle decrescite, dei mancamenti. Questo personaggio che non parla, mi ha lasciato certamente una consapevolezza di una potenziale sufficienza espressiva della sola figura, cioè una fiducia maggiore nell’espressione fisica dell'attore.»