Gigione live all’Entropia Beer Fest 2025: l’estasi popolare di un’icona (trash) che non invecchia mai

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Gigione live all’Entropia Beer Fest 2025: l’estasi popolare di un’icona (trash) che non invecchia mai

C'è chi canta d’amore e chi canta l’amore fisico. Poi c’è Gigione, che canta tutto insieme, con una banana in mano, il biscotto nel cuore e la trapanarella nell’anima. Giovedì 17 luglio, nella magica cornice della Residenza Artistica Sharing Art di Pompei, per la quarta edizione dell’Entropia Beer Fest, è andata in scena la liturgia pagana del sud: il live di Gigione. I fedelissimi si radunano come richiamati da un richiamo ancestrale, tribale, viscerale. Non è solo un concerto: è un rito collettivo, un sabba contadino, una processione laica del godimento popolare.
Gigione, con la sua inconfondibile presenza scenica, si conferma un perfetto pifferaio di Hamelin: il pubblico, eterogeneo, trasversale, adorante, non può fare a meno di seguirlo. Uno dopo l’altro, uomini, donne, creature di ogni età e generazione vengono travolti da quella musica che non chiede permesso, ma entra dentro e smuove, scuote, stuzzica. Una folla compatta, colorata, euforia da sagra post-moderna: appena le casse hanno sparato i primi riff di Trapanarella, è esplosa l’estasi. Non un concerto, ma un’orgia popolare di sudore, risa e memoria collettiva. Il Bruce Springsteen di Boscoreale, cappellino d’ordinanza e occhiali da sole, non si è limitato al palco: è sceso subito tra la folla, abbracciando signore e scugnizzi, ballando con ragazzi e mamme, trasformando ogni pezzo in una festa di paese che sa di periferia, ma anche di resistenza culturale. 


Te si mangiate sta banana, Cicirinella teneva teneva , ‘O ball d’o cavallo, Assittete ‘nzino a me, Zi Nicola iho iho, Te piace ‘o biscotto, fino all’ultimo singolo Si na preta: ogni canzone è un mantra osceno e liberatorio, un inno all’eros contadino e alla libertà di ridere anche del sesso, dei desideri, del corpo. Le movenze? Quelle “peccaminose”, a metà tra il balletto erotico e la gag da cabaret, dove l’amplesso è alluso, evocato, mai mostrato, ma sempre presente. Con versi di soddisfazione erotica maschile, quei classici "Ah!" gutturali, che riecheggiano più di un assolo di chitarra in un pezzo dei Led Zeppelin. Il tutto, ovviamente, in quella lingua napoletana che è già di per sé una musica e un’arma.
Eppure, sarebbe riduttivo considerare Gigione solo un giullare erotico del Sud. Durante il live ha regalato al pubblico anche momenti più dolci e melodici, come la ballad Amore Napoletano. E non è mancata Lauretta, dedicata alla figlia, a ricordarci che dietro al trash c’è un padre, un marito, un artista completo.


Gigione è il prodotto e il produttore di una cultura popolare che non si vergogna di sé. Un uomo che ha preso la cassa del R&B e ci ha messo sopra “’a campagnola”, che ha tradotto Madonna in napoletano e fatto ballare anche i turisti americani ad Atlantic City. Un artista di culto, amato, imitato, deriso, osannato. E riconosciuto anche dalle istituzioni: nel 2015 il Ministero dei Beni Culturali lo ha inserito tra i “fenomeni di interesse culturale”. Nel 2018 un docufilm, Essere Gigione, ha immortalato la sua parabola di outsider che ha vinto tutto, fregandosene delle regole del mercato e delle mode.
A ogni brano, il pubblico esplodeva: giovani in visibilio, adulti in lacrime di gioia, bambini che cantavano il biscotto come fosse Imagine. Non c’era distanza tra palco e gente: Gigione è uno di loro, è tutti loro. E questa è la sua forza. È l’ultimo interprete di un Sud che si prende in giro, si eccita, si benedice e si redime in una canzone da tre minuti. Gigione non è solo un cantante: è uno sciamano, un domatore di libido popolare, un interprete della fame atavica di libertà, sudore e doppiosenso. Un re del trash che, nel suo regno fatto di organetti, tastiere e cuori spalancati, si prende il palco, se lo mette in tasca, e ci fa pure l’amore.
Ma, ahimè, quando sono tornato a prendere l’auto, ancora inebriato da quella festa collettiva e popolare, ho trovato due ruote squarciate con un coltello. Atto vandalico, intimidazione, non lo so. Forse colpa di un parcheggio “scomodo”. Ma una cosa l’ho capita: anche l’allegria più sfrenata può finire in un silenzio tagliente. Come a dire: l’Italia profonda che canta e balla è la stessa che, se disturbata, ti fa trovare le ruote a terra. Un contrappasso perfetto, se ci pensi: avevo cantato Famme azzuppà e alla fine mi sono ritrovato a piedi. Ma almeno, con Gigione nel cuore.