Carolina Crescentini è stata premiata all’Italian Movie Award a Pompei e a consegnarglielo è stato il presidente e direttore del festival, Carlo Fumo.
Un brillante spirito libero, Carolina ha guadagnato una certa dose di notorietà come attrice, già dai suoi primi film come Notte prima degli esami - Oggi di Fausto Brizzi e Cemento armato, opera prima di Marco Martani, non ultima la sua interpretazione dell’affascinante PM Laura Piras nella serie tv, I bastardi di Pizzofalcone, la seconda stagione su Rai1 è prevista per il 5 ottobre, con possibilità che slitti il 15 a causa del calcio.
Mentre dal 9 settembre su Rai3 ci sarà “Illuminate” una nuovissima serie di biopic di donne italiane che si sono distinte in diversi settori (moda, medicina, politica, ricerca): Krizia, Rita Levi Montalcini, Margherita Hack e Palma Bucarelli. E saranno quattro giovani attrici a interpretarle, tra cui Carolina Crescentini che sarà Krizia e poi Caterina Guzzanti, Francesca Inaudi e Valentina Bellè.
A settembre sarai Krizia…
«Non conoscevo la storia personale di Krizia ma è una storia interessantissima, una donna forte, bizzarra ed eccentrica, che ha scelto la sua vita e l'ha ottenuta combattendo e mi sarebbe tanto piaciuto conoscerla.»
Non puoi svelarci niente sulla seconda stagione de I Bastardi di Pizzofalcone, la cui prima stagione ha fatto incollare milioni di spettatori alla tv. Credi finiranno questi pregiudizi su Napoli?
«I pregiudizi, purtroppo, ce li portiamo dietro tutti. Anche a Roma arrivano ondate di pregiudizi, ma dobbiamo imparare a prenderli in giro, schiaffeggiamoli con l'ironia e mettiamo tutti al posto loro. Comunque Napoli l'ho vista molto cresciuta, ora è il secondo anno che sono qui a girare Pizzofalcone. La prima posa della mia vita, il mio primo giorno di lavoro che non fosse un cortometraggio o teatro, l'ho fatta a La Squadra tanti anni fa e mi ricordo un calore straordinario dei napoletani. Emozionatissima, stavo al primo anno di Centro sperimentale, non sapevo molto e loro sono stati con me gentilissimi e ricorderò per tutta la vita quest’aneddoto, di una persona che purtroppo non c'è più, il runner che mi venne a prendere in stazione, Patrizio, ovviamente la legge di Murphy ha voluto che quel giorno avessi 39 di febbre, proprio il giorno che stavo per girare la prima cosa importante della mia vita. Mi porta in albergo e, la sera, di sua spontanea volontà senza che io glielo chiedessi, mi ha fatto trovare in albergo il brodo della moglie e le aspirine. Questa è una cosa che la ricorderò sempre, è l'umanità che c'è a Napoli.»
Foto di Fabio Iovino
Puoi raccontarci qualche aneddoto sui tuoi primi film con cui hai esordito, Notte prima degli esami – Oggi e Cemento Armato?
«Notte prima degli esami è stato bellissimo, stavo finendo il Centro sperimentale e in questo film dovevo fare l'addestratrice di delfini. Erano tutti una squadra di ragazzi già affiatati, perché avevano fatto un film insieme, ma mi hanno accolto con grande affetto e Fausto Brizzi è stato molto gentile con me. Devo dire che il primo Ciak che, di solito, hai una certa ansia, io lo avevo, grazie a Dio, con i delfini e la cosa che fa ridere, ero nel delfinario sul bordo della piscina e giocando con un delfino e, intanto urlano: Motoreee! Ed io che ho una passione per gli animali gli dico: Dammi un bacio. Il delfino che ha un muso appuntito mi dà una botta sul naso e penso subito che me lo abbia rotto. Ho fatto finta di niente e sento “Azione!” e ho iniziato girando la scena, il dialogo, ma dentro c'era un dolore cosmico, mi sentivo il setto nasale rotto, però è stata un'avventura molto divertente.
Cemento armato era invece completamente diverso, tratto da un soggetto di Luca Poldelmengo che scrive noir e anche molti libri ed era molto più tosto per me e Giorgio Faletti è stato tanto gentile con me, una persona per bene. Noi avevamo delle scene molto dure, tra queste una sulla violenza sessuale e lui era a disagio, non voleva darmi fastidio, ma la scena la doveva fare, non voleva ma doveva, anche per il personaggio che stava interpretando. Al montaggio questa scena è stata tagliata perché era tanto forte, però mi ricordo la cura che lui ha messo per tutelarmi ed è stato veramente meraviglioso.»
Ho letto da qualche parte che farai la tua prima regia per un corto?
«No, non è ancora il momento, mi piacerebbe, ma ancora non ho una storia interessante, tutto parte da lì. Forse ci sarà qualcosa in futuro, ma non per ora. Ad ogni modo, i cortometraggi sono fondamentali, sia per i registi sia per gli attori, perchè raccontare una storia in quindici minuti o cinque addirittura, è difficilissimo, devi arrivare al nocciolo senza perderti in inquadrature o dialoghi inutili. Per un attore, io ne ho fatti tantissimi anche mentre stavo a scuola, è importantissimo perché l’attore tende, soprattutto nella prima parte degli studi, a perdersi in un ego trip micidiale della propria emotività, nelle palestre degli attori noi siamo lì a sentire, ma quando c’è la macchina da presa e i segni per terra cambia tutto, non sei più ritto che guardi tutti voi, devi seguire un percorso perché c’è il fuochista che ti sta dicendo qualcosa, devi farlo piano, devi guardare con quest’occhio perché l’altro è a sfavore, devi fare una serie di cose e il cinema è una cosa meravigliosa perché è una fusione tra la libertà e la disciplina. Come mi è successo tante volte ed è una cosa che mi fa tanto ridere, però questa cosa la devi imparare se no l’attore si stranisce, stai facendo una scena madre, stai litigando come una pazza, stai piangendo, ma sotto di te l’inquadratura è a mezzo busto c’è un macchinista che ti sta spostando perché c’è una roba che deve inquadrare meglio e, intanto, però, sopra sei convintissima e se tu non fai palestra nei cortometraggi, tanti attori poi si sentono a disagio, perché ciò può deconcentrarti e devi imparare a fare un dribbling tra tutte queste cose.»
Qual è il personaggio tra tutti quelli interpretati che più ti ha costretto a metterti in discussione?
«Nel film L'Industriale sulla storia di una coppia in crisi e lei colpevole di una serie di cose, ma comunque una donna abbandonata in questa casa di vetro borghese e tenta di reagire pur di aver la propria vita e quello fu un periodo molto tosto perché era un film nero, la fotografia pure lo era, un film nero nell'anima, un film anche sulla crisi economica, crisi dei sentimenti e fu un periodo tosto. Però quello che mi ha proprio sbriciolato è stato un film sulla Shoah per la tv di Giacomo Battiato, Max e Hélène (2015). Era la storia realmente accaduta, lui ebreo e lei ariana, figlia del console, s'innamorano, ma lui è rastrellato e lei, falsificando i documenti, lo segue nel treno convinti che nessuno li dividerà, si sposano sul treno con un rito ebraico bellissimo, riescono a scappare perché il treno rallenta perché ha una parte rotta, vivono nei boschi per un po', finché vengono scoperti da un gruppo di nazisti. Lui viene fucilato, in realtà, non viene ucciso, solo che Hélène pensa sia morto e lei diventa per tanti anni l'ossessione del gerarca nazista, che le fa qualunque cosa, poi la storia va avanti. Quel periodo per me è stato tremendo, mi sono dovuta vedere tutti i documentari possibili e immaginabili sull'argomento. Il film era diviso tra gli anni ‘40 e i ’60, perché loro poi si rincontreranno in età adulta, solo che lei con sé avrà il figlio dello stupro. E mi sono vista anche tantissimi filmati e documentari sui superstiti ed io racconto sempre questo episodio vero: ero scesa a Roma per un doppiaggio, perché giravamo a Bolzano e una sera vado a cena con i miei genitori, mia madre mi dà un pizzicotto sulla mano per dirmi c'è il cameriere ed io sono esplosa in lacrime, perché ero piena di angoscia e disperazione, per quelle cose viste nei filmati ma realmente accadute, un'esperienza tremenda però necessaria da raccontare.»