Achille Lauro in gara alla 69° edizione del Festival di Sanremo con il brano “Rolls Royce” diretto dal Maestro Enrico Melozzi e per la serata di venerdì dei duetti salirà sul palco insieme a lui Morgan.
Achille Lauro ha collaborato nel nuovo album di Anna Tatangelo, anche lei in gara a Sanremo, nella hit “Ragazza di periferia” con Boss Doms, mentre il nuovo album di Lauro uscirà in primavera per Sony Music Italy e subito dopo partirà il tour “Achille Lauro Live 2019”, che inizierà il 10 maggio alla Casa della Musica di Napoli; 11 maggio all’Atlantico Live di Roma; 18 maggio al Teatro della Concordia di Venaria Reale (TO); 19 maggio al Fabrique di Milano; 23 maggio al Tuscany Hall Teatro di Firenze; 24 maggio al PalaEstragon di Bologna; 7 giugno al Nameless Music Festival di Barzio (LC); 8 giugno al Core Festival di Treviso.
Inoltre, dopo l’uscita di Achille Lauro No Face 1, il primo documentario su Achille Lauro, sul suo mondo e sui suoi progetti in cui si racconta la sua storia partita dalla periferia romana di Montesacro, dove nasce e comincia a farsi conoscere nei giri criminali di quartiere, alle prime registrazioni con il Quarto Blocco, etichetta rap del fratello, è uscito il suo primo libro autobiografico per la Rizzoli “Sono io Amleto”, un viaggio psichedelico, visionario, malinconico e poetico nel mondo di Achille Lauro, e nel caso di una versione cinematografica vorrebbe che impersonasse il suo personaggio Kim Rossi Stuart.
Quando è nata la tua idea di presentarti a Sanremo?
«Io sono contro le canzoni pop standard fatte per vendere, ma non sono contro Sanremo, in quanto teatro incredibile, in quanto monumento nazionale. È arrivato alla 69ª edizione, vuole dire che ha 70 anni, è un festival incredibile, così importante per la nazione, solo in Sudamerica ce n’è uno simile, Viña del Mar. Ad ogni modo, Sanremo nella mia testa non c'era fino a tre mesi fa, ho sempre fatto musica così, ma neanche il successo c’era nella mia testa, sono sicuramente uno determinato e ambizioso che, quando inizia a fare una cosa, non si ferma. Sono completamente pazzo sotto questo aspetto, inizio e finisco le cose, non le lascio a metà.»
E cosa puoi dirci del brano che presenterai?
«Il brano di Sanremo ha questa particolarità, noi ci chiudiamo due mesi l'anno in questo villaggio “segreto”, lo conoscono solo in 50mila, e un anno e mezzo fa nel 2017, abbiamo prodotto questo brano che era totalmente diverso da tutto quello che facevamo noi, da quello che si sentiva, da quello che esiste nel panorama musicale ed era una figata, cioè era giovane, può prendere i ragazzini di dieci anni come quelli di venti, trenta o quaranta. Il brano, comunque, non è una canzone d’amore, quindi, non è un classico per Sanremo, chiarisco che canzoni d’amore ne ho scritte, comunque, Rolls Royce è divertente, è arrogante, è educato, è pop, è punk, è tutto. Noi l'avevamo già per Pour L'amour (2018), ma abbiamo deciso di non farlo uscire per dargli il giusto spazio che si merita. Quando mi hanno detto che il direttore artistico di Sanremo, una persona che io rispetto tantissimo, Martelli, che ci aveva invitato anche al concerto del Primo Maggio, ci avrebbe voluto a Sanremo, di provare a entrare a Sanremo, ho detto: Ragazzi ho il brano giusto!, che era sia controverso per Sanremo, sia perfetto per quel palco: rockstar, popstar, poesia, dramma, tutto insieme in tre minuti.»
Parliamo del tuo libro uscito da poco. Per te scrivere un libro è differente da scrivere un testo?
«É stato più semplice, non ero vincolato dal seguire un tempo, seguire delle rime, anche se me ne sono sempre fregato delle rime, infatti, ho scritto anche canzoni senza rime. Il libro è un altro approccio perché hai una libertà, puoi scrivere quello che vuoi e nel modo che vuoi. Nelle canzoni sono megaperfezionista sono maniacale/patologico, se c'è una sillaba da cambiare in una canzone, se non mi piace la cambio, un respiro, io sento cose nelle canzoni che altri non sentirebbero mai, neanche ascoltandole un milione di volte. Questa cura maniacale l’ho riversata anche nel libro che sono 250 pagine, forse poteva non uscire mai. È stato fatto un bel lavoro, ci sono varie voci, è una minestra con vari ingredienti. Credo che questa mia ricerca della perfezione, questa cura del dettaglio, sia il segreto del successo.»
Come ti approcci alla scrittura di un testo di una canzone?
«A volte mi chiedono, qual è il segreto delle tue canzoni, come fai a essere così dettagliato? Io rispondo se racconti una storia vera che, comunque, è la tua storia che hai passato, che tu sei stato protagonista, i dettagli sono lì, non devi inventare una storia, il dettaglio ti fa entrare nel mondo della persona che scrive, visualizzare ciò che uno pensa, la descrizione di un posto dettagliato. Se hai una storia, di cui sei stato il protagonista, hai i dettagli, quando tu vai a descrivere, la gente lo percepisce in modo diverso, si sente che non è inventato e, secondo me, il fatto di aver tirato in mezzo altre persone che vanno nella stessa storia, ma, da altri punti di vista, è molto figo.»
Ci sarà anche il continuo di “Sono io Amleto?
«Potrebbe essere, ma non sarà più questo, questo è come i miei primi dischi dove racconto la prima parte della mia vita al massimo potrebbe avere un risvolto cinematografico, che non riguarda i miei documentari o con quello che sto facendo alla regia, ma consegnare il libro nelle mani di qualcuno.»
Le citazioni virgolettate o in corsivo nel libro sono frasi delle tue canzoni?
«Non tutto è preso dalle canzoni, nel libro le frasi delle canzoni sono virgolettate, alcune cose sono trafiletti simili a poesie, che non abbiamo mai messo nelle canzoni. Sono dei pensieri, io sono uno che si appunta un sacco di cose. Ho centinaia di pezzi scritti non usciti, non registrati, che non so nemmeno che fine faranno, se saranno mai pubblicati. Anche sul cellulare ho un miliardo e mezzo di cose appuntate, le più belle sono quando non ti metti a pensare o a scrivere a tavolino, ma quando sei in giro. L’ispirazione ti viene dappertutto, intanto, dai discorsi con le altre persone, almeno per quanto mi riguarda.»
A Roma c’è un grande fermento di rapper, una città in crisi genera arte?
«Io sono sostenitore di questa teoria: La tristezza, i momenti difficili e la solitudine aiutano l'arte, sono il motore dell’arte. Roma è una città difficile, grande, gigante, mal gestita, e sicuramente nelle situazioni difficili, il senso di abbandono aiuta l'arte, poi nel nostro quartiere in particolare ci sono Coez, Gemitaiz, Rino Gaetano... Roma è sicuramente una culla d'arte, una città difficilissima da vivere. Io ho casa da due anni a Milano, poiché lavoro qui, la musica esiste, ma non esiste il business musicale, non esistono tanti business come a Roma.»
Chi è secondo te il migliore fra i rapper?
«Uno dei migliori autori, adesso, nel nostro mondo "rap”, “hip hop" è Marrakesh e non è di certo romano, però è uno che ha vissuto la periferia, la solitudine, proviene da una famiglia di persone umili ed è riuscito a dare lui ai suoi.»
Parli quasi sempre in terza persona, vuoi spiegarcene il motivo?
«Parlo spesso al plurale perché ho costruito un team di persone, dai produttori alle società che gestiscono i ragazzi più piccoli con cui lavoriamo, avvocati che sono il mio braccio destro. Parlo al plurale perché voglio che passi il messaggio che non sono da solo, Achille Lauro al di là dei testi è un mondo dietro. Persone che non mettono la faccia, ma la fatica.»