
Il grande ritorno del Duran Duran al Festival di Sanremo 2025, il segreto del loro successo risiede nel legame che li unisce, fatto di passione per la musica, risate e una gestione equa della band. E se oggi festeggiano 40 anni insieme, è anche grazie a questo rapporto di sincero affetto e amicizia che continua a dar loro energia e ispirazione. A 66 anni, Simon Le Bon è ancora una forza della natura. L’ex idolo degli anni '80, che a Sanremo 1985 aveva vissuto l'emozione di un pubblico di adolescenti adoranti (accerchiati fuori dagli hotel), torna ora come un signorotto, con qualche chilo in più, ma senza perdere un briciolo del suo fascino e carisma. Ieri sera, i Duran Duran hanno entusiasmato il pubblico dell'Ariston con una performance coinvolgente, suscitando il delirio dei fan di ogni generazione, dai boomers ai più giovani.
In quella sala si respirava ancora un'aria di nostalgia per gli anni '80, un'epoca in cui i Duran Duran avevano conquistato l'Italia. E ora, dopo 40 anni, il brano Wild Boys torna a risuonare in un palco che, per quanto invecchiato, non ha perso il suo impatto. Al fianco di Simon Le Bon, c’era anche Victoria dei Måneskin, con cui hanno deuttato Psycho Killer e Girls on Film, creando un ponte ideale tra due generazioni musicali.
I Duran Duran saranno in Italia a Giugno con quattro date: Roma il 15 e 16 giugno 2025, al Circo Massimo. Il 18 giugno alla Fiera del Levante di Bari, e il 20 giugno agli i-Days di Milano all'Ippodromo Snai San Siro.
A 40 anni dalla vostra prima esibizione in Italia, che coincise con la vostra prima volta a Sanremo, come vi sentite nel tornare qui? Cosa significa per voi essere di nuovo sul palco dell’Ariston, e perché pensate che gli italiani siano così affezionati a questo festival?
«Ci abbiamo pensato molto, ma non siamo riusciti a trovare una risposta definitiva. Ad ogni modo, amiamo quello che facciamo e amiamo pensare di portare un po' di felicità ovunque ci esibiamo. La gente ama divertirsi, è un dato di fatto. Quando siamo tornati a Sanremo, dopo 40 anni, ci siamo resi conto che ormai la nostra partecipazione è un po’ una tradizione. Forse dovremmo anche ribattezzarlo “Duran-remo” a questo punto, visto che è la nostra quinta volta!».
Cosa ricordi di quel debutto sul palco di Sanremo, quando ti sei esibito con “Wild Boys” nonostante la caviglia rotta? E cosa pensi di come gli anni Ottanta siano rivissuti nella vostra musica?
«La prima volta a Sanremo è stata davvero un’esperienza folle. In quegli anni stavamo diventando davvero famosi in Italia, ricordo che i fan ci inseguivano in motorino per le strade, la nostra limousine veniva inseguita da uno stuolo di ragazzi impazziti per le strade. Questo loro inseguimento è il mio ricordo più vivido della nostra prima volta. Ovviamente, c’era Pippo Baudo, era il conduttore! Quella fu l’epoca d’oro della band, quando le cose iniziavano a prendere piede. In merito alla caviglia, no, non mi sono rotto la caviglia, ma ho avuto una brutta distorsione. La sera prima di Sanremo, sono uscito per fare una passeggiata lungo il porto e, mentre camminavo, sono scivolato e sono caduto su delle rocce molto appuntite e mi sono fatto male al piede. Pensai che se bevevo un po' di vodka, il dolore sarebbe passato, ma purtroppo non è andata così. Il giorno dopo quando mi sono svegliato, sono andato al Pronto Soccorso perché proprio non riuscivo a stare in piedi. Mi misero un tutore e mi diedero una stampella ed ecco perchè quella sera cantai zoppicando per tutto il palco. Sanremo ha sempre avuto un'atmosfera speciale anni 80 o direi anche degli anni 70, e credo che sia rimasto così anche oggi. La musica che vediamo qui, e anche l’interesse che genera, è tanto stimolante oggi come lo era 40 anni fa».
Qual è il segreto che permette ai Duran Duran di restare uniti dopo così tanti anni?
«Siamo legati da qualcosa di speciale che ci permette di restare insieme, prima di tutto, amiamo la musica che facciamo. È qualcosa che nessuno di noi potrebbe fare da solo. Quando lavoriamo insieme, abbiamo sempre entusiasmo e passione, ed è questa la chiave. Inoltre, ridiamo tantissimo, ed è un aspetto fondamentale in una relazione di lunga durata, come la nostra. Ci aiutiamo a vicenda, anche nei momenti difficili, e tutto rimane leggero e divertente. Un altro punto importante è che dividiamo equamente tutti gli introiti, quindi nessuno di noi si sente escluso o più importante degli altri.
C’è una chimica speciale tra di noi che è difficile spiegare, ma che sicuramente ci aiuta a restare uniti. Oggi il concetto di band è cambiato, ora vediamo tanti artisti solisti. Ma noi, che siamo cresciuti negli anni ‘60 e ‘70, abbiamo visto quel tipo di dinamica e siamo cresciuti insieme con amore e dedizione per la musica».
La vostra qualità musicale, a volte, è stata sottovalutata. Voglio chiedervi che ne pensate oggi del vostro primo album, e in particolare della canzone strumentale "Tel Aviv". Quali sono i vostri progetti futuri?
«Ci sono artisti che riescono a produrre un album all’anno, ma noi ci siamo sempre presi il nostro tempo. Ogni nostro album è stato un progetto che ci ha coinvolto completamente e di cui siamo molto orgogliosi. Per quanto riguarda "Tel Aviv", è una canzone che è ancora attuale. Fu scritta nel 1980, quando mi trovavo a Tel Aviv, in origine questo brano aveva un testo, una storia, che poi abbiamo deciso di togliere e l'abbiamo fatto diventare strumentale. Parla di una mia esperienza personale, del 1979, mi trovavo appunto a Tel Aviv e ricordo perfettamente di me che passeggiavo lungo la spiaggia della città e mi dicevo, caspita, questo è proprio un mondo completamente diverso, è un mondo assolutamente nuovo, mi sembrava di essere in un film fantascientifico. Oggi, quella canzone ha preso un valore nuovo, soprattutto visto l’attuale contesto mondiale».
Parliamo del tour: ci saranno quattro tappe in Italia, come quella a Roma al Circo Massimo. Cosa pensate della città e quali sono i vostri cantanti italiani preferiti?
«Siamo davvero entusiasti del nostro tour. Non vediamo l’ora di suonare a Milano, Bari e Roma. Roma, in particolare, è una città incredibile! Per quanto riguarda i cantanti italiani, io sono un fan dei Maneskin. Dovete essere davvero orgogliosi di avere un gruppo così talentuoso in Italia. Per quanto riguarda il tour, non voglio svelare troppo, ma possiamo promettervi che ci saranno molte sorprese. Abbiamo un repertorio che toccherà diverse epoche della nostra carriera, e siamo felici di tornare in Italia».
In passato la musica britannica dominava la scena, ma oggi i giovani italiani ascoltano soprattutto musica americana. Perché pensate che sia cambiato il gusto musicale?
«Credo che il cambiamento sia dovuto all’ascesa dell’hip-hop, che ha preso piede in America e si è poi diffuso in Europa. I ragazzi oggi ascoltano molto pop e rap americano, ma ciò non significa che la musica britannica sia sparita del tutto. Artisti come Ed Sheeran e Adele, ad esempio, sono ancora molto apprezzati. La musica si evolve, e oggi grazie a internet possiamo scoprire artisti di tutto il mondo, indipendentemente dal genere o dalla provenienza».
Cosa pensate della metamorfosi del mercato discografico, che è passato dal dominio dei CD e vinili a un mercato completamente immateriale?
«È un tema molto interessante. Oggi la musica è accessibile ovunque grazie a internet, ma noi della nostra generazione abbiamo sempre avuto un legame forte con il prodotto fisico. Penso che la possibilità di ascoltare milioni di canzoni in un attimo sia una grande opportunità, ma è anche vero che manca un po’ quella magia che c’era nell’acquistare un disco e ascoltarlo fisicamente.
La musica prodotta dall’intelligenza artificiale è già realtà, e presto la sentiremo su tutte le piattaforme. È un tema delicato, soprattutto perché in UK alcune aziende possono utilizzare il catalogo musicale degli artisti senza pagare royalties. Dobbiamo proteggere i diritti degli artisti e chiederci: vogliamo che la nostra musica venga creata da una macchina o da un essere umano?».
Un ultima domanda personale, come sta Andy?
«Andy sta affrontando una dura battaglia contro un cancro alla prostata in stadio avanzato. Tutta la band gli è vicina e lo supportiamo in ogni momento».