
Core in Fabula è il nuovo concept album della cantautrice partenopea Dada’, disponibile in esclusiva sul sito dadaracconta.com. Un’opera complessa e poetica, composta da 16 brani che confermano la potenza lirica e simbolica dell’universo di Dada’, la strega-pop che canta in dialetto e trasforma la rabbia in poesia. È una cantastorie, una performer, una visionaria, la sua musica s’intreccia con fiabe inedite, identità fluide, rituali popolari e memorie intime, tra misticismo, teatro popolare e invettive da cortile con la stessa grazia con cui una janara vola sotto il noce di Benevento. Core in Fabula è un’opera orale, un disco che si ascolta ma si potrebbe tranquillamente vedere, leggere, vivere. Un mosaico sonoro in dialetto napoletano, lingua sacra e profana, che mette in scena streghe, Madonne, serpenti, vecchie papere, santi lavatori e amanti incendiari. È come se le anime del Sud, le sue ombre e i suoi riti, avessero trovato finalmente una voce che non si vergogna della propria carne.
Se dovessi immaginare Core in Fabula come un luogo fisico: un paese, una scena, un altare. Come sarebbe? E chi lo abiterebbe?
«Core in fabula è tanti luoghi e tanti personaggi, tutti sospesi, ma viscerali. Come in tutte le fiabe e le favole i personaggi sono archetipi, sono luci e ombre di significati tanto collettivo quanto personali. Se proprio devo pensare a un’immagine: un cuore rosso, cavo all’interno, da cui proviene una luce intensa e calda al cui centro danza felice una piccola fatina bionda con sembianze simili alle mie, perché Core in fabula è il mio rifugio e il mio pericolo insieme».
Qual è, oggi, il tuo rapporto con il concetto di “infanzia artistica”? È qualcosa che proteggi, che insegui o che stai reinventando?
«È un concetto tentacolato. Sicuramente per infanzia artistica nel caso di questo album si può intendere il fatto che ci siano alcuni brani scritti da piccolina; oppure potrebbe tranquillamente riferirsi alla mia poetica, al mio modo di vivere la musica, all’ingenuità e alla spontaneità con cui cerco di approcciare ogni volta ad ogni mio nuovo progetto. Proteggo molto il mio istinto devoto e sacrale verso la creatività, le idee, la personalità. Mi piace guardarmi in faccia allo specchio e spronarmi a espormi, a sentire, a vivere. Ho imparato a essere mamma e talvolta sorella maggiore della mia bambina interiore e sto cercando di riconsegnarle tutto quello che le è stato tolto, in un modo o nell’altro; ma le devo anche molto, perché non si è mai arresa, non si è mai offesa, ha lavorato tanto per me e mi ha permesso poi di prendere oggi con tanta strada alle spalle, emotiva e pratica, la fiaccola della nostra vita. Ci vogliamo così bene».
Vedendo le tue performance e, soprattutto, i video musicali che accompagno questo tuo nuovo album possiamo dire che con Dada’ niente è mai “solo” una canzone… chi e cosa c’è dietro a ogni tua singola performance/video musicale?
«Ci sono io! Con molta onestà e eludendo la falsa modestia, mi piace tanto raccontare tra le mie storie in musica, anche la verità… ovvero che sono direttrice creativa in toto di tutto ciò che riguarda ogni mio passo, ogni mio progetto e che sono indipendente e lavoro tanto per finanziare da sola tutto quello che vedete. Completamente. Da giovane donna mi rende tranquilla e fiera, perché sono libera e padrona o meglio dire amica di me stessa. Lavoro con me e per me e coinvolgo altri professionisti che con i loro talenti sono sempre in grado di rinvigorire al meglio».
Doce doce / fa paura / songh’io senza luce è un’apertura molto potente del brano C'era una volta l'anima mia. Cosa rappresenta per te questo “senza luce”? È una condizione esistenziale, spirituale o un momento autobiografico?
«“Senza luce” per me non vuol dire “senza vita” ma semplicemente fa riferimento a uno stare all’ombra, al buio, non nel posto giusto; ho avuto tremendi disturbi emotivi e psicologici nel 2022, di cui non ho fatto mai segreto e che in quel momento vivevo esattamente come ho descritto in questo brano… invocavo la mia anima, quasi come se fossi in attesa di uno Spirito Santo del mio sistema interno che potesse riportarmi sotto fasci di luce più adatti a me, più nutrienti. Come le piante».
E quando canti: Nuje ca cercammo Dio / ma perdimmo lacreme p’ ’a via è una delle immagini più toccanti del brano. È una riflessione sulla fede o sulla fragilità umana?
«È una presa di coscienza… una consapevolezza comunque mistica, fragile, desolata circa il fatto che siamo esseri finiti, che però tendono all’infinito. L’uomo pensa un Dio, a sua immagine e somiglianza, costruisce rituali, compresa la stessa civiltà, che viene ad essere un’architettura complessa a ricercata di emozioni, aspirazioni e tentativi educativi per significare la realtà ed elaborare una narrazione più o meno soddisfacente della propria esistenza».
Vò chiagnere / ’A Madonna: ci presenti una figura sacra ma profondamente umana, fragile, terrena. Chi è per te questa Madonna Nera? Una divinità, una madre, una donna qualunque?
«Per me la Madonna Nera significa tante cose. È una madonna che piange le guerre, che piange la ghettizzazione, il razzismo, la perfidia umana. È una madonna pietrificata nella violenza: in un freezing emotivo la mia madonna nera non tenta nemmeno più di piangere o sperare/pregare per l’uomo. Un uccellino giovane, con vedute ancora intonse dal dolore della vita, si prende la briga di portarle l’acqua del mare sulla guancia per stimolarla, per ricordarle come si piange, per tentare di riaprire il pianto, la preghiera, la speranza verso la tolleranza».
In alcuni video come protagonista c’è anche Chen Chaohao, una famosa drag queen della crew Club Venus? Com’è nata la collaborazione… anche se sappiamo che tu ti batti molto anche per le cause LGBTQIA+…
«Nel mio ruolo da professionista esposta per forze maggiori alla socialità e dunque anche a visioni puntellate di politica passiva, non mi piace molto parlare di artisti che “si battono per”. Io sono una persona e nel mio quotidiano ritengo importanti, naturali e sacrosanti alcuni aspetti, valori, diritti del sociale e della vita; è un interesse e un istinto che diventano scelta secondo il mio senso del giusto, la mia etica e la mia sensibilità. Quando ho chiamato Chen l’ho fatto esclusivamente perché incantata dalla sua anima e il suo modo di figurarla nel corpo, nelle movenze, nel suo talento performativo/attoriale… quindi la collaborazione è nata com’è avvenuto per tutte le altre comparse che ho avuto la fortuna di avere nel mio album. Chen è davvero dolce e potente insieme».
Ci sarebbero molte altre domande per entrare in questo tuo mondo dove ci sono tanti cuori che parlano: feriti, rabbiosi, ironici, disperati. Ma vorrei solo chiederti quale sarà la prossima “favola” che sogni di raccontare?
«I miei sogni ho imparato a mostrarli direttamente, non mi piace raccontarli o lasciarli in aria… è come mollare una farfalla da sola nella foresta… vola, vola, vola si perde e si stanca prima del tempo. Per ora ho appena sviscerato questi racconti e merito anche io il tempo giusto per far sì che possano rimbalzarmi indietro e portarmi nuovi significati, diversi da quelli dati da me, magari grazie proprio al pubblico».