Ricco appuntamento al Teatro Bellini di Napoli fino al 20 gennaio 2019 con Toni Servillo nella doppia veste di attore e regista con la “sua” versione di Elvira 40. Lo spettacolo, reduce da un lungo tour internazionale, mette in scena alcune delle lezioni di teatro tenute dal grande attore e regista francese Louis Jouvet al Conservatoire di Parigi nel 1940 sull’opera Don Giovanni di Molière, raccolte da Brigitte Jaques e tradotte per l’occasione da Giuseppe Montesano.
É importante sottolineare tale data perché è quella storica dell’avvicinarsi dei nazisti predatori alla Francia, dopo aver mostrato la loro forza militare alle nazioni europee colte di sorpresa dall’occupazione del corridoio di Danzica e della Polonia il primo settembre del 1939. Jouvet si estranea da tali vicende condividendo con una sua allieva di nome Carla, la passione per il teatro.
Tali lezioni riguardano soprattutto il rapporto creativo fra il maestro-regista e la giovane allieva-attrice e si concentrano sul ruolo di Elvira, la consorte di Don Giovanni e, in particolare, sulla lettura ragionata del suo monologo presente nel quarto atto, scena 6, della commedia citata.
Ma chi è Louis Jouvet e per quali motivi lo ricordiamo ancora oggi? Quale peso ha il personaggio di Elvira nel Don Giovanni di Molière? Le risposte a tali domande sono funzionali alla piena comprensione dello spettacolo proposto al Bellini da Toni Servillo, anche se esso è principalmente incentrato sulla preparazione di un attore ad affrontare un ruolo e alla sua capacità di renderlo credibile nei confronti del pubblico.
Jouvet (Crozon 1887-Parigi 1951), direttore del Teatro l’Athenèe di Parigi, è stato un fine interprete delle opere di Molière, rivisitate in modo critico. É curioso pensare che fosse balbuziente ma egli sa mascherare questo difetto con una dizione sincopata che nel tempo lo renderà famoso. Nei suoi scritti c’è tutta la tensione emotiva di un attore che si cala nel personaggio ogni sera in modo diverso perché è diverso il pubblico che partecipa all’evento creativo: dare voce a un personaggio immaginato da un autore che il più delle volte non si è conosciuto personalmente ma attraverso le sue opere.
Jouvet stesso ci dice di non essere riuscito a spiegare il mistero del teatro dopo i tanti spettacoli realizzati e i diversi ruoli i sostenuti. E proprio in questo è la sua grandezza: il sapersi interrogare costantemente sulla complessità di fare teatro.
In francese il verbo recitare si traduce con jouer ossia giocare ma egli è consapevole che fare teatro non è un gioco e se lo è non è per tutti. Ecco perché ancora oggi lo ricordiamo e le sue lezioni di teatro, al pari di quelle di Dario Fo, costituiscono una pietra miliare per coloro che vogliono fare il mestiere di attore.
Toni Servillo, intervistato da Anita Curci per il giornale Proscenio, ha detto:«Questo spettacolo nasce da un debito di riconoscenza che sento verso questo gigante del teatro europeo. Jouvet dice che non è la recitazione a generare il sentimento ma è il sentimento in cui è l’attore in quel momento a generare la recitazione. Per lui il teatro è il luogo in cui ci si perde per ritrovarsi”. E ancora: “Penso che le riflessioni sul teatro di Jouvet e, in particolare quelle che riguardano il rapporto regista-attore, siano illuminanti per significare ai giovani la nobiltà del mestiere di recitare che rischia di essere svilito in questi tempi confusi.»
Ma perché proprio Elvira? Nella storia del teatro è un personaggio difficile e di spessore. Ha una grande intensità di parola e al tempo stesso una grande forza emotiva è una donna coraggiosa e passionale che insiste a manifestare il suo sentimento amoroso per Don Giovanni, un uomo che per definizione è un seduttore impenitente, un Casanova da strapazzo, un ”farfallone amoroso” (come lo definirà Mozart nell’opera omonima).
Nel monologo in questione Elvira non è arrabbiata per le continue intemperanze del marito ma viene quasi investita di una luce sacra, forse quella del perdono e della riconciliazione.
Ella è una donna reale che manifesta sentimenti reali ed universali: pietà, passione, gelosia, rabbia, sconforto.
É un personaggio teatrale complesso e sfaccettato e pertanto oggetto di rielaborazione critica e approfondimento e pertanto è il personaggio ideale per darsi in modo autentico all’arte attoriale.
Ci piace ricordare che anche Giorgio Strehler rappresentò in Italia il medesimo testo con il titolo “Elvira o la passione teatrale”, interpretando lui stesso Jouvet e Giulia Lazzarini la giovane attrice che prende il nome di Claudia. Non è un caso che lo spettacolo del Bellini sia prodotto dal Piccolo Teatro di Milano e da Teatri Uniti e dal Teatro d’Europa.
Dopo sette mesi di prove non sappiamo se questo testo andò in scena perché Claudia era ebrea e forse si spense in un lager nazista. Il sipario non si alzerà mai sul maestro e l’allieva. Ecco il perché delle scene scarne dello spettacolo proposto al Bellini: un tavolo, tre sedie, una lampada, una pedana, dei copioni e la prima fila delle poltrone occupate da un pubblico che ascolta silenzioso le parole del regista e della sua allieva.
Le luci di Pasquale Mari sono soffuse non solo perché deve venire “alla luce“ il personaggio di Elvira ma perché in guerra “i lumi della ragione” sono offuscati dalla barbarie. Anche i costumi, realizzati da Ortensia De Francesco, hanno colori scuri che si confondono con il fondale nero del teatro.
Claudia è decisa a dare il meglio di sé e il maestro la interrompe spesso con domande per condurla alla riflessione. É la maieutica di Socrate applicata al teatro che trova nel dialogo la sua massima espressione.
Toni Servillo insieme ai talentuosi Petra Valentini, Francesco Marino e Davide Cirri, ci conduce all’interno di un teatro chiuso e ci invita a partecipare a una sorta di gioco del “teatro nel teatro” di pirandelliana memoria che vide la sua prima forma compiuta nella stesura dei “Sei personaggi in cerca d’autore”.
Non possiamo rifiutare tale invito che ci propone un’esperienza teatrale unica nel suo genere.
Noi ne siamo rimasti sorpresi e affascinati.