«Sono un peccatore, gli artisti lo sono e trasgrediscono varcando una linea di confine, metà lupi e metà agnelli». Intervista ad Angelo Branduardi 2010

- di

Interviste D’Annata - Una serie di interviste rilasciate al giornalista Nicola Garofano su un vecchio magazine web, che ora non c’è più, verranno pubblicate su questo magazine, The Cloves, per la prima volta.

Pubblicata il 24.05.2010

Unicum nella storia della musica italiana, il maestro Angelo Branduardi, dopo anni di ricerca musicale cui si è avvicinato alle più auliche pagine sacre e profane dal Medioevo all’epoca barocca, con i vari capitoli in cd Futuro antico, nel 2009 pubblica, Senza spina. L’album, una registrazione del live tenuto all’Olympia di Parigi nell’86 in versione Unplugged, contiene anche tre inediti, uno su tutti, Il Denaro dei Nani, in vero stile trobadorico, in cui sintetizza gli ultimi anni della situazione finanziaria italiana. Insomma, un vero ritorno alle origini branduardiane che sentiremo nella prossima produzione in fase di lavorazione e di cui, durante questa ironica intervista, per scaramanzia non ha voluto accennare nulla.
Li sento arrivare, sono alle mie spalle!  Butta quel tesoro, il denaro dei nani in fumo finirà, il denaro dei nani non vale niente!” Mi può spiegare il significato della canzone Il Denaro dei Nani? 
«Si può leggere in due maniere, uno è quella tradizionale dell’antica leggenda celtica, in cui il denaro dei nani che nasce dall’arcobaleno è mefitico e chiunque lo guarda o cerca di rubarlo muore. L’altra maniera, invece, è caratterizzata da una similitudine, anche molto evidente, fra il nano e il finanziere, il cosiddetto finanziere d’assalto che pensava di essere un gigante e si ritrova nano dopo aver massacrato tutti e causato una crisi della quale ancora oggi, stiamo facendo fatica a uscirne». 
Nel panorama italiano in cui gli artisti nascono da talent show come Amici e X Factor, lei come si colloca come artista?
«Non mi colloco, perché non vengo da quelle cose lì, è una fabbrica d’illusi e d’illusioni perché c’è gente che vince, ha sei mesi di successo, periodo in cui già si pensa al prossimo vincitore. Non crea niente, non coltiva il talento ma lo scimmiotta. Io non c’entro assolutamente niente con questi talent, non andrei nemmeno sottoscorta dei carabinieri». 
Lei stesso ha detto di essere un musicista a limite, addirittura prende ad esempio una critica giornalistica: “Branduardi è come l’aglio, un gusto unico e inconfondibile che piace o fa schifo”… 
«Bellissima definizione di Marco Mangiarotti del Giorno. Sono uno dei pochi artisti di successo internazionale a non aver avuto imitatori, non ci ha provato mai nessuno, perché probabilmente sarebbe grottesco. Mentre musicista a limite, non l’ho mai detto, non è un’espressione che uso, non so tu da dove l’abbia presa. Non vuol dire nulla a limite. A limite di che? A limite della pazzia…».


Negli ultimi anni è emerso dai suoi dischi un certo senso religioso. Fondamentalmente è una persona religiosa e qual è il suo rapporto nell’ambito spirituale con il divino?
«Domande che richiedono tempo. Innanzitutto, è troppo personale e non voglio rispondere, rispondo solo alla metà della domanda. La musica è un fatto spirituale, la musica non è qui e ora, ma in un altro posto e in un altro momento, lo sguardo gettato oltre la porta chiusa. Avendo insito il concetto dell’oltre trascende la realtà e, questo è fonte di spiritualità, ma non bisogna dimenticare il corpo. Quando io suono, non sono inerte, il mio corpo suda e il mio cuore batte più veloce, c’è l’adrenalina, quindi, è l’unica attività umana che io credo che concili il diavolo con l’acqua santa. Quanto al mio rapporto con il divino è una cosa che appartiene a me e il mio cammino, che non è certo lineare. Io non ho avuto, come tanti altri, il dono della fede che, secondo me, quando si ha non è neppure meritato. Questo perché se sono nato con questo naso non l’ho meritato, se sono nato con la fede a prova di bomba, non l’ho meritata, la mia è una conquista, è un cammino, è molto diverso e non c’è la fine, è il viaggio non la meta».
Queste parole riconducono alla canzone “La tempesta”, altro inedito dell’album “Senza Spina”…
«Questa canzone sarà inserita anche nel prossimo album. La tempesta è la vita, quella vissuta con coraggio, rappresenta coloro i quali affrontano la tempesta sfidando le leggi della natura e, quando tornano nel porto dopo breve tempo, ricercano di nuovo il mare agitato e a volte perdono la rotta.  L’importante nei viaggi, però, non è la meta, e questo vale anche per la fede secondo me, ma il cammino stesso». 
Com’è arrivato alle laude e cosa l'ha colpita maggiormente nella figura di Francesco? Le è stata commissionata come si faceva un tempo?
«Mi sono state commissionate, come si usava appunto nel ‘700/’800, fatto dal sacro convento di Assisi. Per mesi sono venuti a parlarmi e per mesi ho detto di no, finché l’ultima volta mi hanno conquistato con una frase geniale, cioè io ho chiesto loro: Ma perché lo chiedete a me che sono un  peccatore? E loro hanno risposto: “Perché Dio sceglie sempre i peggiori”. Allora, mi sono messo a ridere e gli ho risposto: Il peggiore l’avete trovato, il peggio del peggio».
Perché si ritiene il peggiore?
«Perché sono un peccatore, gli artisti lo sono comunque, trasgrediscono qualche cosa, nel senso che per produrre qualche cosa di nuovo bisogna varcare una linea di frontiera per cui io definisco gli artisti  metà lupi e metà agnelli. La musica fatta dai santi sarebbe noiosa, infatti, nessun grande musicista è mai divenuto Santo».


C’è sempre stata una caratteristica filosofica e ideologica nelle sue canzoni, ma quanto di politica subliminale c’è?
«No, io non mi sono mai occupato di politica, se l’ho fatto, è stato involontariamente. Sono un uomo normale e nella normalità leggo i giornali, mi occupo di politica e posso avere le mie idee che non dirò, forse l’unica canzone chiamiamola tra mille virgolette “di denuncia” è proprio “Il Denaro dei Nani” e, in quarant’anni di carriera è davvero poco».
Si è rotto, quindi, anche lei di questa situazione che stiamo vivendo in Italia…
«I cantautori di protesta, non sono mai stati impegnati e, come dicono gli inglesi. Non ho mai affrontato la mia musica con quel concetto lì. Vale molto di più un po’ di spiritualità, che non il tentativo di fare della cronaca, anche se c’è chi la fa bene, ma non mi riguarda, proprio per natura e carattere». 
Lei che fa un genere musicale sicuramente molto particolare e molto seguito, che cosa vede nella discografia italiana che è in crisi e secondo lei quale sarà il futuro della musica?
«Se lo sapessi! La discografia è completamente franata e della musica indipendente che se ne parla poco perché si dà spazio a un certo tipo di discografia legata a trasmissioni, come Amici, X Factor e di tutte quelle specie di talent show del tutto inutili. È un momento di grandi cambiamenti». 
Ha conosciuto Caparezza agli esordi, duettando con lui in una perla. É sempre alla ricerca di nuovi talenti?
«Per me vedere un talento soprattutto agli inizi e potere aiutarlo anche in una minima cosa, come può essere con Caparezza, è sempre un piacere, amo molto le collaborazioni».
Ha mai pensato di creare una scuola, insegnare ai ragazzi di oggi la vera espressione musicale, di là del conservatorio, o la vede come la morte della sua artisticità? 
«Non sono capace di insegnare: Essenzialmente sono un violinista, se dovessi insegnare, non saprei da che parte cominciare».


C’è un messaggio particolare che vorrebbe rilasciare attraverso le sue opere? 
«È nelle note e nelle parole che io canto, niente di più niente di meno, però bisogna dire che la musica è la prima forma di espressione artistica dell’uomo da qualche centinaio di migliaia di anni, ed essendo la più astratta è sicuramente la più vicina a Dio. La musica ha una grande funzione terapeutica, se ci sono dei bambini in una stanza al buio, immediatamente piangeranno e poi si metteranno a cantare, perché la musica toglie la paura. La musica per definizione è ciò che si batte contro i fantasmi, soprattutto contro quello più grande che è la morte. Se la musica è il più grande esorcismo contro la morte, è sicuramente la più alta e forte espressione di vita».
Ha scritto qualche pezzo nuovo?
«Sto lavorando a nuove cose, ma preferisco non parlarne per scaramanzia».