La produzione di Rigoletto in scena al Teatro Massimo di Catania, per la regia di Leo Nucci, rappresenta un evento di grande rilevanza per il panorama lirico contemporaneo, portando in vita una delle opere più iconiche e celebrate di Giuseppe Verdi.
L’appassionante, intricato e modernissimo dramma, che esplora i temi della vendetta, dell’amore paterno, mettendo inoltre in atto una fitta dialettica tra serio e buffo, ha trovato in questo allestimento un’interpretazione vigorosa, profonda, capace di far emergere le complessità psicologiche che caratterizzano ciascun personaggio.
Leo Nucci, noto non solo come eccellente interprete ma anche come affermato regista, ha saputo infondere alla sua messa in scena un’energia e una visceralità degne della prorompente tradizione verdiana. Già apprezzato per il carisma infuso sul palco nel ruolo di Rigoletto, la sua regia si distingue per l’attenzione ai dettagli e per una visione audace e globale dello spazio scenico, bilanciando sapientemente il dramma con elementi visivi coinvolgenti.
Rigoletto è un’opera in tre atti di Giuseppe Verdi su libretto italiano di Francesco Maria Piave ed è la prima delle opere che compongono la «trilogia popolare», conosciuta anche come «triade verdiana» (Rigoletto, Il trovatore, La traviata), finalizzata nel brevissimo arco di tempo che va dal 1851 al 1853.
L’argomento del Rigoletto è tratto dalla controversa opera «Le roi s’amuse» di Victor Hugo, debuttata nel 1832 a Parigi di cui, per il suo contenuto esplicitamente antimonarchico, furono interdette le repliche per ben cinquant’anni (nel caso di Hugo, il nome del protagonista era Triboulet che, italianizzato da Piave divenne, a punto, Rigoletto).
Seppur ambientando la vicenda in un cinquecentesco principato italiano e trasformando il re Francesco I in un non meglio precisato duca di Mantova, Verdi mantenne quella che forse fu la caratteristica più anacronistica dell’opera di Hugo: l’ambivalente compresenza di tragico e comico che fanno del grottesco un risvolto del sublime.
Rigoletto è un buffone gobbo, caricatura dell’ipocrisia e della crudeltà a cui è costretto a sottostare. La sua esistenza è un paradosso: agli occhi dei cortigiani non è che un buffone o, al massimo, il corruttore morale del duca, incatenato com’è nel suo compito di far ridere ad ogni costo; ma, mentre provoca risate con facce buffe e parodie, nasconde un profondo dolore legato alla morte della consorte e all’ossessivo amore per sua figlia Gilda che cerca di proteggere ad ogni costo, unico simbolo di purezza in un mondo corrotto e vizioso. La maledizione del conte Monterone giunge come un monito dal tema ricorrente – anche melodicamente il tema ritornerà nei gangli drammaturgici che conducono al suo compimento – attanaglia la mente di Rigoletto e lo trascina in una spirale di eventi che culmineranno in un tragico e ineluttabile destino.
L’opera si dipana attraverso tre atti densi di emozioni e tensioni. Spicca l’aria «La donna è mobile», divenuta emblematica della figura del Duca di Mantova, un uomo che gioca con i sentimenti altrui, riducendo le donne a meri oggetti in balia del suo desiderio. Questa canzone da taverna, pur semplice nella melodia, rivela un’inquietante verità sulla natura umana: l’incostanza, la fragilità e l’ambivalenza a cui sono soggette le relazioni.
Verdi, con la sua musica, riesce a descrivere non solo le azioni dei personaggi, ma anche le passioni che li animano, rendendo Rigoletto un capolavoro della drammaturgia musicale.
Nel secondo atto, la tensione cresce quando Gilda viene rapita. Per Rigoletto, questo evento segna l’inizio di una profonda crisi, alimentata dalla sua impotenza nel proteggere la figlia da un mondo di cui egli stesso fa parte. La lotta tra i sentimenti d’amore paterno e di vendetta incanalano i personaggi nell’angusto sentiero tracciato dalla maledizione. Di sopraffina bellezza è la ricomparsa di Gilda il cui corpo è adagiato inerme ai piedi di una mastodontica riproduzione del Ratto delle Sabine di Giambologna.
Infine, l’atto finale segna il culmine di quest’intricata e fitta rete di inganni e vendette. Rigoletto, accecato dalla brama di vendetta ai danni del Duca, non riesce a prevedere l’epilogo della sua storia. La chiave di volta è Gilda, che si sacrificherà per salvare colui che ama, nonostante l’amore di lui le sia ormai divenuto «robello».
La forza dell’amore paterno, contrapposta all’inevitabilità del destino, si traduce in un triste e potente finale in cui Rigoletto urla: «Ah! La maledizione!».
Rigoletto non è solo un'opera; è un messaggero dei temi eterni della giustizia, della vendetta e dell’ineffabile dolcezza dell'amore. Riconosciuta come uno dei maggiori successi di Verdi, rimane una pietra miliare fondamentale nel repertorio operistico, capace di affascinare e commuovere anche oggi, facendo riflettere su quanto possa essere sottile il confine tra il riso e il pianto. In questo modo, l’opera ci ricorda che dietro ogni sorriso può nascondersi un grande dolore.
Alina Tkachuk, nel ruolo di Gilda, si è mostrata una splendida interprete, che ha affrontato la sua parte con delicatezza e purezza sonora, catturando il pubblico. La sua voce, fresca e cristallina, ha dato vita a momenti toccanti, culminando in un “Caro nome” che ha evidenziato non solo la sua tecnica sopraffina, ma anche la sua capacità di suscitare un'emozione profonda. La presenza scenica di Tkachuk, unita alla sua recitazione sincera e vulnerabile, ha reso Gilda un personaggio indimenticabile.
Nel ruolo del Duca di Mantova, Valerio Borgioni ha interpretato il seducente e cinico personaggio con carisma, rivelando una tenerezza così spontanea nel suo duetto del primo atto con Gilda da far sembrare quasi giustificabile la sua eterna fiducia in lui. Borgioni, con la sua presenza scenica affascinante e il suo fraseggio elegante, ha dato vita a un Duca intrigante e sfuggente, capace di attrarre e allo stesso tempo respingere.
Anooshah Golesorkhi ha interpretato Rigoletto con notevole bravura, rendendo giustizia alla complessità di un personaggio tanto amato quanto tragico, una delle grandi sfide baritonali di Verdi. La sua interpretazione ha trovato un perfetto bilanciamento tra buffone caustico e padre affettuoso; la sua capacità di esprimere il dolore e la vulnerabilità di Rigoletto ha reso palpabile la maledizione che lo perseguita. La sua esecuzione di “Cortigiani, vil razza dannata” è stata carica di pathos e ha regalato al pubblico un vero climax emotivo.
I ruoli secondari sono stati tutti fortemente interessanti, con una menzione speciale per il furioso Monterone di Viktor Shevchenko. Il coro ha arricchito l'esperienza scenica con un suono vibrante e potente, supportando la narrazione con la loro versatilità e il loro impegno, sotto la direzione del Maestro del coro Luigi Petrozziello. La sopraffina direzione orchestrale di Jordi Bernàcer ha saputo cogliere le sfumature dell'opera.
Dal punto di vista visivo, la scenografia di Carlo Centolavigna e i costumi elaborati e dai colori audaci di Artemio Cabassi sono riusciti a trasportare gli spettatori nel mondo decadentista della corte mantovana, mentre l’illuminazione di Bruno Ciulli ha contribuito a creare atmosfere suggestive, accrescendo l’impatto drammatico delle varie scene.
Questa produzione di Rigoletto al Teatro Massimo di Catania ha risposto alle aspettative sia musicali sia drammatiche, regalando un'esperienza memorabile al pubblico. La direzione di Leo Nucci ha offerto un'interpretazione che valorizza i complessi legami emotivi dell'opera, rendendola accessibile e attuale. Gli applausi scroscianti e le ovazioni finali dimostrano che il pubblico ha accolto con entusiasmo questo viaggio nella tragedia di Verdi, e si può solo sperare che un tale livello di arte possa continuare a prosperare nelle future produzioni.
La presente recensione riguarda l'andata in scena con differenti interpreti del sabato 2 novembre 2024.