Fino al 10 novembre, il Teatro San Ferdinando di Napoli ospita Re Chicchinella, l'ultima creazione di Emma Dante, che chiude il suo viaggio nel meraviglioso e inquietante universo di Giambattista Basile, ispirandosi alle fiabe contenute nel suo celebre Lo Cunto de li Cunti. Dopo i successi precedenti de La Scortecata e Pupo di zucchero, la regista siciliana torna a confrontarsi con il mondo fiabesco, adattando la novella di un re malato, per offrire una riflessione pungente e provocatoria sull’ipocrisia e l'avidità che caratterizzano il nostro presente.
Il buio totale in sala accoglie il pubblico, un'atmosfera che rispecchia sin da subito la cupezza e il distacco del racconto. La scena inizialmente spoglia – una scelta registica che da sempre caratterizza la poetica di Dante – è volutamente priva di scenografie imponenti. La bellezza visiva nasce dalla potenza dei costumi, dalle maschere e dalla disposizione degli elementi che compariranno durante lo spettacolo, dando vita a un'atmosfera barocca che ben rappresenta la decadenza di un regno in rovina. Pian piano, la luce comincia a filtrare, e al centro della scena emerge un gruppo di attori vestiti di nero, con maschere da gallina che richiamano le figure delle prefiche o chiangimorti. Questi personaggi, simbolo di tristezza e lutto, si dedicano alla recita di rosari e ai loro piagnistei, creando un effetto di inquietante presagio che prelude all’evento finale.
Il re Chicchinella è descritto come una figura tragicomica: costantemente accudito da due servitori, la sua esistenza è ridotta a un doloroso rituale di cure quotidiane, fino al momento scioccante in cui il sovrano racconta il suo irriverente e tragico evento, tornando dalla guerra colto da un bisogno corporale impellente, scende da cavallo e s’inoltra in un vicoletto e si vede costretto a usare una gallina – creduta morta – per pulirsi. L'immagine di quest'atto grottesco e paradossale, che mescola il comico al tragico, è al contempo disturbante e rivelatoria, segnando l'unico vero punto di contatto con la novella di Basile. Tuttavia, mentre nel testo originale la figura che si attacca alle terga del re è una papera che “caca denari sonanti”, qui Emma Dante opta per una gallina dalle uova d'oro, in un richiamo che sembra evocare la celebre favola di Esopo, ma con una tonalità decisamente più amara.
In questo regno morente, la discesa nel dolore del sovrano non è certo alleviata dalla sua corte. Al contrario, moglie, figlia e cortigiane sono lì non per sollevarlo dalla sofferenza, ma per nutrire la loro avidità. Se nel racconto di Basile il sentimento predominante è l'invidia, nel lavoro di Dante è l'avidità e l'ipocrisia ad assumere il primo piano: cortigiani e familiari sono animati da un’irrefrenabile fame di ricchezze, incapaci di vedere oltre il proprio interesse personale. Il re, ormai ridotto a un semplice corpo da sfruttare, diventa simbolo di una solitudine drammatica, di un potere che, pur in rovina, continua a suscitare desideri egoistici e illusori.
La regia di Emma Dante affida ai suoi attori una prova di grande intensità. Carmine Maringola, nel ruolo del protagonista, è straordinario nel rappresentare l’agonia interiore del re. Ogni espressione e movimento del suo corpo è un grido silenzioso che racconta la solitudine del potere, una sofferenza resa ancora più drammatica dalla freddezza della corte che lo circonda. La sua interpretazione offre una testimonianza toccante, carica di significato e di denuncia sociale. Come dice Dante stessa: "Per il mondo, lui e la gallina sono la stessa cosa", un’amara verità che si riflette nei volti dei cortigiani, incapaci di provare empatia, ridotti a mere marionette della loro brama di ricchezza.
Tuttavia, nonostante la forza della riflessione sociale e politica, lo spettacolo fatica a trovare una connessione profonda con la tradizione teatrale napoletana, quella capace di esprimere, attraverso il dialetto e la cultura popolare, la complessità delle emozioni umane. Il lirismo, che ha caratterizzato i lavori dei più grandi drammaturghi napoletani come De Simone, Ruccello e Moscato, sembra mancare in Re Chicchinella. Non si avverte quella ricerca delle parole potenza espressiva del lirismo antropologico napoletano, che da sempre ha saputo fondere il comico e il tragico con una forza che tocca le corde più intime e spesso frivole dello spettatore.
Nonostante ciò, Re Chicchinella resta un'opera potente e provocatoria, che riesce a far ridere e riflettere allo stesso tempo. È un invito a guardarci dentro, a mettere in discussione le nostre debolezze e il nostro rapporto con il potere, l'avidità e l'invidia. La regia di Emma Dante riesce a farci vivere un’esperienza teatrale unica, in cui la fiaba si trasforma in uno specchio dell’animo umano.
RE CHICCHINELLA
scritto e diretto da Emma Dante
libero adattamento da Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile
con Angelica Bifano, Viola Carinci, Davide Celona, Roberto Galbo, Enrico Lodovisi, Yannick Lomboto, Carmine Maringola, Davide Mazzella, Simone Mazzella, Annamaria Palomba, Samuel Salamone, Stephanie Taillandier, Marta Zollet
elementi scenici e costumi Emma Dante
luci Cristian Zucaro
produzione Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, Atto Unico / Compagnia Sud Costa Occidentale, Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale, Carnezzeria, Célestins Théâtre de Lyon, Châteauvallon-Liberté Scène Nationale, Cité du Théâtre – Domaine d’O – Montpellier / Printemps des Comédiens