Ho paura torero: Lino Guanciale è Fata al Bellini di Napoli. Recensione

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Ho paura torero: Lino Guanciale è Fata al Bellini di Napoli. Recensione

Ho paura torero, tratto dall’omonimo romanzo di Pedro Lemebel, in scena al Teatro Bellini di Napoli, fino a lunedì 31 marzo 2025, porta con sé un’esperienza teatrale densa di significato, emozioni contrastanti e riflessioni politiche. Questo adattamento, curato da Claudio Longhi, e alla sua prima regia, con una straordinaria interpretazione di Lino Guanciale nel ruolo della Fata dell’Angolo, fa rivivere sul palcoscenico le inquietudini e le contraddizioni della Santiago del Cile 1986, governato da Augusto Pinochet e dal suo esercito. Ovunque si guardi, c'è oppressione, ma anche segnali inarrestabili di ribellione sotto la dittatura di Pinochet.
La storia ruota attorno alla figura della Fata dell’Angolo, "travestito passionale e canterino" che ha abbandonato la strada per dedicarsi alla sartoria, e a Carlos, giovane attivista del Fronte Patriottico Manuel Rodríguez. Fata e Carlos, in un intreccio di eros e politica, si confronteranno con le proprie identità, i propri desideri e il sistema oppressivo che li circonda. La Fata, interpretata da Lino Guanciale con una sensibilità straordinaria, incarna un’umanità dolente e malinconica, mentre Carlos, un sempre più bravo Francesco Centorame, rappresenta la gioventù ribelle che, pur nella sua passione rivoluzionaria, inizia a comprendere la realtà emotiva e sociale di chi vive ai margini.
Carlos usa la casa della Fata per gli incontri rivoluzionari segreti e sembra ricambiare il favore con un certo trasporto caloroso nei suoi confronti. Conosciamo frammenti del passato della Fata, brutale, proprio come la brutalità del presente è nascosta da un sottile velo della percezione romantica del mondo della Fata. E in questo scambio di sguardi e carezze, si sta organizzando un attentato alla vita di Pinochet.


Lo spettacolo si sviluppa in un contesto drammatico e feroce, dove la passione e la lotta politica si intrecciano in un racconto profondo sull’amore e sul desiderio. Il testo di Lemebel, icona della letteratura queer e della resistenza al regime cileno, è reso vivo in scena da una regia che mescola sapientemente la realtà storica con l’intimismo dei protagonisti, creando un paesaggio emotivo che oscilla tra il grottesco e il struggente.
L’adattamento teatrale non si limita a un semplice trasferimento del romanzo sul palco: Longhi, con l’aiuto di un cast impeccabile, riesce a restituire la potenza della scrittura di Lemebel, evitando di ridurre la complessità dei personaggi a semplici archetipi. La narrazione, che alterna momenti di grande intimità a situazioni politiche di forte impatto, è arricchita da interventi multimediali e da un uso intelligente della scenografia, a cura di Guia Buzzi, che riproduce una Santiago febbricitante, popolata di murales e graffiti, ma anche intrisa della solitudine dei suoi protagonisti.
Particolarmente incisiva è la presenza di Pinochet (da Mario Pirrello), che, in scena, non è solo il dittatore spietato e feroce, ma un uomo tormentato dai suoi fantasmi interiori, simbolo di una potenza che non trova pace nemmeno nel proprio intimo e narrato principalmente attraverso gli infiniti monologhi di sua moglie Doña Lucia, che lui deve stoicamente sopportare. Il suo contrasto con la vita vibrante della Fata dell’Angolo, che persegue il suo desiderio di amore e libertà, risalta l’asprezza di un regime che non riesce a spegnere la vitalità e il desiderio di cambiamento.
L’opera di Lemebel, con la sua scrittura caustica e sensuale, si riflette nell’adattamento teatrale che, pur mantenendo fede alla lingua originale, arricchisce la narrazione con spunti visivi e sonori. Le proiezioni di Riccardo Frati e le scelte scenografiche di Guia Buzzi creano un’atmosfera che va oltre il semplice racconto storico, diventando un tributo alla libertà di espressione e alla lotta contro le oppressioni.
Nel contesto attuale, Ho paura torero assume un significato ancora più profondo, invitando a riflettere sulla memoria storica, sulla violenza politica e sulle questioni di genere che, nonostante gli anni passati, sono sempre al centro del dibattito pubblico. Longhi, nel suo ruolo di direttore artistico del Piccolo Teatro di Milano, riesce a dare vita a un'opera che parla di passato ma guarda anche al presente, richiamando alla necessità di non dimenticare le lezioni della storia e le battaglie ancora aperte in nome dei diritti civili e dell'affettività.


Con un cast che spazia da Lino Guanciale a Mariano Pirrello, passando per Francesco Centorame e Giulia Trivero, lo spettacolo offre interpretazioni memorabili, tutte al servizio di un progetto che è tanto una riflessione sulla storia quanto un viaggio nell’intimità dei suoi protagonisti. L’intensità emotiva che pervade la scena, unita a una regia raffinata e audace, rende Ho paura torero una proposta teatrale imprescindibile, capace di coinvolgere, emozionare e far riflettere.
E poi, un aspetto interessante è stato il modo in cui è stata trattata l'identità di genere della Fata dell'angolo. Non so come Lemebel l'abbia affrontato nel suo libro, ma ho trovato interessante il fatto che la Fata si percepisca chiaramente come una donna e usi i pronomi lei/sua, mentre le persone intorno a lei la vedono e la trattano come un uomo gay, utilizzando i pronomi lui/lui. Si potrebbe pensare che la Fata venga in qualche modo maltrattata, ma in realtà non sembra particolarmente turbata da questa situazione. Credo che ci sia qualcosa di significativo sulla fluidità del genere in questo, e mi piacerebbe anche sapere se questo aspetto fosse presente anche nel testo originale.