È uscito venerdì 29 novembre, in digital download e in distribuzione fisica “L’uva e il vino”, il nuovo album di Marco Ferradini (etichetta Cello Label, prodotta da Antonio Chindamo per Auditoria Records, distribuzione digitale a cura di Music Rails, distribuzione fisica SELF).
Marco Ferradini ci ha presentato il suo nuovo progetto e si è raccontato alle nostre pagine.
Partiamo dal titolo dell'album “L'uva e il vino” che è anche il titolo di una canzone ivi contenuta. Così come il vino è un'evoluzione dell'uva possiamo dire che questo album è una tua evoluzione?
«Assolutamente si, hai centrato nel segno! Nel libretto interno dell'album ci sono due fotografie, una che mi ritrae nel 1972 a Londra quando avevo i capelli lunghi, non avevo baffi e barba ed ero un ragazzo molto esile ma già artista. L'altra fotografia invece mi ritrae adesso dopo un po' di anni di maturazione. Naturalemente gli argomenti sono cambiati, si sono approfonditi e sono maturati infatti in quest'album tratto diversi argomenti ma sempre con un occhio di riguardo al rapporto tra uomo e donna che è il mio leitmotiv».
Visto che hai appena parlato del rapporto tra uomo e donna, voglio chiederti la canzone “L'uva e il vino” potrebbe essere il “come volevasi dimostrare” della tua canzone “Teorema”?
«Di fatti è proprio così! È un Teorema due la vendetta (ride). È la visione, da un altro punto di vista, dello stesso problema, di queste nostre care amiche donne, che io adoro, delle loro grandi contraddizioni quando ci dicono di volere un uomo poco arrogante, gentile, che le stupisca portandole dei fiori, portandole al cinema, un uomo bellissimo, un uomo del futuro insomma e poi, quando trovano un uomo così che le ama sinceramente, loro si stancano dicendo che non c'è divertimento, che non c'è passione e non c'è quel brivido che vogliono sentire quando amano. Quindi, molto spesso, si mettono nei guai da sole perchè poi si innamorano di quello che, ahimè, non le dà niente di tutto quando detto prima, ma al contrario le fa anche soffrire».
Questa canzone è accompagnata da un video. All'inizio del video tu scrivi una lettera, è una lettera che indirizzi alle donne?
«Esatto, è una lettera che io scrivo alle donne dicendo che, molto spesso, le artefici del loro supplizio sono loro stesse, supplizio per modo dire ovviamente, però sono loro che si mettono nei guai e in situazioni complicate. Forse loro vogliono redimere l'uomo tramite l'amore, ma ci sono uomini che si lasciano redimere e altri no. Le donne non si accontentano delle cose facili, al contrario l'uomo preferisce un rapporto semplice. Le donne pare che amino le complicazioni, quindi se un rapporto è normale e tranquillo si stancano».
Sempre nella canzone “L'uva e il vino” canti «ora so cosa sono io, un ingenuo che non sa leggere quello che le parole nascondono». Sarebbe stato più semplice se la donna avesse parlato più chiaramente e, invece no, deve essere l'uomo a capire...
«Esattamente! In un altro brano dell'album, infatti, che si chiama “La 500 e l'astronave” questa tematica è ancora più sviluppata, perchè racconto del cervello dell'uomo e della donna. Il cervello dell'uomo è come il cruscotto di una vecchia cinquecento con due tastini “Acceso e Spento” e una spia rossa grande con su scritto “sesso” (ride). Invece, la donna è come entare in una cabina di pilotaggio, piena di luci colorate, manopole e quadranti, uno spettacolo fantastico e l'uomo lì si perde e ne resta affascinato. Se schiaccia il tasto giusto sarà per tutta la vita ma se schiaccia quello sbagliato soffre per tutta la vita (ride)».
In un'altra canzone contenuta nell'album “Le parole” tu canti «che pena fanno le parole, fanno a gara con le emozioni», quindi, in amore racconta più uno sguardo rispetto a mille parole?
«Lo sguardo non mente mai, ti rapisce e ti cattura. Pensa a un sospiro e quante parole non espresse esso contiene, così come lo sguardo ti fa capire subito se c'è o meno un'intesa. Le parole molto spesso ci possono imbrogliare, gli sguardi e i sospiri secondo me no. Sono come la musica, se uno fa buona musica vuol dire che è una bella persona (ride)».
E parlando proprio di musica, questo tuo album è un album “suonato”. La tecnologia è importante ed è un buon ausilio ma non può sostituire il suono di una chitarra o comunque il suono degli strumenti musicali...
«Esatto, non può sostituire ad esempio il suono del basso, della batteria o del pianoforte. Questo è un album suonato con dei musicisti veri e non con il computer, certamente poi tutto passa da un computer per essere mixato ma in quest'album i suoni e i musicisti sono veri, quindi è un album completamente suonato. Non ho voluto guardare alle mode attuali perchè non volevo rischiare di fare un qualcosa che poi non mi sarebbe piaciuto. Ho voluto regalare alla gente qualcosa di cui sono realmente convinto e che mi emoziona, sperando che ci sia gente che comprenda il messaggio e si emozioni come me».
È possibile trovare un filo conduttore tra tutte le canzoni dell'album?
«Sicuramente c'è e sono i miei pensieri, è la mia maturazione avvenuta attraverso quello che ho visto, quello che ho percepito vivendo la realtà e che ho messo all'interno dell'album. C'è sempre un filo conduttore in tutte le cose che si fanno, anche se tu non ci pensi, non è necessario realizzare un concept album per avere un “filo rosso”. Viene fuori dalla spontaneità dei brani, se tu li ascolti ti rendi conto che, in ognuno di questi brani, c'è una storia da raccontare come in “Le parole”, “L'uva e il vino” o in “Via Padova” che racconta di Milano e di una via per me molto importante dove ho vissuto. C'è un altro brano che si chiama “Lombardia” e un pezzo che si chiama “Siamo”, che parla degli italiani e dei loro dei vizi. C'è un brano che si chiama “Musica dentro” dove ringrazio i miei genitori che mi hanno trasmesso questa passione che mi ha fatto vivere di musica. C'è anche una canzone natalizia, se vogliamo, che si chiama “Buona Stella” cantata con mia figlia Marta, che con me canta altri tre brani, e che è anche lei una cantautrice con la quale stiamo lavorando per proporre un suo lavoro completo».
E noi saremo pronti ad organizzare un'intervista, questa volta con tua figlia (rido).
«Esatto (ride). Poi siamo in giro per concerti, perchè abbiamo iniziato a fare concerti e la prossima estate ci vedrà ancora insieme a cantare. È tutto molto bello perchè senti di avere vicino una persona che ti vuole bene e con la quale condividi, per me, la cosa più bella del mondo che è la musica».
A me piace abbinare la musica alla cucina e quindi ti chiedo, se tu fossi un piatto che piatto saresti e perchè?
«La pastasciutta, per me la cosa più buona del mondo (ride). Quando a un italiano manca la pastasciutta gli sembra di sedersi a tavola e non mangiare, perchè il nostro imprinting è quello, ed è talmente buona e gratificante che quando la mangi non smetteresti mai di mangiarla ed è sempre la benvenuta in tavola, con qualsiasi forma di pasta va bene sempre».