Al Teatro Bellini di Napoli, fino al 22 settembre, Drusilla Foer porta in scena "Venere nemica", un'opera che riunisce in un’unica cornice ironia, introspezione e una rielaborazione vivida di temi classici. Insieme a Giancarlo Marinelli, Drusilla ha creato una drammaturgia che si avvale della fascinazione del mito di Amore e Psiche ispirato alla favola di Apuleio, rinnovandolo con una freschezza sorprendente e attualizzandone i temi per il pubblico contemporaneo.
Drusilla Foer, nata dalla folle mente artistica di Gianluca Gori, è diventata uno dei personaggi più emblematici dell’arte italiana, una donna snob, chic, indefinitamente ageé, che in questo spettacolo è Venere, dea della bellezza e dell’amore, che “dopo aver girovagato, raminga, randagia, per secoli e secoli abitato ovunque, in ogni angolo della terra” si stabilisce a Parigi, dove può finalmente concedersi il lusso dell’imperfezione, godendo delle debolezze umane in cui è immersa.
L’incipit è chiaro «Io sono stata ferita, calpestata, umiliata, derisa, offesa dall'uomo e dagli dèi. Io voglio che si sappia e questo è il momento giusto e il luogo giusto per rivelare: il teatro, il luogo sacro dell'ascolto e io desidero essere ascoltata e pretendo essere creduta, io me lo devo. Una divinità non sbaglia mai, io voglio essere creduta, nessun umano può immaginare quanto sia doloroso per una divinità non essere creduta».
Venere emerge così come una figura stratificata, ironica e vibrante, scossa e scalfita dalle complessità delle emozioni umane di cui parla in maniera vezzeggiativa, quasi a volersene difendere, ben conscia di non esserne affatto immune.
La dea è calata tra i mortali, come lei stessa ostinatamente li definisce, (forse) inconsciamente a difesa del suo status divino che la ingabbia sì, ma resta ancora l’unico vessillo a cui superbamente aggrapparsi, in opposizione ad una più clemente Psiche, che utilizza invece il termine “umani”; e fra gli umani-mortali, Venere esplora i temi universali della rivalità tra suocera e nuora, la bellezza che svanisce nel tempo, la possessività materna nei confronti del figlio più bello, il conflitto mitologico tra uomini e Dei.
L’interpretazione di Drusilla Foer è una celebrazione di questo personaggio, che sembra esserle stato cucito addosso come un «Dior su misura». Venere si staglia vezzosa sulla scena, nonostante i millenni trascorsi, come durante la telefonata al Dio Marte, dove sinuosa assume le sembianze del celebre quadro di Botticelli, Venere e Marte (1482-83).
Con la sua inconfondibile eleganza, riesce a mescolare momenti di alta drammaticità a sfumature di comicità, dando vita a una Venere che, difendendo spasmodicamente la sua condizione divina, viene ora sedotta e ora ferita da vicissitudini tipicamente umane. L’attrice riesce a rendere palpabili le contraddizioni della Dea: tra desideri di libertà e accettazione del suo ruolo, Venere si trova a dover riconoscere e affrontare il rancore nei confronti del figlio Amore, che si è ribellato alla sua autorità di «madre, Dea e regina», scegliendo Psiche.
Il cast è completato da Elena Talenti, che veste i panni di una misteriosa e inseparabile cameriera, che sembra vegliare saggiamente sugli eccessi della dea. La Talenti con grazia trasmette la fragilità e la forza di un personaggio che pur sotto assedio, è capace di elevare il proprio valore. Il loro interscambio si fa poesia, passando attraverso momenti di alta tensione emotiva, per approdare a una riflessione sull’amore incondizionato, che culmina in un’ammissione finale tragica ma liberatoria.
La regia di Dimitri Milopulos, con il suo tocco ricercato, ha saputo colmare il palcoscenico di allusioni e richiami alle varie sfaccettature della condizione umana, anche se scarno. Lo spettacolo è un viaggio visivo e uditivo che ci invita a riflettere con la giusta dose di ironia. La presenza di brani come “La mer” di Trenet ricalca la dimensione di nostalgia ed estetica bellezza che caratterizzano la narrazione.
“Venere nemica” non è soltanto uno spettacolo, ma un invito a esplorare le complesse relazioni umane e divine, un viaggio dove ogni risata si mescola a una riflessione profonda, dove il mito riprende la dimensione originaria di universalità, facendosi attuale, anche grazie a un ricco intessuto di riferimenti alla cultura pop dei nostri tempi, «Ah, l’Olimpo! Un ambiente stupidamente pallidoo, pieno di colonne bianche, templetti bianchi, capitelli bianchi, nuvole bianche, ad un certo punto desideri con tutta te stessa un banchetto dell’Ikea verde mela!».
Drusilla Foer riesce a trasmettere un messaggio di speranza e scoperta, in un’epoca in cui gli Dèi sono in declino, ma l’amore – quello vero – continua a fiorire tra le ferite e le umiliazioni della vita. Un invito a scoprirci meglio, a cercare il bello anche nella vulnerabilità.
«L’eternità, la condizione degli dei, una burla interminabile di tempo che prende e basta, ma non basta abbastanza per contenere quella brama di vivere che è possibile solo se sai di morire. Maledetta l’immortalità è una prigione da cui siete liberi, liberi di provare, di amare, di aspettare, di cadere, di ricadere, liberi di scegliere la vostra vita. Maledetta immortalità. Però posso stare in disparte e vegliarvi in eterno, che mi crediate o no, innamorata dei vostri sguardi intimoriti, innamorata dei vostri sguardi innamorati, cercando di capire quel che dell’amore vi mostrate e magari averne un po’ anche per me, così come sono, non perfetta. Ma se credere in me vi dà forza, divoratemi, divorate tutto ciò che sono, vi prometto, sarà divino».