Gianclaudio Caretta, 25 anni, tarantino, in questi giorni è nelle sale con il nuovo film di Claudio Insegno “Ed è subito sera” tratto dall’omonimo libro di Tonino Scala sulla vera storia di Dario Scherillo, un ragazzo innocente vittima per errore dell’efferata criminalità campana. Nel film anche Franco Nero, Gianluca Di Gennaro, Alina Person, Paco De Rosa e tanti altri, un film fortemente voluto anche dalla Fondazione Pol.i.s che vuole mantenere viva la memoria delle persone vittime innocenti della violenza criminale.
Gianclaudio ha appena finito di girare un altro film per il grande schermo, ma ne parlerà quando sarà il momento, ma sono in uscita due cortometraggi, ai quali, è molto affezionato uno sulla violenza sulle donne, prodotto dall'America da Jo Champa e Susan Rockfeller “Il Giorno più bello” di Valter D’Errico, ed è uno degli unici cortometraggi al mondo supportato dall’associazione #metoo. L’altro è “La Goccia e il Mare”, diretto da Daniele Falleri, nel ruolo di un disabile omosessuale, una commedia sugli equivoci. È co-protagonista con Carlotta Antonelli anche nel corto “Arida” per la regia di Francesco Maria Dominedò, una storia ambientata negli anni ‘60 e, infine, una piccola partecipazione nel film “In the Trap”, con un cast tutto americano. Questi sono i prossimi progetti in uscita di un brillante attore in ascesa, i ruoli di Gianclaudio Caretta raccontano la storia della sua dedizione, perseveranza e passione, la sua personalità versatile e la sua flessibilità sono chiaramente evidenti nei suoi ruoli, bravura dovuta anche ai suoi studi in America.
Avevi mai letto di vittime innocenti di camorra che succedevano in Campania, anche se poi tu provieni da un’altra realtà difficile come la Puglia?
«Si sentono spesso, purtroppo, nominare ed è troppo difficile immedesimarsi quando non si vivono in prima persona. Tutti le ascoltano queste notizie, però nessuno entra dentro per davvero. Attraverso questo film ho avuto una grande occasione, prima ignoravo, forse data la mia giovane età, questi tragici eventi, non pensavo ci potesse essere tutto questo dietro, quando ho conosciuto la famiglia Scherillo e altre famiglie di vittime di camorra, ragazzi innocenti uccisi per scambi di persona, ho cominciato a capire questa realtà. Sinceramente, la cosa per la quale sono più contento nell’aver fatto questo film e che ho avuto modo, nel mio piccolo, di essere tramite di un messaggio per tutti i miei coetanei e anche per i ragazzi in fase adolescenziale, affinché possono avere un piccolo incipit per dedurre che c'è una distinzione netta tra i buoni e cattivi, tra ciò che affascina, come potrebbero essere le serie tv dei giorni d’oggi e quello che, in realtà, bisogna considerare. Dietro ci sono delle famiglie semplici, ci sono delle storie di normalità, di quotidianità e spesso vanno di mezzo persone che non c'entrano niente e viene rovinata la loro vita e di tutte le persone intorno a loro. Spero che questo film possa essere un veicolo a sensibilizzare tutti a entrare di più nel vivo di queste dinamiche».
C’è qualcosa della sceneggiatura che ti ha colpito e per cui hai deciso di fare questo film di là dell’aspetto lavorativo?
«Mi sono innamorato di questa sceneggiatura, paradossalmente ma anche no, nello specifico per l'ultima scena che abbiamo girato. Quando ho letto che avrei visto la scena della sparatoria, avrei visto il mio amico attraverso la vetrata di un bar fare questa fine, ho realmente capito l'esigenza narrativa, il messaggio. Ho capito tutto di questo film, perché in quell'attimo è come se avessi immaginato potesse succedere a mio fratello di vent’anni e, in quel momento, ho immaginato se avessi visto una scena del genere di mio fratello, di un ragazzo di vent'anni che va al bar a bere un caffè con gli amici, come sarebbe cambiata la mia vita? In questo modo, sinceramente, ho avuto la possibilità di avere la certezza di voler fare questo film, perché ho ritenuto che potesse essere necessario per me come uomo, per arricchirmi, per capire realmente cosa significhi poter vivere un dramma del genere e per il presupposto per cui potremmo arrivare al pubblico».
Com’è stato, invece, lavorare con questo numeroso cast. Che cosa combinavate sul set?
«Le mie scene sono state tutte quante con mio padre nel film, ovvero, Franco Nero e con Gianluca Di Gennaro che ha interpretato Dario Scherillo, eravamo migliori amici nel film. Con Franco ho avuto un rapporto più serioso, sia perché a livello scenico lui era un papà molto rigido e sia per questione di circostanze, ci siamo trovati a vivere delle scene abbastanza ferree con lui, quindi, c'era un clima più serioso, abbiamo fatto le persone serie. Con Gianluca, tranne le ultime scene in cui c'è stato il massimo rispetto, soprattutto, per la presenza della famiglia Scherillo sul set venuta a vedere tutte le scene, tranne l'ultima cui hanno preferito allontanarsi. Per il resto, in tutti i momenti che ci facevamo le telefonate goliardiche o giocavamo, avevamo questo rapporto molto goliardico nel film e fuori, abbiamo cercato di vivere lo stesso clima. Siamo diventati amici con Gianluca, siamo coetanei, ci siamo divertiti e abbiamo fatto i seri quando era richiesto».
Fra gli attori c’era qualcuno con cui avevi già lavorato?
«Con nessuno, ho conosciuto tutti quanti per la prima volta sul set».
E lavorare con un’istituzione internazionale come Franco Nero?
«É stato un onore, io sono fan sfegatato di Quentin Tarantino. Ho cominciato a fare questo mestiere guardando Pulp fiction e per me incontrare Quentin e tutte le sue correlazioni, quindi attori come Franco, che ha lavorato più volte con Quentin Tarantino, è stato come toccare con mano i motivi principali per cui mi sono avvicinato a questo mestiere. Sicuramente un grande onore e poi siamo entrati subito in empatia perché avevamo una scena in cui lui mi tirava un ceffone ed io, il primo giorno che lo vidi, gli dissi in pugliese:”Franco, allora te lo dico subito. Alla scena dello schiaffo, me lo devi dare veramente lo schiaffo.” E lui disse:”Mi piace questa tua teoria di voler prendere realmente lo schiaffo. Te lo darò. Cinema verità.” Dissi:”Sono contento, Franco, dammelo così facciamo un lavoro migliore”».
Hai studiato in America con Ivana Chubbuck e Paul Haggis, domanda banale, perché scegliere di andare In America?
«Ero molto attirato ideologicamente da cosa potesse essere l'America e quando mi sono avvicinato al cinema, ho cercato di capire come potessi avvicinarmi sempre di più dal punto di vista pratico, del livello di preparazione, alle persone che ho sempre stimato e amato da prima che cominciassi a fare questo mestiere. Allora, sono andato in America e ho fatto dei brevi periodi e sono riuscito a formarmi, a studiare, ho studiato in lingua. É un percorso che mi ha fatto vivere un'esperienza diversa e mi ha allargato gli orizzonti professionali e spero di riuscire a fare sempre il massimo.»