Mi bastò guardarlo per capire che sarebbe stato lui l'uomo della mia vita.
Fu un colpo di fulmine.
Lo adoravo.
Mi faceva sentire perfetta.
Amata.
Non desideravo null'altro se non vivere con lui.
Mi chiese subito di sposarlo e, nell'attimo in cui lo fece, mi sentii la donna più fortunata al mondo.
Subito rimasi incinta.
La gioia più grande per me.
Vivevo la favola della mia vita.
Avevo tutto.
Poi lui cambiò.
Era spesso fuori con la scusa che avevamo problemi economici, ma in cuor mio sapevo non era così.
A otto mesi le contrazioni.
La corsa in ospedale.
Il ricovero immediato.
Lui sparì ancora lasciandomi da sola.
Ritornò alle 12.
Alle 12:30 diventai mamma.
Di nuovo da sola.
Si fece vivo solo la sera.
Con me c'era mio fratello.
Fu lui a raccontarmi per la prima volta la verità su mio marito.
Dai suoi racconti mi sembrava un estraneo.
Non era quello l'uomo che avevo sposato.
Non potevo crederci.
Mio marito non poteva essere un tossico.
Doveva essere il giorno più bello della mia vita quello.
Divenne l'inizio del mio incubo.
Tre mesi dopo la nascita di mio figlio la prima overdose.
Lo amavo troppo per lasciarlo.
Diventai la sua infermiera.
In fondo era il padre di mio figlio.
Ero convinta di poterlo salvare.
Che stupida!
Lui mi ripagò passando dalle offese alle botte.
Schiaffi.
Pugni.
Calci.
Il mio pane quotidiano era questo.
I ricoveri in ospedale e le continue bugie su come mi fossi fatta male.
Per tutti ero maldestra.
Era questo che raccontavo.
Un giorno al pronto soccorso arrivai veramente in brutte condizioni.
Una caduta dalle scale, fu questo che dissi al medico di turno.
Per la prima volta, mi sentii dire che per evitare tutte queste "cadute" bastava solo trovare un po' di coraggio e denunciare.
"Ma denunciare chi? - pensai - il padre di mio figlio?"
La mia sciocca convinzione che sarebbe cambiato ha fatto sì che io rimanessi al suo fianco per altri nove anni.
Poi ho trovato il coraggio di dire basta.
Ma ancora una volta, anziché scappare via lontano, ho accettato la separazione in casa.
Penso di aver creduto che se sapeva di potermi perdere avrebbe cambiato la sua vita per me e nostro figlio.
Invece si verificò l'esatto contrario.
Non si limitava più solo a picchiare me.
Mise le mani su mio figlio.
Fu allora che mi resi conto che non poteva essere né un marito né un padre.
La voglia di salvare mio figlio fu più forte della mia paura di non potercela fare.
Andai dall'avvocato.
Ero decisa.
Ferma sulla mia decisione.
Quell'uomo doveva uscire dalla mia vita.
Ma io vivo in un piccolo paese.
E la mia famiglia, mia madre, era attaccata alle apparenze.
Una figlia divorziata e con un bambino era una vergogna.
Stavo sbagliando tutto.
Lui mi promise per l'ennesima volta che sarebbe cambiato e mi convinse a ritornare sui miei passi.
Una vacanza insieme per dimostrarmi che era diverso.
Un'altra possibilità per evitare che la mia famiglia subisse l'umiliazione di una figlia divorziata.
Partimmo per Bari.
Ancora un volta fiducia.
Ancora una volta la voglia di credergli.
Ancora una volta quel noi a cui non sapevo rinunciare.
Scese dall'auto per chiedere informazioni, così mi disse e dopo due minuti un uomo bussò al finestrino.
Ho creduto fosse un ladro.
Invece era un finanziere.
Il cofano della macchina era pieno di pacchi.
Fui arrestata per trasporto di droga.
Io.
Io che non avevo nulla a che fare con questo mondo.
Io.
Cresciuta con valori e principi, mi sono ritrovata nuda, in cella, trattata come una poco di buono.
La cella zero, così la chiamavano.
Può succedere di tutto lì, tanto non esiste.
Solo dopo 24 ore vennero a prendermi, restituendomi quel poco di dignità che mi era rimasta, i vestiti.
Quando cominciai a capire cosa fosse successo, mi resi conto di tutto.
Ancora una volta le bugie.
Ancora una volta l'abbandono.
Ancora una volta la falsità.
E io sciocca a avergli creduto ancora.
Mi aveva trasformata in un corriere della droga e il giudice avallò questa tesi.
Il mio unico pensiero era per mio figlio.
Non avrei potuto vederlo crescere.
In carcere se non hai soldi a disposizione non sei nessuno e io non ne avevo.
Se non hai soldi non puoi permetterti nemmeno la spesa e quindi mangi ciò che ti danno.
Persi 10 chili.
Ero irriconoscibile, persino a me stessa.
Sprofondai in una forte depressione, ma non mi arresi.
A mantenermi viva c'era il pensiero di mio figlio.
Ho combattuto fino all'ultimo per avere giustizia e quando credevo di non farcela più, un po' di luce.
Arresti domiciliari.
Il mio incubo è durato due mesi.
E quando credevo fosse finita, ritornando a casa con la certezza di abbracciare mio figlio, mi resi conto di dover combattere ancora, non solo con la famiglia di lui, ma anche con la mia.
Per la sua, la colpa di tutto era mia, perché non ero stata in grado di accudire il figlio.
Per la mia, ero una delusione, e quindi avrebbero deciso loro quando e come avrei potuto rivedere mio figlio.
Entrata a casa, credetti che ci fossero stati i ladri.
Tutto in disordine.
Mancavano anche i soldi dalla cassaforte.
Scoprii che era stata la sua famiglia a prendere tutto.
Ero povera.
Nemmeno i soldi per potermi permettere un pezzo di pane.
Dopo due settimane d'inferno, decisi di chiamare l'avvocato, scoprendo così che lui mi aveva accusato di tutto.
Volevo cambiare avvocato, ma non avevo i soldi per farlo.
Fu un mio amico appena laureato a salvarmi.
Ti difendo io, mi disse.
Nessuno fino a allora si era mai battuto per me!
Presi di nuovo coraggio.
Raccolsi tutte le forze che mi erano rimaste e ricominciai a combattere.
Dopo tre anni la vittoria.
Scarcerazione definitiva.
Ero libera, di nuovo.
E questa mia libertà non doveva più togliermela nessuno.
Credevo fosse finita.
E invece il bastardo e la sua famiglia continuarono a tormentarmi.
Questa volta le violenze non erano più fisiche, non potevano.
Cominciarono le violenze verbali.
Ho imparato che una parola fa molto più male di uno schiaffo.
Ti resta dentro.
Nell'anima.
E non c'è modo di cancellarla.
Avevo paura anche di uscire di casa.
Sapevano sempre dove andavo, come ero vestita e con chi ero.
Ormai non vivevo più.
Per lui non ero altro che una fallita.
Una da poter mortificare e insultare.
Una da poter picchiare.
Tanto non avrei mai avuto le palle di lasciarlo.
E invece questa piccola insignificante donna ha scoperto di potercela fare.
Questa piccola insignificante donna ha deciso di combattere.
Questa piccola insignificante donna ha vinto.
Il bastardo è fuori dalla mia vita.
Sono Bianca, ho 45 anni e dopo anni, posso dire di essere finalmente libera!
Storie di donne, Rosanna Pannone.
Se volete essere uno dei protagonisti dei mie racconti, scrivetemi: dottorecaffe@gmail.com
mettendo in oggetto "Storie di donne".
Mantenendo l'anonimato o, se vorrete taggandovi, racconterò la vostra storia, il vostro vissuto, la vostra vita.