«Vivo la musica come una forza interiore e credo in quello che faccio con passione.» Intervista a Silvia Salemi

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«Vivo la musica come una forza interiore e credo in quello che faccio con passione.» Intervista a Silvia Salemi

È la preferita dal pubblico che la vuole sempre alta in classifica nel programma “Ora o mai più” in onda il sabato sera su rai1, Silvia Salemi brilla con la sua freschezza effervescente e le sue performance vocali hanno un calore e una chiarezza sorprendenti con una presenza scenica di disinvoltura espressività. La sua vocal coach è Marcella Bella e qualcuno in trasmissione ha detto: “Dovreste fare un disco insieme.”
Durante la trasmissione del 2 marzo Silvia presenterà il suo nuovo singolo e da maggio inizierà un tour che la porterà nelle più belle località italiane. 
Come sta andando Ora o mai più? Che idea ti sei fatta su questo percorso fino a oggi?
«Ho seguito l'istinto e ho fatto bene, perché mi sto divertendo ed era quello che volevo. Dopo un periodo di televisione cui mi ero dedicata a trasmissioni caratterizzate da altre tematiche, di storie drammatiche, ora sono in uno show, dove la protagonista è la musica, il mio grande amore e dove posso esprimere la parte più gioiosa, più creativa di me e lasciare da parte quel mondo. È veramente una giostra, una situazione divertente, dove si sta sul palco, dove si prova perfettamente con l'orchestra. Cosa desiderare di più?»
Cosa pensi della tua vocal coach, Marcella Bella e lo shock che hai avuto quando hai saputo che era lei…
«Sono partiti dicendo:“È una siciliana come te.” E senza farmi dire chi fosse, avevo capito che era lei. Marcella Bella ha una personalità femminile tosta, come piace a me, in cui le cose si chiamano con il loro nome. Ha una famiglia, e nonostante la carriera, ha saputo dedicarsi ai figli crescendoli, quindi, abbiamo delle similitudini, ma anche delle grandi diversità, per cui ci siamo amalgamate. I lati opposti si attraggono, io sono più rockeggiante, ho un altro tipo d’impronta musicale. Ho questo taglio corto, lei è una leonessa, porta questi capelli meravigliosi da sempre, come io li porto cortissimi da sempre. Lei ha delle note divertenti come donna, se la sai prendere è anche una persona molto spiritosa ed entrare in empatia con lei non è significato solo entrare in empatia musicalmente, ma anche umanamente. E da lì si parte in percorsi tutti inimmaginabili, dove c'è la battuta, dove ti capisci con uno sguardo, lei tenderebbe un po' a sovrastare perché ha questa caratterizzazione proprio di leonessa, di carattere forte, di matriarca, un po' capofamiglia. Fatalmente, ho le stesse caratteristiche, anch’io sono un po' per la famiglia matriarcale, un po' per essere responsabili delle situazioni in cui si sta vivendo, non di lasciar correre, ma di cercare, quantomeno, di cavalcarle, per cui bisogna trovare degli equilibri, delle dinamiche per cui non ci si scontra e a me questo piace, perché il lavoro della diplomazia mi piace molto.»

                
Conoscevi il suo background fatto di grandi canzoni?
«Lei non lo accetta, s’incavola quando gli dico che ascoltavo le sue canzoni all’età di cinque anni. Ho evidentemente qualche anno in meno di lei, ma questo non toglie nulla a chi ha creato la possibilità di farmi conoscere benissimo il suo repertorio e, molte delle sue canzoni, passavano in radio quando io giocavo a palla in cortile con le amichette. Sono cresciuta con quella musica che ha investito tutti gli anni ’80 – ’90 e i più bei ricordi li ho in quegli anni, dall’84 in poi, come potrei dimenticarli. Certamente ho altre canzoni nella testa, altri cantanti, altri stili musicali con cui sono cresciuta, però come non conoscere Marcella Bella. E gliel’ho proprio detto:”Io mi ricordo che la mia amichetta del cuore aveva sempre la radio accesa con le tue canzoni ed è commovente che io oggi mi trovi a cantare con te, ma non per un fatto solo di ammirazione, ma per quanto la vita ti sorprenda e ti faccia incontrare persone che erano il suo immaginario fanciullesco e che poi diventano carne e ossa in età adulta.” Ciò ha qualcosa di romantico, quasi ottocentesco, una cosa che ti sei sognata e immaginata succede nella realtà dopo tanti anni. Sono cose che mi colpiscono molto.»
Parliamo di Giampiero Artegiani, scomparso da pochi giorni, con il quale hai collaborato per tanti anni e non so se stavi collaborando anche per questo nuovo album…
«No, da anni avevamo preso strade diverse,  ma la mia carriera inizia con lui che mi ha spronato nel diventare autrice, lo ero già, ma non ero iscritta alla SIAE, non avevo un riconoscimento ufficiale di questo mio percorso, quindi, lui l'ha fatto diventare ufficiale, poi, di fatto, ci siamo impegnati a scrivere “A casa di Luca” per Sanremo. Mi ha dato il la alla carriera, credendo in me, quando ero una ragazzina di sedici anni e mezzo. Mi ricordo che ho fatto il primo Castrocaro, ma non è andato bene e lui mi ha conosciuto lì e mi ha spinto a fare il secondo Castrocaro, dove abbiamo vinto insieme con una canzone scritta da entrambi. Io gli devo veramente tutto, è stato un grande amico, un consigliere, per cui io gli vorrò sempre bene e mi mancherà sempre una figura che ha significato veramente moltissimo. Era un poeta come ce ne sono veramente pochi, non era mai uno che urlava la musica, ma la raccontava, la poetizzava, la scriveva, la suonava ma non la urlava, aveva sempre un tono, quel gusto antico di fare musica. Per lui è stato traumatico il passaggio dall'analogico al digitale, e diceva la verità, che i dischi suonavano diversamente in analogico, in digitale erano freddi, la musica ha perso molto dall'analogico al digitale. Se dovessi dare un’idea di lui che restituisce un po' ciò che è la sua essenza: lui era una persona analogica, quindi umana, calorosa, a tratti anche chiusa perché anche la parte intimistica delle persone, delle situazioni è una cosa analogica, tutto quello che poi è un po' più freddo, invece, è digitale.»

                           
Con lui, nel tuo penultimo album, hai scritto “Domenica siciliana”, una canzone di grande potenza, anche negli arrangiamenti. Una mia curiosità personale, com’è nata questa canzone?
«È nata perché avevo registrato un rosario cantato da alcune signore, chiuse dentro questi vecchi dammusi siciliani, che si riunivano in maggio per osservare il mese mariano con le preghiere in dialetto siciliano, passavano le ore e poi finivano di pregare e si mettevano a cucire, quindi era anche occasione d’incontro. Andai con questo piccolo registratore e nella canzone c’è questo canto di queste signore che oggi purtroppo non ci sono più: “Oh amuri, oh focu, oh carità divina, che accendi, che brucia 'st'armuzza mia meschina.” Nel nostro dialetto è il nostro modo di pregare per la Madonna e mi dissi se non lo faccio adesso, non lo farò mai più, perché sapevo che questi canti li avrei persi prima o poi e quando Giampiero sentì la registrazione disse:“Ma dobbiamo comporci  una canzone”. Ci siamo messi a lavorare e, quindi, raccontiamo della liturgia della domenica, della passeggiata domenicale della famiglia che si riunisce nelle feste sacre che sono mischiate al profano, della sacralità della domenica siciliana che è una ritualità, come lo è in tutti i piccoli paesi.»
Sei molto legata, quindi, alle tradizioni della tua terra…
«Sono intimamente portatrice di questi valori, li trasmetto alle mie figlie, dove e quando posso, e spesso salvano queste certezze, perché dare sicurezza ai figli, che ci sono dei capisaldi, gli dà forza e, quindi, loro sanno che la domenica dovunque siamo ci ritroviamo sempre tutti, c’è sempre il pranzo in famiglia, si sta insieme, si vede un film, si fa una passeggiata. Questo è quello che io riesco a replicare in una realtà come Roma, una grande città, però per me la domenica per eccellenza è la domenica siciliana, si vanno a trovare i nonni, si va a messa, ci si vede con i cuginetti. Sono un po' all'antica, che vuoi fare.»
Le tue figlie accennano a fare il tuo mestiere o hanno qualche altra idea in merito?
«Le mie figlie adorano la musica, suonano entrambe lo strumento e, soprattutto, la grande canta, anche se io le auguro di fare altre scelte, perché ci vuole una testa particolare per fare questo percorso, alcuni lo chiamano mestiere, ma io non lo vedo come tale. La piccola, invece, le augurerei di fare bene quello che già sta facendo, cioè tennis. Lei ama lo sport del tennis, ha i suoi primi tornei, ma è molto piccola, quindi, è tutto da vedere, per il momento sto disputando i primi tornei vediamo cosa succederà.»
Inevitabile chiederti se  frequenti ancora la casa di Luca?
«È un augurio che mi faccio sempre, perché la casa di Luca è un posto dove tutti, prima o poi, dovrebbero stare e passare del tempo. Stare con degli amici, ascoltando buona musica, mangiando e bevendo un bicchiere di vino, raccontandosi le proprie emozioni di una settimana di lavoro o di un periodo difficile o quello che sia, è il ritrovo ideale di persone che vogliono stare bene in un’epoca un po' di rumore, l’epoca del tun tun cha cha, del frastuono per cui parrebbe che non si capisce più nulla, invece, in quel ritrovo si riesce a parlare a bassa voce e si riesce a dirsi come si sta veramente, nella semplicità. Tutti siamo un po' artefatti, tutti cerchiamo locali alla moda, macchine alla moda, vestiti alla moda, tutti cerchiamo di essere altro da quello che siamo, invece, stare bene con quel poco scelto, selezionato, bello, di amici veri, di realtà vere è la qualità.  Io aspiro sempre ad avere una casa di Luca, una situazione in cui con pochi amici si possa godere di emozioni vere, non forti perché per forti oggi s’intende per tutti droghe sintetiche altrimenti, non mi diverto, bere eccessivamente, altrimenti non mi diverto, ci dobbiamo divertire avendo il senno che funzioni, la ragione in azione altrimenti non ci rimane nulla.»

                       
Ti sei sempre identificata molto nei testi che hai cantato e, soprattutto, hai scritto?
«Un cantautore mette sempre del proprio, come un autore che scrive un romanzo in terza persona, ma ci mette sempre dei fatti che ha vissuto o sentito o immaginato, quindi, una parte di sé. Se ti racconto de “La maison” che parla della schiavitù dei negri che venivano deportati nelle Americhe con le navi negriere, non ti posso dire che m’identifico, ma m’identifico con quel dolore, con quella gente che cercava di sfuggire a qualcosa, ma andava incontro alla schiavitù, quindi, non sempre le tematiche sono prettamente legate alla mia vita, ma fanno parte di un mio modo di intendere la vita. In “Il ritorno” prendo un testo di Garcìa Lorca e lo faccio diventare canzone, ma m’identifico in lui, perché l'ho studiato, mi piace la sua poetica perché c'è una storia che ci accomuna sui valori, quindi, non sempre sono cose che ho vissuto, ma in cui mi posso identificare sul piano dei valori.»
Hai detto che c'è una storia che ti accomuna a Garcìa Lorca, qual è?
«Intanto, su Garcìa Lorca ho scritto un disco, “Il gioco del duende”. Nella conferenza di Cuba del 1929 parla di un diavoletto, lui lo chiama così, che entra nei piedi e enduenda il cantaor, cioè la persona che si approccia al ballo o al canto enduendandosi, vivendo la forza di questo diavolo. Un diavolo bello, di passione non cattivo, una sorta di Musa ispiratrice di passione e ti fa vivere il canto, la pittura, il ballo, in quel caso, il flamenco, con grande forza e convincimento e convinci anche chi ti ascolta, perché chi ti ascolta, sente che dentro te c'è qualcosa in più di chi non è enduendato. Ed è ciò che mi ha colpito di Garcia Lorca, vivere la dimensione musicale come una forza interiore, di spinta interiore, di credere in quello che si fa con passione.»
In tutti questi anni com’è stato il rapporto con i fan e com’è stato il tuo ritorno per i fan? 
«Circa ventidue anni fa, quando ho iniziato a fare questo percorso non c'erano i social e questo mi dispiace tuttora moltissimo, perché molti fan con cui oggi posso avere una corrispondenza immediata attraverso i social e internet, all'epoca non c'era e molte lettere si perdevano o arrivavano in dei fan club che poi cambiavano indirizzo, c'era molta dispersione. Adesso si può avere veramente un contatto con chi ti segue, anche persone che mi seguono da sempre con grande affetto e questo mi dà grande soddisfazione. Alla fine i nomi li impari a memoria, magari quelli più stretti, più affezionati che ti seguono ovunque, si diventa amici, addirittura a Natale c’è lo scambio di regali, una dimensione che a me piace molto perché, alla fine, diventano delle persone a te care, a te vicine che ti danno anche dei consigli: “Questa cosa non la farei.” “Questa cosa invece falla.” “Che bello vederti così, vestiti cosà.” Sono persone con cui è bello confrontarsi, avere dei punti di vista, si può sbagliare, quindi, bisogna sempre rimanere molto agganciati alla realtà e ascoltare anche chi ti vuole bene. Il fan è una persona che ti ama, che ti ammira, e va messo fra le persone da considerare, perché ti dà quell’attenzione, quell'amore in più.»

                            
Quando canti o quando facevi concerti, quali erano le esperienze che ti portavi a casa?
 «I dopo concerti, erano micidiali. Intanto, era il momento in cui t’incontravi con le persone che ti seguono ovunque, magari c'era il momento per stare a cena insieme. Dei concerti mi ricordo più il dopo concerto che il concerto in sé che te lo porti artisticamente, ma umanamente sono le cene, i momenti in camerino, di fotografie, di scambi di fiori. Impari sempre cose nuove da te stessa e le persone ti lasciano sempre qualcosa, non sono mai incontri sterili. Il bambino che si fa la foto è una cosa carina e normale, ma la persona che ti viene vicino e ti dice, grazie alle tue canzoni ho superato un momento particolare oppure ho fatto ascoltare le tue canzoni a una persona che era triste e l'hai tirata su, il sei servita a qualcosa, questo ha un messaggio dentro che ti responsabilizza, ma ti fa sentire anche utile e nel mio piccolo spero che succeda questo.»
Ti ricordi la cosa più bella che ti hanno detto. Se ce n'è una o tante?
«Penso che bisogna fare un collage di cose belle dette: Alcuni possono essere dei complimenti apparentemente normali, ma dietro c'è una ammirazione che porta un messaggio di gratitudine, di scambio umano. Credo si possa dire che la cosa più bella è un collage di tutto, il complimento insieme al senso utile delle tue canzoni che hanno dato qualcosa a qualcuno oppure il fatto che ti dicano, dopo tanti anni sei sempre la stessa oppure sei sempre disponibile, io sono una di quelle che finisce il concerto e mi fermo con tutti, faccio la foto con tutti, il mio camerino è un porto di mare.»
È bello tutto questo, vivi con umiltà…
«Assolutamente. Un giorno, il mio papà, ero molto più piccola di adesso, all'inizio ero spaventata, fisicamente mingherlina e magari ti ritrovi con cento persone addosso, diventa anche da capire, sei sempre una donna, hai sempre paura, ma mio padre mi disse: “Devi stare tranquilla, anzi, te li devi abbracciare queste persone, perché ti amano.” E lui mi ha rilassato, il fatto che me lo dicesse mio padre non mi ha fatto sentire una situazione di pericolo, ma di amore. Allora, quando sai che è amore sei tu che vai verso le persone, infatti, oramai, poverini i miei fan o chi viene a sentirmi, sono loro che dicono, guarda dobbiamo andare, a un certo punto io li stalkero, inizio a fare domande: Tu che fai? Tu studi? Invece, tu ti sei laureato? E loro: “Allora, senti noi andiamo.” Dopo il programma “Piccole luci”, dove intervisto le persone, ora faccio domande, sono diventata curiosa, ma tua sorella poi si è sposata? Me li porto dietro da vent'anni, conosco tutti, i cugini, gli amici, i nipoti, per cui oramai c'è un’affiliazione, e adesso mi dicono: “Noi dobbiamo andare”, prima ero io a dire ragazzi sono stanca, arrivederci. Invece, adesso, sono io che li trattengo.»
Dopo la trasmissione stai programmando il tour?
«Ci sarà un tour e abbiamo la prima data l’8 maggio a Chieti. Sarà un bel live che racchiude e racconta un po' tutti gli ultimi anni, anche l'esperienza di Domenica in come ospite l'anno scorso, un pezzo di Tale e Quale Show, un pezzo di racconto di Ora o mai più. Ci saranno un po' di cose, il nuovo singolo, l'ultimo album che è uscito l'anno scorso, sarà un concept show.»