Lucio Corsi: tra rock e cantautorato, un viaggio senza fine. Recensione

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Lucio Corsi: tra rock e cantautorato, un viaggio senza fine. Recensione

Foto di Nicola Garofano

Continuano i live estivi di Lucio Corsi: ieri sera, L’Astronave Giradisco Tour 2024, è approdata a Paestum (SA) al Revolution Camp, un viaggio introspettivo e onirico tra suoni e parole che ha catturato il pubblico con la sua genuinità e profondità.
Lucio Corsi, con la sua voce graffiante e la sua capacità di dipingere immagini suggestive, ha offerto uno spettacolo che va oltre la semplice esecuzione musicale. Ogni brano è stato un racconto, una finestra aperta su un mondo interiore ricco di sfumature, alternando ai suoi inediti rivisitazioni di classici di grandi artisti. Freccia Bianca e Danza Classica hanno aperto lo show con contagiosa energia, poi La bocca della verità presentata come uno scontro tra realtà e immaginazione: «L’ho sempre immaginata come un grande scontro tra due gundham, tra la realtà e l’immaginazione che si affrontano su un mare giapponese». In questo brano si racchiude un po’ il metodo di scrittura usato da Lucio Corsi per le sue poetiche canzoni, con cui combina temi di contraddizione e paradossi fantastici. In diversi brani gioca costantemente con gli opposti, ossimori che evidenziano la natura paradossale delle esperienze umane, creando immagini potenti e contrastanti. Sebbene le parole utilizzate siano semplici, il significato è profondo e complesso, invitando i fan a riflettere sulle contraddizioni della vita. La canzone è ricca di metafore, come "La bocca della verità / Si è mangiata le sue stesse mani", e simbolismi che suggeriscono profondità e riflessione. Le immagini evocative stimolano l'immaginazione e richiedono una lettura interpretativa. Come François Villon, Lucio utilizza contrasti e paradossi per esprimere complessità emotive e filosofiche, ad esempio, "Se sarò polvere che sia da sparo," che contrappone l'idea di distruzione e creazione.

                                       
Prosegue con Amico vola via, e racconta: «Andai a Lugano a suonare tempo fa, era autunno e mi accorsi che da terra toglievano le foglie secche, dicevano che sporcavano, ma con questo gesto uccidevano la stagione, l’autunno, che vive di quello e, allora, mi sono immaginato questo ragazzo troppo secco che, sarebbe bastata una di quelle foglie che se l’avesse preso, l’avrebbe spedito in cielo, l’avrebbe ucciso e mi sono immaginato che quel gesto fosse stato per lui, perciò non più gesto di violenza contro la stagione, l’autunno, ma gesto d’amore verso questo fantomatico ragazzo troppo secco».
Arriva Trieste, dove Lucio crea una narrazione che intreccia il quotidiano con il fantastico, usando il vento come metafora centrale per esplorare temi di movimento, cambiamento e coraggio. Il ritornello ripetuto “Che il vento no, non era un freno, ma una spinta”, oramai diventato un celebre aforisma, crea un effetto di enfasi e rafforza il messaggio centrale e positivo della canzone.
Particolarmente toccante è stata l'interpretazione di Bigbuca, un brano che, come lo stesso Lucio spiega nei concerti, racchiude il desiderio infantile di superare i propri limiti e esplorare l'ignoto. Una canzone che ha saputo emozionare grandi e piccini, rievocando ricordi e sogni.
Negli ultimi anni, Corsi ha dimostrato una grande capacità di reinventarsi, senza mai tradire le proprie radici. Il suo percorso artistico, iniziato con le atmosfere sognanti di Cosa faremo da grandi?, è proseguito con un approccio più rock e sperimentale, culminando nel suo ultimo album La gente che sogna, e il concerto prosegue proprio con due delle canzoni più belle di quest’ultimo album, Orme e Radio Mayday, accompagnato dalla sua straordinaria band-banda, alla batteria Marco Ronconi, alle tastiere e all’organo elettrico Giulio Grillo, al basso Tommaso Cardelli, al pianoforte Iacopo Nieri e alla chitarra elettrica e slide guitar Filippo Scandroglio, che lascia il palco per dare spazio a una versione acustica di Lucio, chitarra e voce, la gente urla: «Lucio, Lucio, Lucio...», mentre lui con ironia risponde:«Mi sembra sempre Brucia, brucia».

                             
Questa parte del concerto, più acustica, ha offerto al pubblico l'opportunità di apprezzare la voce calda e profonda di Corsi in tutta la sua purezza. Brani come La lepre e Senza titolo hanno creato un'atmosfera intima e coinvolgente, mentre con Francis Delacroix, canzone inedita non ancora incisa su album, ha fatto divertire il pubblico, poi si siede al piano e interpreta la rivisitazione di Short People di Randy Newman, uno dei suoi cantautori preferiti, ha dimostrato la versatilità dell'artista: «Short People, la gente bassa, che l’ho tradotta, prima o poi la voglio registrare e fa così».
Un tocco di folclore proveniente dalla sua terra d’appartenenza è stato dato con l’interpretazione di Maremma amara, seguita da un emozionante omaggio a Lucio Dalla con E non andar più via, tratta dall'album Come è profondo il mare.
Prende la sua armonica e parte con “La Ragazza Trasparente” e come lo stesso Corsi ha dichiarato nelle interviste, il cambiamento è un elemento fondamentale nella sua musica. E questo cambiamento si è sentito chiaramente sul palco, dove le sonorità più sperimentali si sono intrecciate con la melodia e la poesia tipiche del cantautorato italiano. 
Sale la band-banda e Lucio, con la sua ironia che lo contraddistingue, dice:«Di questa canzone non ho mai imparato il testo e userò un gobbo… che non si nasconde (ndr alludendo a Quasimodo)», e canta Il Lupo uno dei momenti più fenomenali del concerto, con la sua armonica scende tra la folla e suona a menadito.

                                             
Dopo Magia nera esegue 20th Century Boy dei T. Rex e “Doctor Jekyll and Mr. Hyde di Ivan Graziani, coniugando le sue radici nel cantautorato italiano con influenze più rock e psichedeliche, sottolineando quindi la duplice anima dell'artista. Lucio Corsi ha abituato i suoi fan al connubio che crea fra le sue canzoni e cover che spaziano da Dalla a Cocciante, da Battisti a Ivan Graziani, infatti, in questa tappa ha cantato Ivan.
La scelta di eseguire dal vivo tutti i brani, senza l'ausilio di basi, ha sottolineato l'importanza che Corsi attribuisce alla performance live. La sua capacità di mescolare sonorità diverse, di scrivere testi profondi e di creare un'atmosfera magica sul palco lo rendono uno dei cantautori più interessanti della sua generazione. Continua con l’ultima sezione del suo live, Cosa Faremo Da Grandi?, Altalena boy e infine Astronave Giradisco e il bis Freccia bianca.
Lucio Corsi si conferma un cantastorie contemporaneo, un artista poliedrico e polistrumentista con la sua preziosa musica, le sue parole e la sua interpretazione che si fondono in un'unica emozione entrando in un mondo onirico e     ironico.

                     

                         Arena del Revolution Camp, Lucio Corsi al soundcheck