Il ritorno della band Acajou con un nuovo album “Under the Skin”. Intervista

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Under the Skin” è il nuovo album della band padovana Acajou pubblicato e promosso da (R)esisto e  anticipato dal singolo "Old Home Boy".
La band famosa negli anni ’90 è ritornata a far parlare di sé e soprattutto a far ascoltare le loro atmosfere funky e new wave, con un nuovo front man alla voce, Marco Tamburini che si è unito alla lineup di sempre, Filippo Ferrarretto al basso, Nicola Tomas Moro alla chitarra e Simone Ruffato alla batteria.
Otto brani, frammenti di vita, istantanee che descrivono un mondo imperfetto, ma comunque amato.
Partiamo con la prima domanda banale: Il significato del nome della band e che significato gli date...
«Acajou è il nome di un albero ormai quasi estinto, il mogano delle Antille, caratterizzato da un tono rosso, compatto e duro, un po' come la nostra musica, piena di passione e incalzante.»
La vostra band nasce negli anni ’90. Poi il nulla, fino alla rinascita di  pochi anni fa. Cos’ è successo nel frattempo, avevate altri progetti? Chi è rimasto della vecchia lineup?
«Anche se non è stato prodotto nulla nel periodo in cui siamo stati fermi, l'amore per la musica non si è mai interrotto, la volontà e la voglia di scoprire altri generi sono proseguiti individualmente per poi confluire in quello che è l'album appena uscito. Ora il gruppo si presenta con un nuovo cantante, gli altri componenti sono gli stessi di Latin Lover (album uscito nel 2000).»

                       
Come mai avete voluto il ritorno di questa band e anche del nome Acajou…
«Ci siamo ritrovati quasi per caso, prima io e il bassista, poi si è aggiunto di lì a poco il batterista. Penso che i tempi fossero maturi per intraprendere un nuovo cammino assieme e per sviluppare nuove idee. Abbiamo tenuto il nome del gruppo perché alla fine ci sembrava la cosa più logica, le canzoni che creiamo ora sono una conseguenza di quello che c'è stato prima e della nostra volontà di andare oltre allo stoner contaminandolo con altri generi. L'inserimento poi di Marco ha dato il la verso altri lidi.»
Marco Tamburini è la nuova interessante voce della band, che ha  una modulazione molto internazionale. Come vi siete conosciuti, come lo avete scelto e se c’erano altri candidati…
«Con Marco ci conoscevamo da tempo, veniva ai nostri concerti e noi eravamo fan dei suoi gruppi. Diciamo che ci siamo scelti a vicenda per doti e per amicizia.»
Il nuovo singolo  “Old Home Boy” si chiude dicendo: “e in quella casa c’è il cuore che amo, Lo porterò con me ovunque io vada”… è il cuore della vostra infanzia e adolescenza o di una persona che amate?
«É il cuore della persona amata che nei momenti bui e lontano da casa, desideri ardentemente sentire pulsare vicino al tuo...»
Questo album parla soprattutto di amore. È ancora un sentimento così forte visto il degrado emozionale cui siamo andati a  finire?
«L'amore forse è l'unica risposta possibile a questo degrado, va bene ogni tipo di amore basta che sia vero, che sia per una persona, per un lavoro, per un luogo, per noi stessi e anche per la musica. Il degrado che viviamo è dovuto proprio alla mancanza della passione per quello che si fa e si vive, concentrati a dover essere e dover fare delle cose solo perché dentro a dei modelli ben stabiliti dalla società.»
Anche il vostro sound è cambiato. Avete frequentato altri musicisti o band che vi hanno ispirato o influenzato?
«Mentre la parte ritmica è rimasta potente e incalzante, la chitarra ha avuto un'evoluzione più accentuata. Si è preferito un suono pulito rispetto al distorto, molto più intellegibile e riposante all'ascolto. Aggiungendo poi il delay e il reverbero il tutto diventa etereo e complesso, molto più adatto a far sognare ed emozionare. Questo di sicuro è la conseguenza dell'ascolto di band odierne come gli Yawning Man o del passato come i Police per esempio, sia della voglia di creare una musica più focalizzata sulla melodia e sull'ambiente. Il cantato poi ha cambiato completamente i giochi e gli spazi ed ha portato a un'ulteriore evoluzione che ancora non si è fermata.»

                  
La canzone “La Ferrari” non è riferita alla testa rossa…
«La Ferrari è stata la prima canzone che abbiamo scritto dopo la reunion, parla di sesso, di velocità, di lusso e di vizi. É una canzone sul rapporto con se stessi e la possibilità che a volte abbiamo di autodistruggerci.»
In questo album ci sono delle collaborazioni?
«Ci sono diverse collaborazioni: da Kole Laca e Marcello Battelli del Teatro degli Orrori, a Marco Zambrano dei Frukteti, ad Alessandro Ruffato nostro primo cantante e Devid Benini, ognuno ha aggiunto un importante tassello per l'arricchimento delle canzoni.»

Quando partirà il tour e se state studiando qualcosa di particolare: se vi accompagneranno altri musicisti, se ci saranno degli ospiti, scenografia... etc
«Il tour partirà dopo l'estate e sarà una sorpresa!»