È uscito Il Giardino Segreto, il primo album della giovane Miriam Foresti, dieci brani autobiografici, dei quali ha scritto musica e testi. Storie, sensazioni e riflessioni, fissate in momenti diversi della vita ma accomunate da un solo messaggio: si può rinascere, così come succede, appunto, alle piante di quel "giardino segreto" con il passar delle stagioni.
Il disco, che esce per l'etichetta Isola Tobia Label, vede la partecipazione di oltre 15 musicisti, è suonato quasi interamente live (pochissime le sovraincisioni) per ottenere un effetto da "sessione jazz" più che da incisione di un disco pop.
Come nasce la passione per la musica e quando hai capito che poteva diventare la tua professione?
«Mio padre e i miei fratelli - sono l'ultima di sei figli - mi hanno trasmesso l'amore per la musica. Nessuno di loro è musicista di professione, ma in casa ogni scusa era buona per improvvisare una jam session, ognuno alle prese con uno strumento: chitarra, piano, canto, batteria, basso, ce n'era per tutti i gusti. Era inevitabile che anch’io venissi "contagiata". E poi circolavano tanti dischi che ho ascoltato dal primo all'ultimo. Da bambina e negli anni a venire l'ho tenuto come sogno nel cassetto, ci ho girato intorno per tanto tempo, prendendo strade che sapevo non avrebbero portato a nulla, fino a quando non mi sono arresa all'evidenza dei fatti: la musica mi stava "chiamando". Ho cominciato come molti: le prime band, l'esperienza nei cori, una compagnia di musical, a scrivere le prime canzoni, poi gli studi in Conservatorio. Piano, piano ogni dubbio è svanito, era quella la mia strada. »
Questo è il tuo primo album che parla della possibilità della rinascita. Tu sei giovanissima, qual è stata la tua rinascita sia artistica sia personale che hai voluto narrare in questo album?
«Che bello, grazie del giovanissima! Una delle rinascite è stata proprio questa: aver lasciato tutto quello che non mi soddisfaceva e aver scelto la musica in tutto e per tutto. In generale, gli eventi mi hanno portato alla consapevolezza che c'è sempre la possibilità di ricominciare, nonostante le delusioni e i fallimenti, ed è la cosa che mi ripeto ogni volta si presenta una difficoltà o commetto errori.»
La chitarra acustica ha un ruolo principale seppure tu sei una autodidatta. Che cosa ti affascina di questo strumento?
«Sarà che è il primo strumento che ho preso in mano da bambina, ma da allora non me ne sono mai separata. Non mi piace definirmi una chitarrista, ma sento che mi completa, una sorta di prolunga di cui non riesco più a fare a meno. Probabilmente mi fa anche comodo perché un po' mi ci nascondo dietro. Di certo è uno strumento completo, grazie alle sue possibilità timbriche e ritmiche è una continua fonte d'ispirazione nella scrittura dei brani.»
Il progetto vanta la collaborazione di 15 musicisti importanti tra cui Javier Girotto, come sono nate queste collaborazioni?
«Quella con Javier Girotto è avvenuta per puro caso. Non lo conoscevo personalmente, ma l'avevo sentito diverse volte in concerto, il suo suono mi è rimasto subito impresso. Così mi sono armata di coraggio, gli ho fatto ascoltare i brani che avrei voluto incidesse, a lui son piaciuti e di lì a pochi giorni eravamo in studio a registrare. Per quanto riguarda gli altri musicisti coinvolti nel disco, sono collaborazioni che vanno avanti ormai da anni, con ognuno di loro si è creato un rapporto che va al di là della musica, sono professionisti dall'anima grande, un'anima che si riesce a percepire perfettamente nelle loro note. »
Si alternano stili di jazz, pop e folk, c'è qualche artista in particolare che ha segnato il tuo orientamento musicale?
«Credo che tutti gli ascolti fatti negli anni, inevitabilmente, mi abbiano influenzata e si possano riconoscere nel mio modo di scrivere. Le grandi voci della musica afro-americana, nelle sue declinazioni jazz, blues, gospel, sono probabilmente quelle che ho ascoltato di più (i dischi che rubavo ai miei fratelli): Billie Holiday, Ella Fitzgerald, Aretha Franklin, Etta James, Ray Charles, Stevie Wonder, solo per citarne alcune. Un altro grande amore è la musica folk, americana ed inglese. Nel disco sono citati due capisaldi del genere: I Know A Place, un omaggio al cantautore inglese Nick Drake e Persa nel blu, scritta pensando alla meravigliosa Joni Mitchell. Tra gli italiani sicuramente Pino Daniele e Carmen Consoli.»
I brani sono tutti autobiografici. “L'odore delle piccole cose”, ad esempio, parla del terremoto dell'Aquila. È stato difficile trattare questo argomento?
«È stato difficile ma anche necessario, un modo per metabolizzare un evento così grande. La canzone è un po' una rielaborazione del concetto "non sai quello che hai finché non lo perdi": prima del terremoto mi stava stretta la mia quotidianità, una routine fatta di cose che reputavo troppo piccole per me, credevo di meritare di più. Come le ho perse mi sono resa conto di quanto, invece, fossero importanti. Il terremoto mi ha insegnato a non dare nulla per scontato e a non sprecare tempo ad inseguire chissà cosa, quando è tutto a portata di mano.»
“Che rumore fa” racconta di una specie di sillogismo tra amore e suono, come nasce questo brano?
«Volevo confrontarmi anch'io con il difficile argomento dell'amore: un tema sconfinato, ci vuole un attimo a banalizzare. Così, per stringere il campo, ho provato a descriverlo usando il "filtro" dell'udito: ne è venuto fuori un elenco di suoni che potrebbero avvicinarsi a quello che fa l'amore e la consapevolezza del vuoto che si prova senza di esso (nel vuoto non si producono i suoni).»
In “Domani ricomincio” parli di uno che ritieni il lato peggiore del tuo carattere, cioè rimandare le cose. Ti ha aiutato la scrittura di questo brano ad avere una consapevolezza diversa ad affrontare il momento?
«Il brano risale a più di qualche anno fa e sicuramente il mio approccio nell'affrontare le cose nel tempo è maturato, ma devo confessare che l'indole è ancora quella. Diciamo che, avendone preso coscienza, riesco a combatterlo più facilmente.»
C'è un artista con il quello sogni di collaborare magari nel prossimo album?
«Domanda difficile! Ma devo essere realista? Sogniamo dai. Tra gli italiani sicuramente Carmen Consoli, visto che prima l'ho nominata. Volando oltreoceano Chris Thile, cantante e mandolinista incredibile con cui sono in fissa da un po'. Ma ce ne sarebbero tanti altri...»
Stai già lavorando ad altri brani?Cosa ti aspetti e speri per il tuo futuro artistico?
«Il lavoro ai brani è una palestra quotidiana, ci sono periodi particolarmente ispirati e altri in cui hai il blocco da "foglio bianco", ma guai a fermarsi! Spero di portare in giro il più possibile la mia musica, conoscendo persone e posti sempre nuovi che possano arricchirmi ogni giorno di più. »