Nel suo libro “Sbagliando l’ordine delle cose” del 2012, ed. Mondadori, Alessandro Gassmann scrive: «Da quando sono regista, scelgo storie orientate al disagio. Il che non vuol dire che io sia un intellettuale o uno impegnato socialmente. É solo che la sopraffazione non l’ho mai digerita, ho sempre nutrito un debole per i vinti.» E il protagonista dello spettacolo da lui diretto Fronte Del Porto, al Teatro Bellini di Napoli fino al 25 novembre, non ha come protagonista Therry Malloy, un pugile fallito che diventa poi un lavoratore portuale sfruttato nei docks di New York?
Nel testo scritto da Budd Schulberg e da alcuni articoli d’inchiesta di Malcom Johnson e portato sullo schermo nel 1954 dal regista Elia Kazan con uno strepitoso Marlon Brando, vincitore di un Oscar come migliore attore protagonista, c’è tutta la sofferenza della classe proletaria messa ai margini dal sistema capitalistico, la lotta tra poveri per accaparrarsi un posto di lavoro, la rinuncia dei sindacati a denunciare il caporalato e il racket. Il film viaggia sui binari della redenzione e del pentimento che si ritrovano anche nella trasposizione teatrale realizzata da Enrico Ianniello che si è valso in questa rilettura anche dell’adattamento teatrale dell’inglese Steven Berkoff. Il racconto però è spostato agli anni ’80, in una Napoli che “vive” le stesse contraddizioni della New York degli anni ’50.
Enrico Ianniello afferma: «In quegli anni la città di Napoli stava cambiando pelle nella sua organizzazione criminale; erano gli anni del terremoto e di Cutolo, anni in cui il porto era sempre di più al centro di interessi diversi, legali e illegali.»
Alessandro Gassmann dice: «Ho voluto ricostruire a teatro la vita del porto, le vite degli operai e dei loro aguzzini riproducendo, per quanto è possibile, i suoni, i rumori, i profumi e la lingua di questa città.»
In quest’operazione il regista è riuscito in pieno grazie a una scenografia scarna ma efficace (dello stesso Gassmann), ai costumi di Mariano Tufano, alle musiche di Pivio e Aldo De Scalzi, alle luci di Marco Palmieri e non ultimi gli attori da Daniele Russo, un convincente Malloy-Francesco Gargiulo, Antimo Casertano, Orlando Cinque, Sergio Del Prete, Francesca De Nicolais, una sofferente e grintosa Edie Doyle-Erika, Vincenzo Esposito, Ernesto Lama (sempre più specializzato nella parte de ‘o Fetente), Daniele Marino, Biagio Musella, Edoardo Sorgente, Pierluigi Tortora, Bruno Tramice.
I dodici attori in scena sanno interpretare le ansie, gli smarrimenti e le contraddizioni di una Napoli degli anni ’80, contrapposta alla “Milano da bere”, anni “paninari”, superficiali e per nulla interessati alle rivendicazioni salariali, alle piattaforme sindacali, alle convergenze parallele, ai conflitti di classe.
É sicuramente uno spettacolo corale dove non emerge l’interpretazione del singolo attore. Se ci si aspetta di vedere Daniele Russo come un novello Marlon Brando si resterà delusi. I paragoni sono vietati a priori. Questo è il rischio di una trasposizione teatrale di un film noto al punto da essere inserito nel 1989 tra i film conservati nel National Film Registry presso la Biblioteca del Congresso degli USA e al diciannovesimo posto dal 2008 nella classifica dei migliori film statunitensi.
Lo spettacolo ha il pregio di riportare alla ribalta tematiche legate al mondo del lavoro di cui poco si parla in questo periodo d’incertezza politica e di malgoverno.