"Credere in ciò che fai e nei propri sogni, con perseveranza le cose ritornano" Intervista a Scapestro

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Scapestro alias Fulvio Di Nocera,  già bassista di Songs For Ulan e altri, ha abbandonato il suo posto ombra da musicista nelle band per far vibrare la sua tradizione country-cantautorale e la sua voce folk-rock istantanea nel suo primo album da solista, Shurhùq, un disco ponderato che spicca tra le novità musicali dell'anno dove la verità, la bellezza e la risoluzione sono le migliori armi nella vita e con la sua sensibilità incurvata  ogni canzone ha una seducente continuità di umore malinconico, e alla fine c'è un senso di sollievo, speranza e amore e alcune tracce sono ipnotiche come  Shurhùq o Essere di luce che si gonfia nel suo epico climax e il cantautore hippyish, il trovatore dai capelli lunghi che firma brani folk-rock carichi di armonia riesce a mantenere il melodramma del romanticismo evocando un'esistenza alternativa in cui è protagonista della sua commedia romantica.
Numerose le collaborazioni all’interno del disco, tra cui quella di Elio100gr, chitarrista dei Bisca, storico gruppo napoletano. Tra le voci, la preziosa collaborazione di Denise Galdo e Ilaria Graziano.
 

Parliamo un po’ della genesi del disco fino ad arrivare al crowdfunding…
«Ho iniziato a scrivere i brani nel 2010 e raccolti man mano fino al 2012, quando sono entrato in studio, ma con tempi molto larghi, infatti, il disco è uscito nel 2018. Ho fatto la stesura dei brani in studio e poi ho messo insieme le persone che credevo giuste per quel brano in particolare e ho chiamato gli amici di sempre, con i quali ho suonato in diverse collaborazioni, ciò mi ha portato a un lavoro molto lungo, durato quasi tre anni ma non consecutivi, non perché volessi fare un disco alla Pink Floyd, ma per riuscire a incastrare e mettere insieme il tutto. Il problema era di realizzare fisicamente il supporto cd ed è capitata l’iniziativa di Musicraiser che chiamava vari progetti musicali dove proponeva di fare il Crowdfunding e mi sono buttato in quest’avventura e ho iniziato ad avere dei riscontri positivi, infatti, la campagna è andata benissimo, superando l'obiettivo che ci avevamo prefisso. Questo mi ha dato la possibilità di continuare a finire questo lavoro non soltanto con Musicraiser ma fondamentale è stata la figura di Bruno Savino della SoundFly che mi ha stampato il disco. Con il resto raccolto abbiamo realizzato il videoclip, per la regia di Stefano Cormino, uno stabiese come me, abbiamo fatto un po' di promozione all'album e dopo un  po’ di tempo siamo riusciti ad averlo anche fisicamente. Intanto, ho conosciuto Chiara, presente soltanto in un brano del disco, ma, invece, è stata fondamentale per i live, mi ha supportato nel proporre il disco dal vivo.»


Quali novità particolari ha questo album? 
«Il propormi come cantante, questo per me è già una grandissima novità. Di tutte le esperienze fatte finora, sono stato bassista e contrabbassista di molti gruppi della scena napoletana Bisca, 24 Grana, Francesco Di Bella solista, Daniele Sepe e ultimamente anche con Eugenio Bennato, insomma, la mia figura è sempre stata da musicista e per me la cosa più nuova è proprio essere cantante in questo progetto e, quindi, ho trovato quel coraggio di cantare queste canzoni che stavano nel cassetto già da diversi anni.»
E naturalmente suoni anche in questo disco…
«Non solo il basso, ma anche il contrabbasso, ma in questo progetto mi sto accompagnando nei live con la chitarra, lo trovo più naturale. In questo disco ho lavorato con Rosario Acunto alla programmazione dei syntho e di alcune batterie perché non sono tutte registrate con batterie reali, ci sono tanti archi, delle bellissime chitarre di Alfonso Bruno, un musicista con il quale collaboro e condividiamo il progetto interessante della scena musicale italiana, Songs for Ulan. Ho messo dentro gli amici che stimavo e mi hanno ritornato quello che immaginavo.»
Shurhùq, scirocco, da questo NordAfrica, dal Mediterraneo quali contaminazioni musicali ti ha portato in questo disco?
«C'è un brano in particolare, Shurhùq, molto suggestivo, che dà il titolo all’album e la musica e l'arrangiamento ricordano molto il deserto. In realtà, esprime due cose sia un luogo di provenienza e di appartenenza e sia un conflitto, come quelli che i Paesi che popolano il Mediterraneo continuano a vivere. Un’inquietudine che non è soltanto emotiva, interna, ma anche qualcosa di reale e di ben visibile. Per me è stato illuminante dare il nome a questo disco, perché da un lato rappresentava quella che era la mia inquietudine, quello che scalciava da dentro per uscire in questo nuovo progetto e, dall'altro lato, quello che noi vediamo che non è molto lontano da noi, con tutti i conflitti, le guerre che i popoli vivono.»


Prima volta che canti e quindi prima volta che scrivi i testi?
«É stata una passione da sempre, anche quando ero piccolino ho scritto abbastanza e ho raccolto molte cose. La forma canzone, pensare che gli scritti potessero essere all'interno di una canzone è stato un percorso, come dicevo prima, iniziato nel 2010, a dare forma a quei scritti sopra la musica, una cosa nuova se pensi che abbia composto canzoni solo da otto anni, ma ne suono da venti.»
Hai mai scritto per altri?
«Ho scritto per un progetto che è stato precedente al mio, per un gruppo che condividevo con altri amici, Valentina Bruno e Catello Tucci e si chiamava Les Apaches, anche se noi avevamo da prima un progetto che si chiamava Vladimir Gonzales e suonavamo canzoni retrò e da lì è nata la sua costola, Les Apaches, e proponevamo brani nostri, che, in quel caso, avevo scritto io. Avevo iniziato a scrivere, però non avevo abbastanza coraggio e ho trovato degli amici che cantassero per me, comunque ho scritto anche per altri.»
Scapestro, perché questo nome?
«Scapestro dà la visione di quello che a volte le persone credono che sia il musicista, una persona scapestrata che non è né capo né coda.»


 

I vari amici che hanno collaborato a questo disco, ti hanno detto subito di sì? Con qualcuno hai trovato delle difficoltà?
«Nessuna, anzi, ho trovato tante persone disposte subito a collaborare a questo disco con piacere e con la voglia di fare. Ci sono, infatti, Elio 100gr dei Bisca che ha fatto le chitarre; poi, una collaborazione cui tengo molto Denise Galdo, una cantata Salernitana con la quale collaboro anche come musicista nel suo progetto e ha collaborato anche alla realizzazione del primo video che ho fatto e della grafica del disco; e, poi, un’altra voce importante per me in questo disco è stata Ilaria Graziano, del progetto Ilaria Graziano & Francesco Forni, una persona che stimo molto. È stata contentissima perché noi, tanti anni fa, abbiamo collaborato insieme in un progetto e che lei abbia prestato la sua voce per Shurhùq mi ha fatto molto felice, perché avevo davvero grande stima di lei.»
La copertina del disco è stata realizzata da Denise Galdo. Che cosa rappresenta?
«Abbiamo sviluppato alcune idee insieme che lei poi ha realizzato, anche l'idea dei testi scritti a mano. La cover è la sovrapposizione di due immagini, un albero e un muro romano degli scavi di Pompei. L'albero proviene da un posto, dove io ho vissuto, molto bello, grande, ed è la vita. É solo un gioco di sovrapposizioni ed è uscita un’immagine che sembrava perfetta così com'era.»


Il nuovo singolo si chiama “Sempre Uguale” con un video particolare…
«Sempre uguale non è quello che succede solo a me, ma a volte quello che succede a tutti, rappresentare una routine o delle dinamiche della vita che sono uguali per tutte le persone, ciò non vuole dare un senso di pesantezza, ma il contrario, è semplicemente osservare questa situazione che è inevitabile e rendersi cosciente di questa cosa non può far altro che bene, perché significa solo avere più consapevolezza di quello che ti sta accadendo. Il video è incentrato in un monolocale, stesso ambiente, stessa scena, oggetti che si muovono, vestiti, sedie, ma noi siamo sempre lì che raccontiamo questa storia, come se non vivesse quella casa, è il raccontare la vita che passa insieme a tante altre cose, emozioni, situazioni. Alla fine del video c'è una persona avanti con gli anni, ormai guarda al di fuori della finestra di questo palazzo per capire un po' la scena di dove è collocata la casa.» 
E l'idea è nata da chi?
«Da una bellissima chiacchierata fatta tra me e Stefano, su cosa volessi esprimere in questo video e lui ha steso il soggetto, la sceneggiatura del video e ne sono rimasto contentissimo, perché usciva fuori davvero quello che io immaginavo.»
LoveBoat apre il disco, come la nave dell’amore del famoso telefilm?
«É il nome di un’imbarcazione che sta nel porto di Seiano, io abito a Vico Equense e spesso mi capita di scendere giù al mare per fare delle passeggiate e c’è questo bellissimo peschereccio che si chiama Love Boat. Ovviamente uno si fa ispirare da tante cose quando passeggi e mi piaceva l’idea di chiamare questo pezzo LoveBoat, perché è una sorta di ripresa dopo una situazione che ti ha fatto soffrire e che non ha avuto una bellissima conclusione. Per me LoveBoat è proprio la nave di un nuovo tragitto da fare e mi piaceva metterlo come primo pezzo, perché inizia dicendo:”È la sveglia del mattino è già da un po' che suona,” mi piaceva questo risveglio. Ci stiamo risvegliando, resettiamo tutto, tutto è andato e ripartiamo in un nuovo modo, quindi, il titolo rappresenta un po' il senso della canzone.»
Il disco comprende dieci brani, quale cernita hai fatto e qual è il criterio con cui li hai messi insieme. Hanno un file rouge? 
«Almeno tre o quattro brani sono rimasti fuori e hanno un file rouge perché rappresentano un periodo di scrittura limitato in un periodo che sono dal 2010 al 2012 e qualcuno in corsa, mentre ero in studio nel 2013, che per me rappresentava un periodo di cambiamento nella mia vita e sicuramente hanno tutti un filo conduttore, alcuni sono usciti velocemente, altri hanno avuto bisogno di più tempo, però hanno tutti un legame tra di loro.» 


Lì hai rimaneggiati prima di inciderli?
«Sì, qualcosa ho cambiato, perché ti rendi conto della musicalità di alcune parole che non funzionano e, quindi, andavano cambiate. Solo il testo di “Vado per un po’” è scritto da mio fratello Francesco e l’ho musicato ed è stato bello questo legame familiare. Per me è stato fondamentale, perché quando ho iniziato a suonare, i miei fratelli già lo facevano da qualche tempo e per me rappresentano l'inizio di un percorso che già ho affrontato anni addietro.»
C'è qualche messaggio particolare che vuoi che passi attraverso questo disco?
«Di credere in quello che fai e nei propri sogni, perché se tu davvero ci metti perseveranza, le cose ritornano ed è sicuramente un messaggio di speranza, di fiducia.  Il tema è quello del cambiamento e, infatti, il gioco dello scirocco, del vento che passa e scuote gli animi in maniera anche molto forte e ti cambia. Per me questo è il messaggio di speranza, qualcosa che arriva e ti dia la forza di continuare a fare quello che in cui credi, nonostante gli altri possono dirti che sei uno scapestrato.»
Una rinascita anche tua…
«In qualche modo sì, come dicevo prima, buttarmi in questa nuova avventura da cantante, non ho nessun tipo di ambizione, era semplicemente una necessità, cioè resettare e cominciare da capo, e secondo me ogni tanto va fatto.»
Stai facendo già dei live per far conoscere questo tuo disco…
«Il disco è uscito a giugno, ma già da prima dell’uscita avevamo fatto delle presentazioni,  sperimentavamo i live anche in piccoli locali. Adesso stiamo iniziando con la programmazione invernale dei locali, a creare un po' di date per arrivare alle persone, perché essendo un progetto emergente indipendente, la musica dal vivo resta un canale fondamentale per arrivare alle persone e far conoscere la propria musica, non siamo in mainstream, quindi, al di là della piccola radio locale non andiamo su emittenti radio grandi, per noi la musica dal vivo resta un canale fondamentale per portare avanti il progetto.»
Per te, che è la prima volta che canti, c’è paura, tensione…
«Adesso piano piano si sta sciogliendo e sto iniziando anche a divertirmi. È una sensazione che mi piace molto e mi fa stare molto bene. Le prime volte è stata una tragedia, il primo concerto che abbiamo fatto è stato al Kestè a Napoli ed è stato proprio terrificante, perché non vedevo l'ora che finiva, per me era strano, sono stato anche su palchi importanti e molto grandi collaborando con band anche molto importanti, ma non è la stessa cosa, perché lo strumento in quelle situazioni era un filtro, la voce no, era proprio in faccia, quindi, ero un po' timoroso.»


Qualche riscontro particolare dal pubblico…
«Sì, piano piano ho iniziato ad avere degli apprezzamenti che mi hanno dato anche la forza di credere in quello che stavo facendo, è inevitabile, le persone iniziano a riconoscere il tuo lavoro e riconoscere quello che volevi dire e ti dicono quelle parole chiavi che ti fanno illuminare e pensi, allora, sono riuscito ad arrivare perché è proprio quello che volevo dire e mi ha fatto stare bene ed essere più forte nel continuare.»
C'è qualche canzone che il pubblico già ti chiede di cantare…
«Sì, tra gli amici e gli amici degli amici, ci sono “Vado per un po'”, singolo già in rete, uscito nel 2015, è anche stato in esclusiva su Rockerilla, ha avuto un pochino di visibilità e, quindi, tra gli amici è una di quelle canzoni che mi chiedono. Adesso lo stesso con “Sempre uguale”, uscita da qualche settimana, molti amici mi dicono che è un pezzo che rimane subito in testa. Diciamo che già mi fanno qualche piccola richiesta durante i live.»