Prosegue al Piccolo Bellini fino al 9 novembre I Poeti Selvaggi di Roberto Bolaño – Indagine su cittadini poco raccomandabili , con la regia di Daniele Russo e Igor Esposito, e la voce poetica di Russo accompagnata dalle musiche dal vivo di Massimo Cordovani.
Un appuntamento che avrà un'edizione speciale il 14 novembre con una maratona teatrale: tutti e tre i capitoli dello spettacolo in sequenza, dalle ore 18, per un'immersione totale nell'universo bolañiano.
Il secondo capitolo riparte esattamente da dove ci eravamo fermati, come fosse il nuovo episodio di una serie cult: Igor Esposito e Daniele Russo riemergono dalla platea, raccolgono i libri sparsi sul palco, gli stessi lanciati nel finale del primo atto, e, quasi con gesto rituale, estraggono da una busta le due sculture firmate Carlo De Vita e liberano il musicista Massimo Cordovani, che intona Cuando ya me empiece a quedar solo dei Sui Generis. È un'immagine che contiene già tutto: la solitudine dei poeti, la loro ostinazione a rialzarsi, il bisogno di dare voce a ciò che il mondo ignora.
“I poeti selvaggi di Roberto Bolaño” è una conferenza-spettacolo in tre capitoli che scava nella vita e nella leggenda dello scrittore cileno, seguendo il filo della sua erranza esistenziale e poetica. Dalla Città del Messico libertaria e febbrile degli anni Settanta fino alla Barcellona bohemien dove l'autore di 2666 e I detective selvaggi approda nel 1977, il racconto attraversa deserti, esili, amicizie, rifiuti editoriali, e un'idea di letteratura come atto di resistenza.
Sul palco, Igor Esposito è la voce narrante, il corpo e il pensiero di Bolaño che si fa carne, mentre Daniele Russo dà voce ai poeti che hanno orbitato intorno al suo universo, da Enrique Lihn a Rodrigo Lira, da Leopoldo María Panero a Carmen Boullosa, restituendoli come fantasmi lucidi e feroci. Le musiche dal vivo di Cordovani, tra malinconia sudamericana e vibrazioni rock, diventano la colonna sonora di una letteratura vissuta come febbre, e le sculture di Carlo De Vita, due busti in cartapesta come reliquie di un culto, materializzano la presenza-assenza dei poeti scomparsi.
Il secondo capitolo,in particolare, scava nel periodo catalano di Bolaño: la precarietà economica, i mestieri improvvisati, la solitudine nella casa di Girona, i rifiuti degli editori e le lettere salvifiche del poeta Lihn. In quei carteggi, che Igor Esposito interpreta con pudore e furia, si coglie l'essenza di una generazione perduta, quella che scelse la poesia come forma di sopravvivenza.
La drammaturgia è densa, stratificata, punteggiata da citazioni che spaziano da Nabokov a Frank Zappa, in un continuo dialogo fra letteratura e musica, tra ribellione artistica e industria culturale. È come se lo spettacolo, nel raccontare Bolaño, mettesse sotto processo la modernità stessa, la sua ossessione per il mercato, l'ottimismo di plastica, la morte del rischio.
Russo ed Esposito dirigono e interpretano con misura, senza mai indulgere nel culto dell'autore. Ne restituiscono invece l'umanità ostinata, la malinconia ironica, l'etica del fallimento come destino di chi sceglie la verità. Il risultato è un viaggio teatrale e poetico che si muove tra saggio, recital e indagine, dove la parola si fa rito, la scena si fa pagina, e il pubblico diventa parte di quella comunità di “cittadini poco raccomandabili” che Bolaño aveva amato e raccontato.
Un progetto di teatro-letteratura che ha il coraggio di restare scomodo, e che invita, come scrisse lo stesso Bolaño, dei versi di WH Auden, in una cartolina al suo amico Bruno Montané: «Segui il poeta. Segui a destra. Al corpo della notte». (Continua poeta. Continua dritto. Fino al fondo della notte).