Foto di Giorgio Amendola
Simone Cristicchi torna al 75° Festival di Sanremo con Quando sarai piccola, una canzone che sarà parte integrante di Dalle tenebre alla luce (Dueffel Music / ADA Music Italy), la speciale edizione del suo ultimo album in uscita il 14 febbraio e già disponibile in pre-order . Il brano, scritto insieme a Nicola Brunialti e con la musica composta dallo stesso Cristicchi insieme ad Amara, sua compagna artistica e nella vita, si inserisce in un progetto musicale che riflette la profonda ricerca artistica e umana dell'artista. A dirigere l’orchestra del Festival di Sanremo per Simone Cristicchi ci sarà il M° Valter Sivilotti. In quest’edizione del Festival, Cristicchi porterà anche un omaggio al M° Franco Battiato, duettando con Amara durante la serata delle cover con il celebre brano La cura.
L’album, il quinto in studio per Cristicchi, segna una nuova tappa del suo percorso artistico, che unisce la sua passione per la musica e il teatro, come dimostra anche il tour Torneremo ancora, dedicato proprio a Battiato, che continua a riscuotere successo in tutta Italia. L’avventura sanremese di Cristicchi è accompagnata da uno stile unico, con gli abiti firmati dal noto designer Antonio Marras, che aggiungono un ulteriore strato di fascino a un artista che da sempre sa unire profondità e leggerezza.
La conferenza stampa tenutasi allo spazio NonostanteMarras, Cristicchi ha iniziato leggendo le parole del brano Credo e ha raccontato della genesi del brano che porterà a Sanremo: Quando sarai piccola.
«Per presentarvi questa canzone, voglio dirvi che è vita vera, è vita vissuta ogni giorno- racconta Simone Cristicchi. È per questo che probabilmente mi sentirò nudo sopra quel palco, perché racconto qualcosa che mi è successo, che mi succede quotidianamente. Però, nei momenti in cui è uscito soltanto il titolo, 'Quando sarai piccola', mi sono arrivati migliaia di e-mail e di messaggi da persone che, in qualche modo, si sono sentite toccate da questo argomento. Ora, per raccontarvi questa canzone, e poi proseguire con il resto della conferenza e le vostre domande, ho deciso di leggervi per la prima volta un racconto che ho scritto e che è presente nel mio libro HappyNext. Alla ricerca della felicità, un libro uscito qualche anno fa per La Nave di Teseo, in cui raccolgo una serie di storie legate al tema della felicità. E in questo libro c'è il racconto che, in qualche modo, precede la scrittura di questo brano».
ll racconto di Simone Cristicchi narra dell'esperienza vissuta con sua madre, Luciana, che, all'età di 63 anni, è stata colpita da un'emorragia cerebrale e portata in terapia intensiva. In un ambiente freddo e silenzioso, dove la vita e la morte si intrecciano, il protagonista affronta l'incertezza e la paura di perdere sua madre, nonostante il sostegno emotivo da parte di centinaia di persone che pregano per lei. Dopo giorni di lotta, un medico comunica che Luciana si è miracolosamente risvegliata dal coma, ma il suo corpo e la sua mente non sono più gli stessi. Nonostante le difficoltà, Luciana riesce a rimanere una presenza amorevole e sorridente nella vita della sua famiglia, continuando a essere fonte di luce per tutti, anche in circostanze difficili.
Quando sarai piccola, è un altro brano cui tratti temi importanti, che riguardano prima di tutto te, ma che poi si rivelano universali. Com’è caduta la scelta su questo brano e con quali emozioni lo interpreterai?
«Questa è una canzone molto speciale, ma rimasta in sospeso per cinque anni. È stata scritta durante la prima quarantena, e inizialmente tutti mi sconsigliavano di includerla nell'album, perché sembrava troppo particolare. Non che le altre canzoni fossero inferiori, ma, ascoltandolo, è evidente che Dalle tenebre alla luce è un bellissimo album. Tuttavia, questo brano aveva una potenzialità unica che meritava di essere ascoltata al momento giusto. Quel momento è arrivato grazie a Carlo Conti, che ha scelto la canzone e ha capito il suo valore, che va oltre la semplice bellezza di una melodia. Parliamo di vita autentica, concreta, vissuta, e in questo senso è una canzone anche terapeutica, che potrebbe sensibilizzare su un tema che considero universale. Scommetto che in ogni famiglia, o nella famiglia di un amico, c’è una persona che, invecchiando, diventa fragile. E così Quando sarai piccola diventa una riflessione che riguarda tutti. Il tema è ancora poco trattato, e come è stato già detto, una canzone così non si è mai sentita. Affronto Sanremo come una missione bellissima, perché, al di là del risultato finale, credo di aver già vinto. La vera vittoria è poterla cantare davanti a milioni di persone e diffonderla grazie all’aiuto dei mas media».
Hai detto che questa canzone è rimasta chiusa nel cassetto cinque anni. Come riconosci il momento in cui una canzone è quella giusta? Cosa scatta dentro di te?
«L'ispirazione è qualcosa di davvero misterioso, quasi magico, e per quanto mi riguarda, è difficile da spiegare. Può arrivare in qualsiasi momento: magari quando stai guidando in mezzo al traffico, oppure mentre respiri l'aria fresca di un bosco immerso nella natura. È un’esperienza che sfida la razionalità, ed è proprio questo che la rende affascinante. Ovviamente, ho cercato di evitare che il testo diventasse retorico, perché è davvero facile scadere nel patetico quando si trattano argomenti delicati come questo. Bisogna maneggiarli con molta attenzione, e io e Amara non l'abbiamo scritta pensando a Sanremo, ci tengo a sottolinearlo. Quando sarai piccola è una delle tante canzoni che abbiamo scritto per questo album, ma quando l’abbiamo ascoltata, ci siamo resi conto della sua forza emotiva. Abbiamo fatto ascoltare il brano anche ad amici e conoscenti, e la reazione è stata molto forte, quindi eravamo sicuri che ci fosse qualcosa di potente in questa canzone. Per scriverla, ci è voluto molto tempo e molta cura. Non è stata una canzone facile per me. Inizialmente, mi ero concentrato sulla tenerezza, sulla dolcezza del prendersi cura di una madre anziana che, in un certo senso, torna bambina. Ma poi, parlando con altre persone e confrontandoci, abbiamo sentito l’esigenza di inserire anche un altro aspetto: quello dell’impotenza di fronte alla trasformazione della vita. E così è nata la rabbia, un’emozione che emerge nel verso cruciale della canzone: c’è quella rabbia di vederti cambiare. Quella rabbia è qualcosa che sento anche io, spesso. Accettare quello che accade e che non possiamo cambiare è una fatica enorme. La costante dell’universo è il cambiamento, e dovremmo imparare ad accettarlo come il flusso naturale della vita, ma in pratica non è per nulla facile».
In questa canzone parli di Alzheimer e il prendersi cura di una persona cara e restituirle tutta la vita che ci ha dato. In che modo, le tue parole potrebbero illuminare questi tempi così poco attenti e disumani?
«Quella che ho scritto, credo, è una canzone che porta speranza. Non è un "piangersi addosso", ma piuttosto una reazione a un evento inevitabile. È il fatto di avere la fortuna di assistere invecchiare il proprio genitore, cosa che non accade per tutti. Nel mio spettacolo sulla felicità, comincio con la parola attenzione. Sono sette parole, e la prima è proprio attenzione. Sono andato a consultare il dizionario della lingua italiana e ho scoperto che la definizione di attenzione è volgere l'animo verso qualcosa. Sono rimasto sorpreso, perché pensavo che essere attenti significasse solo concentrarsi, essere nel qui e ora, come dicono i monaci zen. Invece, l'attenzione è un movimento verso l'esterno, è un'evocazione dall'ego. Quando sono davvero attento, mi allontano da me stesso, mi dimentico della mia prigione interiore. E nel momento in cui esco da me, mi accorgo degli altri, di questo mondo che ci ospita, del pianeta che dovremmo proteggere per chi verrà dopo di noi, dei miei figli, che devo custodire. Nel Dhammapada, il libro sacro del buddismo, ho trovato scritto: L'attenzione è la strada verso l'immortalità. Gli attenti non muoiono mai, i disattenti sono come già morti. E proprio a proposito di attenzione, mi viene in mente un aneddoto. Un giorno ero a Benevento, in un teatro con 900 studenti che si comportavano in maniera molto turbolenta: urlavano, lanciavano cartocci, sembrava una guerra. Pensavo di non riuscire a intrattenerli, quindi faccio per andarmene via, perché mi dico che non riuscirò mai a intrattenere questi ragazzi. Faccio per andarmene via, si abbassano le luci e in quel momento un silenzio assoluto. E io penso, ma che se ne sono andati? E invece no, sono ancora tutti lì, questi 900 studenti. Comincio lo spettacolo, 10 minuti, 20 minuti di monologo, 30 minuti, dopo 40 minuti comincio a vedere delle luci che si accendono nelle prime file, puff, delle lucine, puff, che illuminano, puff, i volti, puff, delle prime persone in prima fila. E dentro di me, mentre recito, penso di non essere riuscito a conquistare la loro attenzione, non sono riuscito a conquistare la loro fiducia. Finisce lo spettacolo, torno a casa, il giorno dopo mi arriva un'email: “Gentile signor Cristicchi, siamo gli alunni della scuola superiore di Benevento, abbiamo visto il suo spettacolo ieri mattina, volevamo ringraziarla perché ci siamo emozionati e abbiamo ascoltato una storia che non conoscevamo. Volevamo scusarci per quelle persone che durante lo spettacolo controllavano continuamente il loro cellulare. Erano i nostri professori».
Il tuo nuovo album *Dalle Tenebre alla Luce* sembra un viaggio interiore profondo. Quali sono le radici di questa riflessione e come hai voluto raccontare il tuo percorso attraverso la musica in questo lavoro?
«Penso che la vita sia, per usare le parole di Dante Alighieri, un cammino di trasformazione, un viaggio alchemico in cui dobbiamo confrontarci con le nostre ombre e le nostre inquietudini più profonde, con quell’ “inferno” che abita in noi e che spesso cerchiamo di ignorare. Dante ci invita a questo viaggio nelle tenebre, perché solo affrontandole possiamo trasformarle in qualcosa di nuovo. Mi viene in mente il dolore della perdita di mio padre quando avevo dieci anni. Quel dolore l'ho trasformato in creatività, ho iniziato a disegnare, a scrivere poesie, fumetti. In fondo, sono nato come disegnatore. Ho usato la creatività per trasformare quella ferita in luce. E credo che questo percorso sia comune a tutti. È un cammino che ci porta anche attraverso un’ulteriore fase di purificazione, come il purgatorio dantesco, dove possiamo sublimare le nostre parti più violente e nascoste per avvicinarci a qualcosa di più puro. Nel 33° canto del Paradiso, Dante descrive una luce immensa, un momento in cui lui si avvicina così tanto a questa realtà che quasi può percepirla. Questo è un bellissimo richiamo alla nostra vita: un viaggio dall’ombra alla luce, dalla materia allo spirito. È proprio questo il tema centrale nel mio disco. So che è qualcosa che va controcorrente, ma non mi sono mai preoccupato di seguire le mode. A volte questa scelta costa, anche in termini di marketing, ma la bellezza è che in questi anni ho creato una sorta di isola di libertà, il teatro. Molti mi chiedevano quando sarebbe uscito il mio nuovo disco, e io rispondevo: ‘le canzoni le continuo a scrivere, ma le farò ascoltare dal vivo, non su un supporto o una piattaforma’. Poi però, dopo un incidente, ho sentito il bisogno di registrare definitivamente queste tracce, di lasciare una testimonianza. Così è nato Dalle Tenebre alla Luce, che tra l’altro è anche il titolo di uno spettacolo che ho dedicato al Paradiso di Dante. In questo disco c'è la mia visione dell'amore, della vita e anche della morte. E nel disco sarà aggiunta anche questa piccola perla che porterò a Sanremo e sicuramente darà ancora più valore a tutte le altre tracce».
La tua carriera è sempre stata contraddistinta da un profondo senso di spiritualità. Negli ultimi anni, con il tuo album Dalle Tenebre alla Luce e il successo del tuo spettacolo su San Francesco, hai davvero dato vita a un percorso significativo. Come pensi di proseguire questo cammino dopo Sanremo? Quanto è importante lo spettacolo su San Francesco all'interno di questo viaggio?
«Voglio raccontare un aneddoto che riguarda proprio questo album, che in realtà era pronto da molti anni. Si tratta di canzoni che avevo scritto per i miei spettacoli teatrali, ormai una decina. L'ultimo, dedicato a San Francesco, si chiama Franciscus, il folle che parlava agli uccelli. Abbiamo già fatto 60 repliche, tutte sold out, ed è stato un grandissimo successo. Tuttavia, queste canzoni erano rimaste lì, prodotte e quasi finite, fino a quando non ho avuto un grave incidente domestico. Stavo tagliando dei rami con una motosega per costruire uno steccato quando un incidente mi ha fatto prendere fuoco, mi sono agitato e sono inciampato battendo la testa su una pietra aguzza, lasciandomi una bella cicatrice sulla fronte. Per fortuna il chirurgo è riuscito a fare un piccolo capolavoro, e la cicatrice è praticamente invisibile. Quando mi sono ripreso, il mio primo pensiero è stato: devo pubblicare questo album. Non so se sono impazzito o se sono rinsavito, ma questo è stato il motivo per cui finalmente è uscito il disco. Non volevo più perdere tempo, perché sappiamo tutti che oggi ci siamo e domani non ci siamo più. Così ho voluto lasciare una sorta di firma di luce nell’oscurità.
Luce che troviamo anche sulla copertina del tuo album...
«La copertina dell'album è una foto di Andrea Rizzi, un fotografo astronomico, che ha catturato un momento spettacolare di una stella che esplode, una nebulosa. In astronomia la chiamano l’Occhio di Dio (Helix Nebula NGC7293). Ci sono voluti undici anni per scattare quella foto, e quindi l’ho scelta per il mio album, perché erano undici anni che non pubblicavo un disco. Quest’attesa paziente è il concetto che voglio trasmettere: non bisogna avere fretta di dire le cose. Oggi nella musica si corre troppo, e a mio avviso, dovremmo pubblicare solo quando abbiamo davvero qualcosa di importante da dire. Alcuni dicono che ho aspettato troppo, ma questo Sanremo sarà un’opportunità per far ascoltare il lavoro che ho fatto in questi anni. Ho scelto una musicalità orchestrale, minimalista, senza elettronica, un album senza tempo. E così, in un’epoca oscura come questa, la mia voce è la firma che voglio lasciare».
Il concerto mistico dedicato a Battiato ha avuto un grande successo e si è esteso oltre le aspettative, con tante tappe in tutta Italia. Che cosa ti ha dato questo progetto dal punto di vista umano e artistico? E come mai hai deciso di interpretare *La Cura*, una canzone straordinaria ma allo stesso tempo particolarmente impegnativa?
«Il concerto mistico per Battiato è ormai arrivato al quarto anno consecutivo. Inizialmente pensavamo che si sarebbe esaurito in poche date, ma invece ha avuto un successo straordinario, con decine di migliaia di spettatori in tutta Italia. A marzo riprenderemo il tour dal teatro Brancaccio di Roma. Il progetto è nato come un omaggio a Battiato durante la sua celebrazione all’Arena di Verona, dove tanti artisti italiani hanno partecipato. In quella serata, ho cantato Lode all’inviolato, un brano che amo particolarmente. È stato proprio in quell'occasione che Franz Cattini, il suo storico manager, si è avvicinato a me, e insieme abbiamo pensato di rendere omaggio alla parte spirituale e mistica del repertorio di Franco, concentrandoci su brani come Le Sacre Sinfonie del Tempo, La Cura, E ti vengo a cercare, Oceano di Silenzio, Stage Door, Gli Uccelli etc. Così è nato il nostro spettacolo, che si chiama Torneremo ancora, prendendo il nome dall’ultima canzone di Battiato. Io e Amara abbiamo creato questo progetto con grande rispetto, cercando di far sentire che non eravamo noi i protagonisti, ma era la presenza di Franco al centro. Se venite a vedere lo spettacolo, scoprirete che al centro del palco non ci sono né io né lei, ma c'è Franco, rappresentato da una candela accesa. Quando è arrivato il momento di scegliere chi mi avrebbe accompagnato a Sanremo per la serata dei duetti, la decisione è stata ovvia. Ho pensato a Franco, che per me è un maestro indiscusso della musica e della spiritualità, e ho chiamato Amara, che è stata anche la mia compagna di viaggio in questo percorso. Sono molto felice che Carlo abbia accettato la nostra proposta di portare La Cura, una canzone che, se non sbaglio, non era mai stata eseguita in quella serata a Sanremo. È un vero onore e una grande responsabilità. L’unico artista che ha cantato La Cura sul palco di Sanremo è stato proprio Battiato nel 2007, l’anno in cui ho vinto il Festival, quindi potete immaginare quanto questa coincidenza sia significativa per me. Un’altra coincidenza meravigliosa è che il fonico che seguirà tutte le serate del Festival dove sarò presente è Pino Pinaxa Pischetola, storico fonico di Battiato, quindi mi sento davvero protetto e accompagnato. E poi, accanto a me c'è una voce straordinaria, una donna e un’artista con un carisma incredibile, che è anche una persona pura e speciale. Amara ha reso la mia vita artistica ancora più ricca: è l'autrice di brani come Il peso del coraggio e Che sia benedetta, scritti per Fiorella Mannoia, e ha lavorato anche nel suo ultimo album».
Quanto è stato fondamentale per te, in questo periodo, avere il sostegno della tua compagna, sia nella tua vita quotidiana sia nel percorso che stai affrontando anche a Sanremo? Pensi che il suo supporto ti abbia aiutato ad accettare meglio la situazione che stai vivendo?
«Posso dire con certezza che se non ci fosse stata Erika accanto a me il giorno dell’incidente, probabilmente me la sarei vista brutta. Viviamo immersi nella natura, in una zona isolata, quasi come due eremiti, e se lei non fosse stata lì, quel giorno che sono caduto e mi sono spaccato la testa, non so cosa sarebbe successo. Sono svenuto, sarei potuto morire dissanguato. Fortunatamente c'era lei, il mio angelo custode, che mi ha letteralmente salvato la vita. Quindi si può immaginare la gratitudine che provo nei suoi confronti. Viviamo insieme una vita bellissima, fatta di arte, scrittura, ispirazione e viaggi. È davvero un dono per me averla nella mia vita. E poi, lei è anche presente in questa canzone. Non dimentichiamo che è una penna straordinaria, e tra noi è nata un'alchimia artistica che ha aggiunto un valore ancora più grande al nostro rapporto, ben oltre quello di una coppia normale».
Nel tuo brano Credo c'è una frase che mi ha colpito molto: Credo nel pesce fuor d’acqua, perché è l’unico che si è evoluto. Ti senti un pesce fuori d’acqua in questo Festival di Sanremo 2025?
«In realtà, non mi sento affatto fuor d’acqua, perché sono semplicemente me stesso. Non sto cercando di interpretare un ruolo, ma di portare la mia autenticità, la mia sensibilità. Conosco bene le dinamiche del festival, ma, a prescindere da tutto, sento di essere fedele a me stesso, e questa è la mia forza, la mia corazza più grande. È questo il superpotere che porto con me in questa esperienza.»
Uno dei tuoi tratti distinti potremmo dire è la capacità di cantare la fragilità, di mettere in luce la tenerezza e la fragilità umana. La canzone Ti Regalerò Una Rosa, ad esempio, è dedicata proprio a una persona fragile. Da dove nasce quest'empatia che provi per chi vive ai margini, per le persone più vulnerabili? In un'epoca che talvolta sembra premiare l'arroganza, come mai senti il bisogno di dar voce a chi è fragile?
«Questa attitudine nasce fin da quando ero bambino. Se non avessi trovato il mio sfogo nella creatività, nel disegno prima e nella musica poi, probabilmente sarei diventato un ragazzo molto violento e chiuso in me stesso. Ho trascorso quasi due anni della mia vita isolato, rinchiuso nella mia stanza a disegnare, senza voler vedere nessuno. Rifiutavo qualsiasi aiuto. I miei unici amici erano i personaggi che inventavo per farmi compagnia. Se non avessi avuto quella valvola di sfogo, forse sarei ancora in quella stanza a disegnare un mondo perfetto dove nulla di brutto mi potesse accadere. La musica e l'arte sono state la mia salvezza, sono riuscite a curare quella ferita profonda e continuano a farlo. È per questo che mi sono sempre sentito vicino agli esclusi, agli emarginati, a chi soffre, come gli anziani o chi ha problemi mentali. Non è la prima volta che scrivo una canzone sugli anziani. Un'altra canzone che amo molto è L'Ultimo Valzer, che racconta una storia d'amore in una casa di riposo, un piccolo cortometraggio in musica. Nel corso degli anni, ho avuto molto a che fare con il mondo degli anziani, sia per motivi di ricerca storica sia per le mie produzioni teatrali. Ho dedicato una trilogia alla Seconda Guerra Mondiale, e la prima, ad esempio, parla della guerra di Russia, alla quale partecipò mio nonno Rinaldo, che ritornò con un piede congelato dopo la ritirata di Nikolaevka. Ho anche scritto Mio Nonno è Morto in Guerra, dove ho raccolto sessanta piccole storie da novantenni di tutta Italia. Mi chiamavano il terrore dei centri anziani, perché ho trascorso tantissimo tempo con loro, raccogliendo testimonianze bellissime. C'è un legame molto forte con il mondo degli anziani, e sicuramente anche questa canzone nasce dal mio amore per questa dimensione e per le persone fragili in generale».
Come ti relazioni, invece, con le aspettative del pubblico. Molti si aspetteranno che tu porta sul palco esattamente ciò che ti contraddistingue, ovvero il "Cristicchi" che tutti conoscono?
«Il mio è un colore, una sfumatura che si inserisce in questo mosaico che Carlo ha voluto creare. Sono felice di farne parte e lo ringrazio per aver dato spazio ai cantautori a Sanremo, perché non sono solo io: ci sono artisti straordinari come Brunori Sas e Lucio Corsi, che rappresenta forse la vera novità del nuovo cantautorato italiano. Ci sentiamo un po’ come una “riserva indiana” all’interno del festival, visto che negli ultimi anni il cantautorato è stato un po' messo da parte. Ma portiamo avanti la bandiera di chi ci ha insegnato a scrivere canzoni.»
Il tema della psiche e della follia è un filo conduttore nel tuo percorso artistico. Che cosa ti affascina di questo mondo così complesso e delicato?
«La mia attrazione verso il mondo della follia è nata in modo molto naturale. Nella via dove ho vissuto per venticinque anni, c’erano altri tre "matti" oltre a me, eravamo in quattro nella stessa strada. Ogni giorno li incontravo, ci parlavo, cercavo di inventarmi un modo per entrare in comunicazione con loro. Mi sono accorto che ognuno di loro aveva una visione unica della realtà: a volte distorta e disturbata, altre volte incredibilmente poetica. Siamo soliti pensare che l'artista sia un po' folle, ma credo che questa sia una semplice speculazione filosofica. La follia, infatti, è un tema che ho ritrovato spesso nel mio cammino artistico, e continua ad essere molto delicato e attuale. Le statistiche più recenti parlano di un aumento del consumo di antidepressivi tra i giovani e di un’epidemia di solitudine che sta colpendo la nostra società. Oggi, i medici, oltre ai farmaci, prescrivono relazioni umane. Se ci pensiamo, ogni generazione precedente alla nostra era proiettata verso il futuro con fiducia, sognando un domani migliore. Oggi, invece, siamo travolti da scenari di guerre nucleari imminenti, da governi sanguinari, e da intelligenze artificiali stupide che non sono in grado di aiutarci. È difficile immaginare come sarà il nostro futuro, e forse questa incertezza è il segno di un disastro in corso. Per me, la risposta a tutto questo sta nella resistenza. Dobbiamo contrapporci a tutto ciò, reagire. E possiamo farlo in tanti modi. Un modo per opporci è puntare sulla luce, cercando quella piccola scintilla di speranza che esiste anche nell’oscurità. Come diceva San Benedetto da Norcia in una scritta che lasciò nella sua grotta eremitica: Non nisi in obscura sidera, nocte micant, che in italiano significa Solo nella notte oscura brillano le stelle. Io sono fiducioso, credo che dobbiamo ritrovare quell’umanità che ci abita, quella scintilla divina che è presente in ognuno di noi, e diventare tante piccole stelle, frammenti di luce che, insieme, tornano a illuminare il cielo».