Bagno di folla al Cinema Vittoria di Napoli per Pupi Avati che ha presentato, nell’ambito della XXIesima Rassegna Napoli Film Festival 2019, il film: Il signor diavolo, tratto dalle pagine del suo omonimo romanzo.
Il noto regista bolognese si è detto entusiasta di trovarsi a Napoli e, sapientemente intervistato da Marco Lombardi, ha parlato della genesi del film sottolineandone gli aspetti più interessanti e curiosi così sintetizzati:
«Quando si diventa anziani molte cose che ti piacevano da ragazzo tornano a sedurti. Per molto tempo ho trascurato il genere horror nei miei film ma poi mi sono fatto una domanda: come facevamo a mettere paura ? Ho voluto scrivere una storia che potesse spaventare e che avesse come perno IL MALE . Non parliamo mai del Male perché lo pratichiamo e vogliamo autoassolverci con pesanti conseguenze: l’abitudine ad addossarlo al diverso da noi e ad avere nei suoi confronti una certa elasticità e permeabilità. Inoltre la figura del diavolo è stata completamente cancellata come è stato ridimensionato il concetto di peccato. Il mio peccato più grande è l’invidia:ancora oggi, a 80 anni, non riesco ad essere felice dei successi altrui!».
Non tutti sanno che la carriera cinematografica di Pupi Avati iniziò nel lontano 1968 con un film horror Balsamus, l’uomo di Satana e che è proseguita privilegiando lo stesso genere con Thomas e gli indemoniati 1970, La casa dalle finestre che ridono 1976, Tutti defunti…tranne i morti 1977, Zeder 1983, L’arcano incantatore 1996, Il nascondiglio 2007. Oggi Il signor Diavolo ricalca il genere definito dai critici “gotico padano” per i luoghi dell’ambientazione: il delta del Po con le valli nebbiose di Comacchio.
Anno 1952. Un giovane ispettore del Ministero di Giustizia, Furio Momentè (dagli gli occhi allucinati di Gabriel Lo Giudice), viene incaricato di far luce sulla morte di un ragazzino per mano di un suo coetaneo. Carlo (Filippo Franchini) ha ucciso Emilio perché crede che questi sia il Diavolo in persona per il suo aspetto ripugnante. Questo assassinio è maturato in un ambiente zotico, bigotto e oscurantista che agita superstizioni rurali, cattiverie, dicerie a cui la sapiente fotografia di Cesare Bastelli dà vita e vigore.
Il cast è formato dagli attori feticcio, tanto cari a al regista: Lino Capolicchio, Gianni Cavina, Alessandro Haber, Massimo Bonetti, Andrea Roncato e se non fosse recentemente scomparso, sicuramente Carlo Delle Piane. Una particolare menzione spetta a Chiara Caselli, che impersona la nobildonna Clara Vestri Musy ovvero la madre del ragazzo ucciso. Con la sua recitazione misurata e potente rende ancora più torbida e angosciante l’atmosfera dell’intera vicenda di cui, per ovvi motivi, non riveliamo il finale.
Ci sono scene davvero forti: culle imbevute di sangue, canini sottratti ai cadaveri, ostie consacrate calpestate e poi date in pasto ai maiali, preti, sagrestani e suore dai volti pietrificati e chiusi nella loro omertà, presenze e urla quasi disumane.
Se ne sconsiglia la visione ai “deboli di cuore” e a quanti “vivono soli in casa” su proposta dello stesso Avati che, anche stavolta, ha sorpreso il suo pubblico con un film di grande qualità e di forte impatto emotivo.
Il Male esiste, il diavolo pure e teniamoci distanti “dai segnalati di Dio” come recita un vecchio adagio popolare conosciuto anche dalle nostre parti.