Jonathan Pryce ha ricevuto il Capri Legend Award al festival del cinema internazionale Capri Hollywood. L’attore inglese ha girato in Italia, nei mesi scorsi, alcune scene del film 'The Pope' di Fernando Meirelles e sarà lui a dare il volto a Papa Francesco, mentre Anthony Hopkins sarà il papa emerito Benedetto XVI.
A ottobre scorso è uscito The Wife di Bjorn Runge, un dramma tragicomico intrigante, in cui Pryce interpreta un famoso scrittore Joe Castleman alla vigilia del suo premio Nobel e sua moglie Joan è interpretata da una straordinaria Glenn Close.
Mentre ne L'Uomo che uccise Don Chisciotte per la regia di Terry Gilliam, Jonathan Pryce interpreta con grande maestria teatrale la leggenda cavalleresca Don Chisciotte.
Da anni continua l'amore con Terry Gilliam cosa la convince ancora a lavorare con lui?
«Partendo da Brazil e poi a tutti gli altri film che ho interpretato con Terry, ciò che lo distingue dagli altri registi è che non pretende di sapere tutto sulla recitazione e di sapere già che cosa vuole esattamente da te. Lui impiega i suoi attori chiedendo di fare un buon lavoro, per cercare di rendere e portare sullo schermo quella che è la sua visione, che sa che poi diventerà qualcosa di molto più grande e che verrà condivisa anche da tante altre persone.»
C’è un film in particolare che ha fatto con Terry Gilliam che preferisce e dove si è divertito di più?
«Mi piacciono tutti, naturalmente, ho un ricordo particolare di Brazil, il primo film che abbiamo fatto insieme e anche di quest'ultimo, L'uomo che uccise Don Chisciotte, anche perché potrebbe essere rappresentato come il culmine della nostra collaborazione. Semmai dovesse succedere che questo resterà il nostro ultimo film insieme, come forse è molto probabile, potrebbe essere veramente la somma di quello che abbiamo fatto in questi anni e il ruolo che ho interpretato riassume anche tanti ruoli che ho interpretato a teatro nel corso della mia carriera. La mia recitazione, in questo film, è stata molto teatrale e mi sono anche divertito molto nella lavorazione di quest’ultimo film, forse uno dei più divertenti perché mi ha permesso di fare cose, come attore, che, oggi, ormai sul set si fanno molto poco: andare a cavallo, combattimenti come antichi cavalieri, duelli e anche il cantare, è un film anche molto poetico.»
Parliamo del suo ruolo di Papa Bergoglio. Un uomo particolare, amato e odiato, come si è avvicinato al personaggio?
«Mi sono rasato, ho messo su qualche chilo per essere fisicamente più simile. Ho affrontato questo ruolo come faccio di solito, spero che tutte le ricerche sul personaggio siano state fatte in maniera adeguata dagli sceneggiatori e dal regista e, quindi, io mi sono approcciato a questo ruolo pronto a portare sullo schermo quello che leggevo ed era scritto nella sceneggiatura. Io non sono un approfondito conoscitore della storia di tutti i papi, anche perché non sono religioso, non sono cattolico, per me è stato veramente entrare in un mondo alieno e totalmente sconosciuto, quello della chiesa cattolica. Papa Francesco è considerato da molti un uomo quasi Santo, un uomo molto buono, però, anche col tempo, un uomo molto complesso, soprattutto per quello che riguarda la sua storia passata e quello che lui cerca sempre di combattere, perché vengono fuori sempre delle controversie che riguardano il suo passato, di quando era un sacerdote nel suo paese e tutte le cose con le quali lui deve un po' combattere, per difendere la sua immagine e questo rappresenta anche un po' la parte centrale del film.»
Il film, quindi, è incentrato sulla sua vita prima di diventare Papa…
«Il suo passato è una parte importante del film ed è quello che ha reso questo personaggio molto interessante, sia per me da interpretarlo, ma probabilmente anche lui, come uomo, perché è un uomo che non è perfetto, non è appunto un santo. Sappiamo che, come tutti, ha dei difetti e nel film si parla della sua vita precedente, sul perché abbia deciso di diventare sacerdote e di entrare nella chiesa. Non sarà un biopic, è un film, Fernando Meirelles è un regista straordinario e tutti noi che abbiamo lavorato speriamo che questo film sia ricordato per il suo valore cinematografico, come film per tutti e non diventi semplicemente la storia di questo Papa e soltanto qualcosa che sarà apprezzato dalla chiesa o da chi crede o da chi è cattolico. Come ho detto prima, io non sono religioso è un mondo che, assolutamente, non conoscevo, però posso dire che, dopo aver interpretato questo film, dopo essermi calato per un po’ di tempo nei panni di questa figura, qualcosa in me l'ha lasciato.»
Cosa si vedrà del passato di Bergoglio?
«Nel film si vedranno alcune scene che raccontano la vita di Bergoglio da giovane, prima che diventasse sacerdote e, poi, i primi anni in cui era sacerdote a Buenos Aires, naturalmente è interpretato da un giovane attore argentino che ha fatto un eccellente lavoro. C’è anche un mix di scene che però è difficile riconoscere la differenza tra vere immagini di repertorio dell’epoca e finte immagini di repertorio girate da noi, è molto difficile notare le differenze tra queste.»
Cosa le ha trasmesso l’interpretare questo ruolo del Papa?
«Non mi piace parlare troppo del Papa o del film, l’ho visto una sola volta e la cosa che mi ha commosso di più, riguardando il film, è stata la scena in cui Papa Francesco è a Lampedusa e parla dei problemi dei rifugiati e dei migranti. Credo che, in quella scena, poiché quello che si dice è basato veramente su quello che poi il papa ha detto realmente quando è stato a Lampedusa, credo sia un messaggio molto, ma molto positivo quando lui dice: “La colpa non è di nessuno. La colpa è di tutti”. Ecco credo che questo sia un messaggio molto positivo ed è una cosa che mi ha toccato profondamente.»
Ci sono delle scene insieme con Hopkins?
«La struttura di questo film, per riassumerlo, è una serie d’immagini sulle conversazioni fra Papa Francesco e Papa Benedetto, sia prima che Bergoglio diventasse Papa sia dopo, ed è meraviglioso pensare che, adesso, il mondo avrà due Papi gallesi (ndr Jonathan Pryce e Anthony Hopkins sono entrambi gallesi), questa è una notizia straordinaria. Queste conversazioni sono basate su cose che entrambi hanno detto ad altre persone, quindi, le conversazioni tra i due, in realtà, sono immaginarie, ma il contenuto di queste conversazioni sono basate su cose che loro hanno detto, quindi, il film per renderla in breve è basato semplicemente sulle conversazioni tra due uomini piuttosto anziani e, comunque, al contempo, è un film pieno di energia, pieno di vita, pieno di azioni. Credo comunque sia un grande pezzo di cinema, c’è un ottimo lavoro cinematografico, il regista ha fatto un ottimo lavoro.»
Ha interpretato uno dei peggiori cattivi degli ultimi anni nel film “Il domani non muore mai (Tomorrow Never Dies)”, diciottesimo film della saga di 007. Quanto è stato profetico il suo personaggio, Elliot Carver, un tycoon che sembra scritto oggi?
«Io spero che questo personaggio sia stato profetico oppure è una semplice coincidenza che le cose siano andate così. Il personaggio che ho interpretato era un tycoon della stampa che, forse ricordava Rupert Murdoch, che sappiamo, aveva l’idea di conquistare la Cina, considerata all'epoca il prossimo mercato da conquistare.
Credo che il prossimo cattivo della saga di James Bond sarà uno che compie attraverso Twitter le sue malefatte. Sappiamo benissimo che, la prossima incarnazione del cattivo, sarà chiunque sia in grado di manipolare le persone attraverso questi mezzi di comunicazione che abbiamo oggi, coloro che riescono a trasmettere queste bugie, che fabbricano e ribaltano la verità. Per me, quindi, il cattivo attuale è qualcuno che fa le sue cattiverie attraverso questo sistema.»
Parliamo di The Wife, film uscito in Italia l’autunno scorso. Come si è preparato a questo ruolo e che lavoro è stato fatto sul suo personaggio e se ha letto il romanzo?
«Non avevo letto il libro perché sicuramente, come dicevo prima, ho interpretato nel corso della mia carriera diversi personaggi e diversi film che erano ispirati o tratti da libri o personaggi reali, come appunto Papa Francesco. Non mi piace fare delle ricerche al di là di quello che è il materiale che mi viene presentato con la sceneggiatura, perché, come attore, voglio cercare di rendere al meglio e di rendere concreto con la mia interpretazione quello che lo sceneggiatore o il regista hanno messo nella sceneggiatura, anche perché le informazioni che ci sono in un copione o nella sceneggiatura sono quelle che il pubblico avrà. Non credo sia utile che io faccia delle ricerche che vadano oltre a quello, perché vanno oltre quella che è la visione forse che il regista o lo sceneggiatore vogliono trasmettere. Per quanto riguarda la preparazione del ruolo, ho 71 anni e prima rapporto e poi matrimonio con mia moglie da 46 anni, quindi, mi pare che questo, come preparazione per il ruolo, sia abbastanza.»
Com’è stato lavorare con Glenn Close?
«Il rapporto con Glenn Close è stato sicuramente un'ottima collaborazione, siamo stati sempre molto concentrati sul progetto, avevamo poco tempo a disposizione e pochi soldi, il film era a basso costo budget e con il regista, noi tre, prima di girare, abbiamo veramente provato le scene. Lui ha anche ascoltato quelli che erano i nostri input per, non dico di riscrivere le scene, modificarle, ma cercare di rendere e comunicare al meglio quello che le scene volevano dire, non una riscrittura o un cambiamento ma chiarire bene il messaggio che doveva trasparire da ogni scena. Abbiamo trascorso bei momenti insieme e il film, a mio avviso, è un ottimo film, molto teatrale, perché il regista che è svedese ha una lunga esperienza in teatro e sia lui sia il film di conseguenza probabilmente sono anche influenzati da Bergman e da quella che è la tradizione teatrale svedese. A mio avviso è stata un'esperienza molto produttiva e molto interessante.»
Preferisce la recitazione teatrale o cinematografica?
«Onestamente, non ho una preferenza dell’uno rispetto all'altro, anzi la cosa che mi piace di più è fare entrambi le cose, perché sono due lavori completamente diversi. Quando interpreti un film sei nelle mani del regista e dell'addetto al montaggio, perché poi, quello che tu hai fatto, probabilmente, può essere cambiato anche durante il montaggio, mentre quando sei sul palcoscenico, sei tu molto più responsabile e hai molto più controllo di quello che fai, non solo sulla recitazione, ma sei un montatore di te stesso, poiché sei tu lì e puoi anche influire sulle luci, basta che ti sposti lontano dalle luci e, quindi, puoi fare anche il lavoro di tutti quanti.»