I mosaici di Santa Prassede a Roma

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I mosaici di Santa Prassede a Roma

Il ciclo absidale di Santa Prassede a Roma, mosaico parietale presso la Basilica omonima esempio splendente di arte carolingia, tra il periodo bizantino e precursore del Romanico

All'inizio del IX secolo tornò a Roma, dopo due secoli, l'uso di decorare a mosaico le basiliche. Al loro interno, i mosaici componevano complessi cicli figurativi. Nelle absidi i temi prevalenti sono il Giudizio Finale e il Trionfo di Cristo, dal forte valore simbolico; nelle pareti lungo le navate le figurazioni hanno una funzione narrativa, in quanto raccontano storie delle Sacre Scritture.

Questa tecnica favorì la promozione di caratteri bizantini; d'altronde, negli scriptoria dei monasteri operavano numerosi religiosi provenienti dall'Oriente. Fu, pertanto, seguito un linguaggio figurativo raffinato, arricchito, però, dal realismo della tradizione romana.

Il riutilizzo del mosaico durante il regno carolingio è legato al rinnovamento delle antiche basiliche paleocristiane da parte dei papi. Molti di questi lavori sono legati al recupero dei corpi dei martiri dalle catacombe esterne alla città, ritenute ormai insicure. Importanti commissioni risalgono ai papi Adriano I (772-795), Leone III (795816), che incorona Carlo Magno imperatore (800), e Pasquale I (817-824). Fu quest'ultimo a commissionare il mosaico di Santa Prassede, chiesa risalente al V secolo.

Le figure umane e quelle naturali (animali simbolici, palme, arbusti) rivestono l'intera superficie, creando un ritmo solenne. La composizione è simmetrica. Le immagini sono facilmente identificabili, grazie ai colori chiari, senza gradazioni e nettamente distinti per i contorni marcati e continui.

Nell’abside Cristo benedice le due sorelle, elegantemente vestite alla maniera bizantina, accompagnate dai santi Pietro e Paolo e da Pasquale I che offre a Gesù un modello di Chiesa.

Il ciclo absidale di Santa Prassede ben rappresenta l'influenza bizantina a Roma: domina, infatti, un senso di distaccata sacralità.

Le figure sono rappresentate in modo dignitoso e solenne. Cristo è visto come un re, vestito con abiti preziosi. Gli angeli e santi formano processioni lente e ordinate. La luce, esaltata dal mosaico, è diffusa nello spazio, che sembra così irreale: non più spazio terreno ma simbolo di sublime, totalmente altro.

In un’epoca dove l’imperatore era tutto, Cristo Pantocrator doveva essere rappresentato per forza in abiti regali. Allo stesso tempo, le storie dovevano essere chiare e comprensibili ai fedeli analfabeti, dovevano istruire e, ahimè, impaurire per questo i temi del Trionfo e del Giudizio erano privilegiati.

Al di là della componente catechetica, quest’opera rimane una pietra miliare della storia dell’arte carolingia e uno degli esempi più interessanti dell’uso del mosaico lontano da Ravenna e dall’Oriente.