Music & Theater

«Quando mi metto al pianoforte inizio a inventare e non ho idea cosa sta per accadere». Intervista a Geoff Westley

Il pianista, compositore e produttore Geoff Westley dopo svariate collaborazioni come arrangiatore e produttore, anche con artisti italiani, ha deciso di registrare un album solista, dal titolo Geoff Westley – Piano Solo – Does what is says on the tin, una raccolta di quattro composizioni originali interamente scritte ed eseguite al pianoforte.

Un disco che racchiude poetica e forza tecnica impressionanti, album presentato anche al Jazzit Fest a Pompei con un live avvincente, intellettualmente ed emotivamente attraverso un'espressività che non si trascina nell'essere manierata, disco che presenterà anche martedì 2 luglio nell’ambito della rassegna Musica A Palazzo di Frosinone.

Negli anni 80’ Geoff Westley ha avviato una lunga collaborazione, di primissimo piano. Westley è noto al pubblico italiano soprattutto per aver prodotto ed arrangiato due dischi storici della discografia di Lucio Battisti, “Una donna per amico” e “Una giornata uggiosa” e per aver arrangiato l’album di Claudio BaglioniStrada facendo” e la famosissima “Avrai”. Westley è noto anche per le sue collaborazioni di successo con Renato Zero, Laura Pausini, Eros Ramazzotti, Lucio Dalla, Fabrizio de André, Fiorella Mannoia, Mango, Fabio Concato e molti altri.

Ha alle sue spalle una lunghissima e brillante carriera. Ha studiato Flauto, Piano e Composizione presso il Royal College of Music di Londra. All’età di 23 anni già dirigeva a Londra uno dei musical di maggior successo nella storia del genere: “Jesus Christ Superstar”. Fu successivamente chiamato ad assumere la direzione musicale dei Bee Gees, che ha accompagnato nei loro tour mondiali per 7 lunghi anni.

Geoff Westley – Piano Solo – Does what is says on the tin è disponibile in digital download e su tutte le piattaforme streaming (https://lnk.to/DoesWhatItSaysontheTin).

Perché dopo tanti anni ha scelto di fare un disco?

«Sono sempre stato impegnato a lavorare e a fare dischi per altri, questa è la verità. Non ho iniziato a suonare pianoforte un anno fa, lo suono da sempre. Oggi è facile registrare un disco, promuoverlo, ma se parliamo di vent’anni fa, c’erano tutte le complicazioni possibili da parte delle case discografiche, non avrebbero mai accettato questa musica e avrebbero cercato di convincermi di fare versioni di brani di Battisti o pezzi nella forma di una canzone pop, chiusi in tre minuti e mezzo. Invece, avevo tanto desiderio di uscire da quest’abitudine, è solo un modo di fare musica, secondo me, se non c’è un brano scritto perché non allungare la durata del brano e farlo diventare un brano strumentale da ascoltare?».

La sua musica abbraccia un po’ tutto, infatti, il brano “Improv-22/33” richiama un po’ il progressive degli anni ’70 e poi c’è la quiete dopo la tempesta, all’improvviso una musica melodiosa nasce da questo turbinio di suoni tempestosi…

«È un brano improvvisato, nato dal nulla, quando mi metto al pianoforte inizio a inventare e non ho idea cosa sta per accadere. Facendo così a casa, senza un pubblico, significa che posso veramente sperimentare e ciò significa sbagliare. Tanti anni fa, un critico su un jazzista storico, molto stimato, disse “Lui non è un vero jazzista, perché non sbaglia mai” e se non sbaglia mai, significa che non sta inventando, sembra già bello e pronto, preconfezionato! Adesso, io non so quale sia la verità, ma è un’idea, se vuoi spingere, break down the barriers, per forza stai per sbagliare. E, quindi, lavorare in questo senso ti permette di togliere tutte le parti dove ho sbagliato e ce n’erano. Quello che è rimasto, più o meno, è com’è stato inventato, creato. Ho solo corretto alcune note sbagliate, un paio di errori, però la forma è uscita così».

Per lavorare senza le parole, immaginandole è un sollievo o un pretesto?

«Sono un musicista, quando ascolto canzoni anche nella mia lingua o soprattutto in italiano, quello che mi arriva è la musica, quando sto producendo un artista, devo insistere su di me per leggere le parole del brano, è importante capire cosa dicono, ma ci sono dei risultati anche quando non ho idea di cosa dice il testo e così si arriva a un bel contrasto. Per esempio, i dischi di Battisti, di solito, le parole erano scritte dopo la registrazione delle basi musicali».

..E lui cantava in questo finto inglese…

«Sì, ma come tanti italiani all’epoca, in un inglese maccheronico e non ho mai capito perché, la cadenza della lingua inglese è diversa dalla cadenza della musica della lingua italiana. Significa che quando le parole arrivano, tutto cambia. Ho sempre detto, ma perché non cantare in finto italiano, ha più senso, ma nessuno lo fa».

Tra gli artisti italiani con cui hai lavorato quale ti è rimasto più nel cuore?

«Sicuramente Lucio Battisti, è stata una collaborazione ideale in tutti i sensi, anche altri sono stati molto soddisfacenti, ma Lucio era un altro pianeta».

Presti sempre orecchio su quello che succede nel mondo della musica? Ti piacerebbe collaborare con qualche giovane artista?

«Sì, se arriva qualcosa che m’ispira, ma non sono in cerca. Adesso che ho fatto un primo disco, voglio farne un secondo, un terzo. È arrivato il momento di concentrarmi su di me e la musica che creo».

Anche fare dei live?

«Sì, mi piace tanto suonare dal vivo.»

Hai mai rifiutato qualche progetto di qualche artista?

«Sì, a un paio di sconosciuti, ma su Facebook etc. Attraverso i social arrivano tante proposte, ma io non so chi sono e, in verità, non ho tempo di ascoltare tutto».

…però potrebbe arrivare qualche progetto interessante…

«Potrebbe, ma non dimenticare che ho controllato, sia quest’anno sia l’anno scorso, 680 proposte dei giovani per Sanremo. Se volessi qualcosa per lavorarci su, ho già un elenco di artisti che conosco e che sono bravi, ma adesso devo dire che sono abbastanza occupato a lavorare sui miei brani, sulla promozione di quest’album, dobbiamo lavorare da zero a promuovere me».

                               

Ci sarà un tuo ritorno a Sanremo?

«Non abbiamo idea, nessuno sa ancora cosa succederà per il prossimo anno».

Impromptu, invece, è il brano che hai dedicato a tua madre scomparsa a ottobre scorso. Quali sono i passaggi che racconta questo brano, ci sono impressi dei tuoi ricordi passati, dall’infanzia in poi?

«Impromptu è arrivato in mezzo a queste improvvisazioni e l’ho sviluppato nel periodo in cui mia madre si è ammalata di più. Una donna che non è mai stata malata, è solo diventata più anziana, aveva 94 anni, ma negli ultimi mesi hanno scoperto che lei aveva la leucemia ed era inevitabile che la fine fosse abbastanza veloce, però ero tranquillo, ero sempre presente in quel periodo, ed è stata una bella fortuna perché non è possibile per tutti. Un mio amico regista di programmi tv mi ha detto che, quando è morta sua madre, non è potuto andare neanche al funerale. Lui purtroppo era il fulcro del programma, il personaggio principale non può assentarsi. E questo deve essere molto difficile, quindi sono stato fortunato».

È stata tua madre a incoraggiarti nella musica ed è stata lei la tua prima insegnante di musica poiché suonava il pianoforte?

«All’inizio, infatti, è stata mia madre a insegnarmi. A quattro anni già dicevo “Io, io, io voglio suonare”. E mi ha fatto fare i primi esercizi musicali con le cinque dita e mi ha insegnato a leggere la musica, anche prima che io imparassi a leggere le parole e mi ha lasciato con questo libro Smallwood's Piano Continental Fingering che inizia appunto con l’esercizio delle cinque dita e alla fine suonavo brani semplici di Mozart, Haydn etc. e mi ha lasciato libero di studiare».

Fin da piccolissimo allora hai cominciato a suonare…

«Ho iniziato a quattro anni e da allora ho sempre suonato pianoforte. Quando tornavo da scuola, mi mettevo sempre due o tre ore a suonare al pianoforte. E mia madre che mi sgridava:”Fai i tuoi compiti”. Mia madre poi scoprì il Royal College of Music per quelli che frequentavano ancora la scuola, quindi, fino a diciotto anni. Lei mi fece sostenere un esame per entrare, mi accettarono e sono andato dai dodici anni fino ai diciotto anni, quando poi mi sono trasferito e sono andato full time e tutto inizia da qui».