«Probabilmente è il più bel disco della mia vita. E dopo di questo non ne farò più». Intervista a Marina Rei
- di Nicola GarofanoFoto di Simone Cecchetti
In attesa dell’uscita del nuovo album, la cantautrice Marina Rei ha pubblicato due singoli “Per essere felici” rilasciato a gennaio e “Comunque tu” uscito qualche giorno fa. Singoli che anticipano quella che sarà la struttura del disco che si prevede pieno di sorprese per l’ascoltatore, con temi da far illuminare il cervello e con la sensibilità rock dell'autrice di razza, quale è Marina, in composizioni orecchiabili e memorabili.
Figlia di genitori musicisti (madre violista e padre batterista) Marina Restuccia, in arte Marina Rei, ha sempre respirato musica di diverse ispirazioni e quest’anno celebra i venticinque anni dall’uscita dell’omonimo album “Marina Rei”.
Nel nuovo singolo “Comunque tu” parli anche di perdono…
«È un argomento che riguarda tutti, si parla del rapporto genitori-figli. Da una parte l’ammirazione per i genitori o per uno di essi, dall’altra l’inevitabile contrasto che ogni figlio ha con i propri genitori e il distacco. Nel momento in cui si passa dalla dipendenza all’indipendenza personale per poi creare il proprio percorso e la propria crescita».
Tuo padre l'ha ascoltata? Che cosa ti ha detto?
«Lui non è un uomo di molte parole, ma di fatti. Mio padre è sempre molto complimentoso con me, rispetto alle mie performance e a quello che compongo, nonostante sia un grandissimo musicista ed io mi sento anche abbastanza piccola rispetto a questi suoi complimenti».
Durante tutti questi anni ti ha dato consigli? Ti ha aiutato in qualcosa?
«Sì, soprattutto nell’approccio allo strumento. In più di un’occasione ho avuto modo di studiare con mio padre, anche se, studiare con i propri genitori, è abbastanza difficile, non vale solo per me ma per tutti. Lo vedo con mio figlio, lui non vuole studiare con me, è la trovo una cosa normale. Ognuno si vuole ritagliare il proprio spazio che sia distante da quello dei genitori. Mio padre è un grande maestro, ha insegnato a due conservatori in Italia, uno a L’Aquila e uno a Perugia e non è scontato essere un buon insegnante, perché un bravo musicista non è sempre anche un bravo insegnante, questa è una regola che ho imparato. Perciò, sì, assolutamente sullo strumento mi ha dato più di una dritta. È chiaro che ho fatto del mio approccio un mio suono, così come anche lui, mia madre, mia nonna. Appartengo a una generazione di musicisti che leggono la musica a prima vista, quelli che si sono spaccati le ossa sullo strumento e sulla musica, altri e alti livelli. Non mi sentirò mai all’altezza loro e, in questo, c’è anche il timore. Di questo parla la canzone, del timore referenziale nei confronti di una persona, che è il tuo genitore, che dovresti amare incondizionatamente ed è anche una figura importante che t’influenza nelle scelte e nella crescita».
Quali e quanti strumenti suoni?
«Male tanti. A parte la batteria cui ho uno studio quotidiano, gli altri strumenti li utilizzo per accompagnarmi e per scrivere e cioè il pianoforte, che ho iniziato a suonare da ragazzina, e la chitarra».
“Per essere felici” parla di scelte. Qual è la scelta più importante fatta o la rinuncia più grande o l’occasione persa?
«Occasioni perse non ne ho avute. La scelta più importante, legata anche alla rinuncia più grande, è quella di aver intrapreso un percorso discografico indipendente non legato a una major. Scelta che mi dà la libertà totale di scrivere e prendere decisioni che possano piacere e compiacere a me stessa. Anche se, mi ha portato al dover rinunciare a un percorso mainstream che mi dava maggiore visibilità televisiva o radiofonica. Sicurezze che ti consentono di essere un privilegiato e rinunciarci, per seguire la strada musicale più opportuna, per scrivere le tue cose e “per diventare grande”, dico io, è stata dura. Ho iniziato talmente giovane e a un certo punto ho deciso di diventare grande e di cominciare a fare la musica cui mi riconoscevo maggiormente, senza guardare indietro e pensare: “Oddio, quello che ho fatto è stato sbagliato”. Quello che ho fatto, l’ho costruito nel meglio che potevo, per poi prendere la mia strada. “Per essere felici” parla, appunto, delle scelte importanti che si fanno e che portano a grandi rinunce che causano anche una maggiore sofferenza, per poi arrivare al risultato che speravi e fare la musica che vuoi».
”La facoltà di essere te stessa”… parli nella canzone. Ti è costato allora esserlo…
«É difficile poter esternare le proprie idee, fare la propria musica ed essere accettati sempre per quello che si è, se avviene, è un grosso risultato. Non esserci in tv o in radio non significa non esistere ma essere se stessi e ciò, alla fine, è la miglior vittoria».
Hai iniziato la tua carriera facendo molti live fino a incidere il primo album…
«Per chi fa musica la cosa migliore sia farla, non a parole ma con i fatti. La maggiore possibilità che ho, per fare ascoltare le canzoni nuove, è sicuramente andare in tour, ecco perché rimando di qualche mese il disco, tra l’altro, quest’estate sicuramente non suoneremo».
In effetti, la situazione non è ancora chiara…
«La situazione non è chiara, siamo in balia del non sapere assolutamente niente, si parla di altre riaperture: bar, ristoranti, fabbriche, aziende etc, ma per tutto quello che riguarda gli eventi, dove c’è assembramento, ancora non se ne parla e non solo per i concerti negli stadi ma anche nei festival, dove ci sono meno persone. Bisognerebbe inventarsi una formula, perché c’è tutta una categoria di persone non solo noi artisti, ma musicisti e/o altre persone che lavorano intorno al palco, organizzatori, uffici stampa, etc. che, in questo momento, sono in difficoltà, non si può parlare soltanto delle grandi strutture, anche quelle piccole e indipendenti soffrono tanto quanto quelle grandi».
Hai qualche idea di come progettare il futuro? Di come gestire diversamente il vostro mestiere, avere una prospettiva…
«C’è poco da prospettare, non si può suonare da casa. Posso capire una tantum, una suonata, una diretta, si può fare. Comunque, non mi sono organizzata perché non saprei come farlo. Arrivare a più gente possibile e suonare dovremmo aspettare, quindi, non so. Nel frattempo sto dedicando il mio tempo alla scrittura, non musicale, perché non mi va di scrivere canzoni in questo momento».
Stai scrivendo dei racconti, infatti…
«Sì, sto scrivendo dei racconti con un mio amico scrittore, Lorenzo dell'Aquila, abbiamo iniziato a pubblicarli circa un mese fa su Facebook, poco dopo l’inizio della quarantena. Mi sono detta, se devo trascorrere questo tempo isolata meglio impiegarlo a scrivere e, quindi, con Lorenzo pubblichiamo questi racconti su due personaggi, Anna e Michele, che vivono ognuno a modo proprio il periodo d’isolamento. Li pubblico senza nessun secondo fine, è solo per impiegare il tempo e la testa e condividere questi scritti con chi ha voglia di leggerli».
É la prima volta che ti cimenti a scrivere dei racconti?
«Scrivo spesso. Ho tante cose scritte, non ho mai avuto la volontà di pubblicarle e stanno a casa. Anche questi racconti che stiamo pubblicando, è una cosa nata senza nessun tipo di obiettivo o altro scopo, se non quello di pubblicarli e lasciarli a qualcuno che ha voglia e tempo di leggerli. Non so, magari un giorno si deciderà di farli diventare qualcosa».
Non avete, quindi, ancora deciso se finiranno in un libro?
«Non lo so, magari decideremo di farlo. Non riesco a pensare molto al domani, anche perché non abbiamo nessun tipo di certezza di oggi. Ogni giorno abbiamo delle informazioni ed io, secondo quelle, mi comporto di conseguenza. Non ci dicono che quest'estate non suoneremo, ma noi lo sappiamo. Come posso programmare la mia vita nei prossimi mesi? Non so se la potrò programmare e in che modo. Sto vivendo molto alla giornata, cerco di impiegarle al meglio, studio… scrivo…».
Non t’impigrisce questa situazione?
«Provo a non impigrirmi. Ci sono delle giornate, è vero, cui arriva il pomeriggio e la testa è più forte del corpo e diventa tutto molto pesante, però ci sto provando, come ci stiamo provando tutti. É una sorta di resistenza collettiva che stiamo vivendo».
Ritornando ai racconti, sono accompagnati anche dai disegni di Andrea Pintus…
«É un mio amico fraterno, un musicista e grandissimo appassionato di fumetti, ne ha una marea ed è un disegnatore. Tra l'altro ha insegnato un po’ a disegnare a mio figlio. È nato tutto semplicemente, gli ho mandato i primi racconti e gli ho chiesto se gli andava di fare degli schizzi. Lui sta in casa con pochi mezzi a disposizione e, quindi, sono molto casalinghi i disegni, però, secondo me, sono straordinari. I racconti sono accompagnati da questi disegni per dare l'idea di quelli che possano essere i ritratti dei due personaggi, quando uno li legge s’immagina il personaggio di Anna o di Michele, pian piano che entrano nella loro vita, nella loro casa e nella loro testa. Mi sembrava un'idea carina».
Puoi spoilerare qualcosa sul nuovo album?
«Non dico niente. Posso dire che è sicuramente un disco che avrà le sonorità dei singoli che sono usciti ed è assolutamente tutto molto coerente. Per cui, davvero è un disco cui tengo particolarmente, probabilmente è il più bel disco della mia vita. E, dopo di questo, non ne farò più».
Addirittura non incidere più dischi?
«Non è detto. Non lo so. Ci ho messo talmente tanto per fare questo e, se tanto mi dà tanto. Comincio a crescere, a diventare grande, al momento faccio questo e sto, come si dice a carte».
Venticinque anni dal tuo primo album, rimorsi o rimpianti?
«Non ha senso avere rimpianti. Lo dico sempre pure a mia madre che, ogni tanto, mi parla dei suoi rimpianti. Guardarsi indietro e dire:”Ho sbagliato. Ho fatto quello o questo”. Non serve a niente, solo ad arrovellarsi il cervello e portarsi sofferenza. Quello che si è fatto è stato in un momento in cui eravamo convinti. Il passato serve per diventare quello che sei nel presente o nel futuro. Ho iniziato giovanissima, a diciannove anni, ho partecipato a progetti indipendenti, su etichette di culto come la UMM quando avevo vent'anni. Prima ancora facevo la vocalist in teatro e poi, venticinque anni fa, l'uscita del mio primo album. Tutto quello che ho fatto, è servito per arrivare oggi a quella che sono, non si può vivere di rimpianti».
So che sei appassionata di serie TV. Qual è la tua preferita?
«Non sono proprio un'appassionata, tra l'altro guardo pochissima televisione, giusto la sera, non la accendo mai prima. Guardo un Tg e poi una serie o un film. In questo periodo che, abbiamo rivoluzionato le nostre giornate e le nostre nottate, io poi non vado a letto tardi ma ho prolungato i miei orari. Posso dire quelle che ho visto in questo periodo che mi sono piaciute molto, Ozark, Unorthodox e adesso sto vedendo The Sinner».