Malinconico al Teatro Diana: Massimiliano Gallo in un antieroe irresistibile.
- di Nicola GarofanoC’è qualcosa di profondamente umano e irresistibilmente comico in Malinconico, Moderatamente felice, in scena al Teatro Diana di Napoli fino al 27 aprile, con un eccezionale Massimiliano Gallo nei panni di Vincenzo Malinconico, l’avvocato d’insuccesso nato dalla penna di Diego De Silva. La regia dello stesso Gallo ci conduce nel mondo strampalato, tenero e tragicomico di questo antieroe moderno protagonista di un vero e proprio spettacolo popolare che si apre con una canzoncina simpatica, una filastrocca senza senso apparente, che dà subito il tono ironico e confuso del protagonista: Vincenzo Malinconico. È un uomo smarrito, letteralmente e metaforicamente: si sveglia senza ricordare chi è, né chi sia la donna addormentata sul suo divano. Comincia così un viaggio interiore tra coscienza, identità e relazioni, condito da battute fulminanti, dialoghi assurdi e considerazioni degne di un filosofo da bar. Un flusso di coscienza teatrale, tra stand-up comedy, monologo filosofico e cabaret esistenziale, con un linguaggio volutamente caotico, ricco di giochi di parole, ripetizioni, interruzioni.
Vincenzo Malinconico è un eroe del quotidiano, una persona ordinaria sopraffatta dal caos della vita e delle emozioni, ma capace di trasformare ogni frustrazione in una riflessione pungente, sarcastica e profonda. La scrittura è brillante, a tratti surreale, spesso poetica. Lo spettacolo gioca con i cliché, li smonta e li riassembla: l’amore, il matrimonio, il divorzio, la giustizia, la mascolinità, la memoria, l’identità, tutto passa sotto la lente disincantata e autentica di Malinconico. Anche quando l’azione sembra sfuggire di mano, tra angeli volanti e dialoghi nonsense, c’è sempre un cuore emotivo e vero che tiene tutto insieme.
Le gag e i numerosi siparietti, che punteggiano lo spettacolo con ritmo incalzante, raccontano le vicissitudini quotidiane di un uomo qualunque, forse mediocre, ma sorprendentemente profondo, osservatore del mondo, dotato di una capacità intellettuale istintiva che si esprime nei momenti più improbabili. Il pubblico ride spesso e Massimiliano Gallo è semplicemente magnetico. Con una prova d’attore sfaccettata e intensa, attraversa con naturalezza tutti i registri emotivi: dal grottesco al drammatico, dal surreale al sentimentalismo sincero. È incerto, impacciato, teneramente inadatto, ma sempre onesto e coerente, un uomo che si aggrappa alla sua morale anche quando il mondo intorno sembra chiedergli di fare il contrario.
Malinconico si confronta con la sua amante, interpretata da una splendida Eleonora Russo (che sta per sposarsi con un altro), con i suoi colleghi, i suoi clienti assurdi, il suo acerrimo nemico, il giudice Mastronzo (sì, proprio di cognome) interpretato da un bravissimo Diego D’Elia e con un assistente chiamato Bigodino, interpretato da un irresistibile Biagio Musella, anche nei panni della cliente Chanel e perfino dell’angelo custode: un angelo di terza categoria, con il cappotto sporco e le ali posticce, un’entità più nevrotica che celeste. È una spalla comica di rara efficacia, ma al tempo stesso un contraltare riflessivo, che funge da surreale specchio morale. “Lo sai qual è il tuo problema? Non hai imparato a lasciar perdere. Quando una storia d’amore finisce, la devi lasciare andare. Tu invece la insegui, corri dietro ai fantasmi”, gli sussurra la sua anima, che diventa voce narrante e alter ego, parlando della sua ex, Alessandra Persiano: una presenza costante nella sua mente, simbolo di quel passato che non riesce a chiudere. Nonostante abbia incontrato diverse donne, e forse fra queste l’amore ideale, Vincenzo resta bloccato, intrappolato tra ciò che è stato e ciò che potrebbe essere. A un certo punto, arriva una telefonata di Alessandra, che riapre vecchie ferite e memorie: Napoli, l’amore, e la domanda fatale: “Hai chiamato che ti manca Napoli o ti manco io?”, mentre lei, con tono distaccato, gli chiede di spedirle la borsa dimenticata a casa sua.
Cuore pulsante dello spettacolo è senza dubbio l’amore. In un momento in cui Malinconico si perde sognante con l’ologramma del suo amore ideale, prontamente ammonito dal suo angelo custode: “L'amore adolescenziale non fa più per te. Dovresti essere una persona matura o quasi”. Biagio Musella/angelo custode, ripeto, è la spalla perfetta: sfrontato, buffo, stanco anche lui del suo ruolo ultraterreno. Non ha ancora le ali “volanti”, si lamenta, suda e giudica. Il suo confronto con Malinconico è esilarante ma anche profondamente rivelatore: ci interroga sul senso della maturità, su cosa significhi “essere grandi” in un mondo che ci impone di essere disillusi. La loro dinamica è comica come quella di due vecchi amici che si conoscono da sempre, ma anche tragica come due anime che si sono perse nei rispettivi ruoli. E Malinconico parla come uno che si è buttato mille volte e mille volte ha sbattuto il muso, ma continua a cercare la vertigine: "Voglio sentire ancora le farfalle nello stomaco, voglio amare senza la paura di vivermi quest'illusione. L'amore è la cosa che più ti avvicina alla follia, ed io voglio morire pazzo d'amore". Un monologo struggente e disarmato, accompagnato dalle note dolcemente nostalgiche di Reality (dal film Il tempo delle mele), evocando quella malinconia da primo bacio adolescenziale, ma rivissuta con la consapevolezza di un uomo stanco.
Anche l’amore filiale, Alagia, interpretata da una brava Greta Esposito, che lui ama come una figlia, visto che l’amore della sua vita, Alessandra, era stata abbandonata da suo marito quando era incinta e Malinconico l’aveva cresciuta come fosse sua. Interessante il botta e risposta tra Vincenzo e Greta, che gli dice che il suo padre biologico la vorrebbe incontrare, che ora vuole tornare nella sua vita. Lei ci pensa, lo valuta, ma poi decide di non incontrarlo, perché il suo vero padre è Malinconico, per dire che l’amore vero è quello costruito, non quello genetico.
Il resto dello spettacolo è stato un carosello tragicomico che sfiora l’assurdo: cause contro Dio, discussioni sulla narcolessia di Biancaneve, politicamente corretta. Un tuttofare che si sbriga fra mille mestieri, interpretato da un bravissimo Manuel Mazia. Fotocopiatrici che si rifiutano di funzionare e la cliente stralunata e teatrale, Chanel, che vuole denunciare un certo Pablo, tra una sfilza di nonsense e trovate linguistiche irresistibili. Pablo è “uno spritzbull”, un cane che minaccia il suo di nome Swarovski, il tutto condito da una comicità surreale in stile teatro dell’assurdo partenopeo.
Malinconico dimostra una straordinaria capacità di fondere comicità, assurdità e dolore con una leggerezza feroce. Il ritmo è incalzante, il linguaggio iperrealista ma caricaturale, le situazioni quotidiane diventano grottesche, i personaggi macchiette tragiche di un'umanità spinta ai limiti.
Uno spettacolo che non ha paura di esagerare, un delirio organizzato dove ogni battuta è un atto d'accusa o una carezza, un grido d'aiuto o una risata soffocata. È Vincenzo Malinconico al massimo della sua espressione teatrale: fragile, grottesco, innamorato, esasperato, ma sempre profondamente umano.
Malinconico si conferma un esempio riuscitissimo di teatro popolare intelligente, capace di unire il grande pubblico intorno a una storia che parla di tutti noi. La platea ride, si emoziona e applaude con calore. Massimiliano Gallo, forte di una lunga e solida esperienza teatrale, si conferma un interprete di altissimo livello, capace di restituire tutte le sfumature di un personaggio complesso e affascinante come quello di Vincenzo Malinconico.
Scene Luigi Ferrigno, Costumi Eleonora Rella, Disegno luci Alessandro Di Giovanni, Musiche e canzoni originali di Joe Barbieri.