“La Scortecata” di Emma Dante al Teatro Bellini di Napoli fino al 3 febbraio 2019. Recensione
- di Maria BattagliaIl Teatro Bellini di Napoli propone fino al 3 febbraio La scortecata per la regia di Emma Dante il cui primo allestimento risale al 2017 per il Festival dei due Mondi di Spoleto, ricevendo ampi consensi di pubblico e di critica.
Lo spettacolo è liberamente tratto da Lo cunto de li cunti overo l’intrattenimento de peccerille, noto anche con il titolo di Pentamerone di Giambattista Basile (1566-1632 Giugliano in Campania).
Il testo è una raccolta di 50 fiabe, raccontate in 5 giornate. Hanno attinto a piene mani da quest’opera i fratelli Grimm, Perrault, Andersen e anche Roberto De Simone per la sua famosa Gatta Cenerentola.
La Scortecata è “lo intrattenimento decimo de la jornata primma” ed è una delle fiabe più famose, ancor di più perché inserita nello splendido film di Matteo Garrone : The Tale of Tales.
Carmine-Maringola e SalvatoreD'Onofrio foto Festival di Spoleto- ph.MLAntonelli
Un re si infatua della voce di una vecchia che vive in un misero tugurio insieme alla sorella più vecchia di lei. Carolina e Rusinella, questi i nomi delle due vegliarde, si sopportano a vicenda con quei rancori e quei rimorsi che accompagnano la vecchiaia. Insieme escogitano il piano di mostrare al re, dal buco della serratura, un solo dito perfettamente liscio, da ragazza. Complice la notte, il re giace con Rusinella ma allo spuntare del giorno si accorge di essere stato ingannato e la getta dalla finestra. Una fata, impietosita, trasforma la vecchia in una avvenente fanciulla che il re sposerà. All’altra sorella non rimarrà che lo scuoiamento con la speranza di far venire alla luce una carne giovane, tenera, fresca e appetibile.
Emma Dante si appropria di questa storia e la rigenera con la complicità di due straordinari attori: Salvatore D’Onofrio e Carmine Maringola.
Fedele alla tradizione della Commedia dell’arte e al teatro settecentesco, la nota regista palermitana, offre i ruoli femminili a due uomini che con sapiente maestria si calano in Carolina e in Rusinella, ma anche in quelli della fata e del re, attraverso un abile gioco di luci, di movenze flessuose e danzanti, di arditi cambi vocali.
I personaggi parlano un dialetto napoletano ricco di espressioni gergali e di invettive popolari al limite della volgarità ma nel contempo pregnante di proverbi e motti, frutto di una saggezza popolare antica e nuova.
La scena è scarna ed essenziale: due sedie, una porta, un castello in miniatura, un baule. É la giusta atmosfera per volare con la fantasia e ricostruire ambienti e personaggi alla riscoperta di un’affabulazione non solo verbale ma gestuale e mimica.
L’atto finale dello scuoiamento è reso visibile alla sola immaginazione dello spettatore fortemente coinvolto nella vicenda narrata. Questo atto finale è la liberazione dalla vecchiaia, da questa “prima malattia” come diceva Cicerone, da questi ”segni del tempo” che rendono il nostro corpo avvizzito, sfiorito, inguardabile. Emma Dante pone l’accento sulla tensione degli esseri umani a superare la realtà ma quando si parla di vecchiaia pochi sono gli antidoti.
Nella nostra epoca in particolare è vietato invecchiare.
La società ci vuole sempre in forma, tonici, scattanti e giovani nel corpo e nella mente.
La morale della fiaba, scritta dallo stesso Giambattista Basile è di una attualità sconcertante:“Il maledetto vizio delle femmine di apparire belle le riduce a tali eccessi che, per indorare la cornice della fronte, guastano il quadro della faccia… Ma, se merita biasimo una fanciulla che troppo vana si dà a queste civetterie, quanto più degna di castigo una vecchia, che volendo competere con le figliole, si causa l’allucco della gente e la rovina di se stessa”.
Accettarsi per quello che si è ed accettare la vecchiaia è indice di saggezza.
Ricordiamo che gli elementi scenici ed i costumi sono di Emma Dante, mentre le luci di Cristian Zucaro.