Io sono una farfalla: la rinascita di Eva e la danza fra luce e ombra dell'identità di genere
- di Nicola GarofanoScritto e interpretato da Antonio Stoccuto, Io sono una farfalla, per la regia di Antonio Grimaldi, andato in scena al teatro Magma di Torre Annunziata, è uno spettacolo che scava profondamente nel cuore dell'esperienza transessuale, offrendo una visione dolce, fragile, ma anche incredibilmente audace del viaggio di Eva, una donna che, attraverso il suo processo di transizione di genere, si confronta con le sfide dell’autocoscienza e della ricerca della propria identità.
Lo spettacolo affida soprattutto alla mimica, alla pantomima e al gesto una parte fondamentale del suo linguaggio espressivo. L’azione muta cattura l'attenzione dello spettatore, trasmettendo l'interiorità e la complessità del personaggio senza bisogno di parole.
Il viso e il corpo degli attori diventano gli strumenti principali per esprimere emozioni, trasformazioni e stati d’animo, permettendo a ogni gesto di parlare al pubblico con una forza visiva che amplifica la narrazione. I due attori in scena interpretano Eva magnificamente, Antonio Stoccuto e Antonio Grimaldi, i doppelgänger capaci di comunicare ogni passaggio del percorso interiore di Eva, dal dolore alla speranza, dal vuoto alla rinascita.
La forza della pantomima non è solo un espediente stilistico, ma un mezzo potentissimo per raccontare l'invisibile. È attraverso il gesto che Eva, personaggio simbolo di chi affronta una metamorfosi profonda, riesce a esprimere la propria identità e il proprio coraggio, e allo stesso tempo ci invita a riflettere sulle sfide universali di chi lotta per essere sé stesso, al di là delle parole. La regia di Grimaldi, supportata da una scenografia minimalista e simbolica, permette alla mimica di emergere in tutta la sua potenza, creando una sintonia unica tra l’attore e il pubblico, che diventa partecipe del cambiamento, della crescita, della lotta di Eva, come se fosse lui stesso a vivere quella trasformazione.
Lo spettacolo si apre con una scena che colpisce immediatamente: una panchina dipinta di rosso, simbolo eloquente della violenza sulle donne e di ogni altro tipo di violenza. La scena, cruda nella sua semplicità, assume un significato profondo grazie alla voce fuori campo di Eva, che racconta la sua esperienza nell'adottare e dipingere questa panchina, un atto che diventa simbolo di rinascita e lotta. La sua testimonianza è intrisa di sofferenza, ma anche di speranza, come riflesso di un percorso interiore che l'ha portata a ritrovare la propria forza: «Guardavo questo barattolo rosso, racconta Nicoletta Eva Giardina, e mi viene in mente questa scena del parto in cui c'è tanta perdita di sangue ma per un motivo bene, per l'inizio di una vita e non per la fine della vita. Tutto questo sangue ha fatto nascere la panchina. Diciamo che è stato il mio parto».
Ciò che rende la narrazione tanto coinvolgente non è solo l'intensità del vissuto di Eva, ma anche la bellezza della sua lotta per farsi “essere”. La figura di Eva è emblematica, non solo per il percorso di accettazione del proprio corpo e della propria identità, ma per la sua capacità di resistere al giudizio esterno, di superare le barriere sociali e culturali che spesso relegano chi non si conforma alle aspettative di genere.
Ciò che emerge con forza dallo spettacolo è l’idea della rinascita: la farfalla non è solo il simbolo di una metamorfosi fisica, ma diventa una metafora profonda per la libertà, l’evoluzione interiore e la lotta incessante contro le proprie paure, contro la propria solitudine e le incertezze.
La scena si trasforma in uno spazio in cui il sogno e l’incubo si mescolano, accogliendo le tensioni più intime e universali: la paura di essere sé stessi, il desiderio di non essere giudicati, ma anche la speranza di raggiungere un "volo libero" verso una realtà di consapevolezza e autenticità.
La performance di Io sono una farfalla ricorda le parole di Simone de Beauvoir: «Non si nasce donna, lo si diventa». Diventare non è solo una questione biologica o sociale, ma una scelta profonda, un percorso di autodeterminazione che implica il coraggio di riscrivere la propria storia, di liberarsi da un passato che non ci riconosce e di accogliere il futuro con una nuova consapevolezza. Eva è simbolo di tutte le persone che, nei secoli, hanno cercato di liberarsi da una prigione identitaria imposta dall'esterno, per costruirne una nuova, unica e irripetibile.
Il supporto scenico di Grimaldi e la regia precisa e visionaria conferiscono al dramma una carica emotiva che non lascia scampo: ogni passaggio della trasformazione di Eva viene vissuto in tempo reale dal pubblico, con una drammaturgia che spezza la quarta parete, in cui ogni gesto, ogni movimento è testimone di una metamorfosi che non è solo fisica, ma anche mentale e spirituale.
L’introduzione della madre come figura tenebrosa e punitiva, e di un innamorato che, con il suo amore e la sua danza, accompagna Eva verso il suo nuovo cammino, aggiunge uno strato di tensione emotiva che porta lo spettatore a riflettere sulle sfumature di affetto, sofferenza e speranza. La madre, simbolo delle aspettative familiari e sociali, diventa l'ostacolo più grande da superare per raggiungere la propria libertà, mentre l’innamorato, nel suo amore “fiabesco”, apre la strada verso la realizzazione di sé, anche se questa via è segnata da ambiguità e vulnerabilità.
La figura di Eva ci insegna qualcosa di profondo sulla condizione umana: che la ricerca di sé, la crescita, la trasformazione non sono mai facili, ma sono un viaggio necessario. La protagonista dell’opera, Nicoletta Eva Giardina, era presente in sala e invitata sul palco ha detto: «È bello essere qui, non solo in questo teatro, ma nel mondo. Troppe volte ho provato a non esserci e, ogni volta, non ci sono riuscita, perché ha sempre vinto la mia voglia di esserci, di fare rumore, di farmi sentire, di dire a questo mondo che, purtroppo, ancora oggi non comprende la libertà di essere sé stessi. Ed io, ogni volta, voglio dire a questo mondo che la libertà è una cosa sacrosanta. La gente è morta per la libertà e continua a morire ogni giorno. E nonostante ciò, ancora oggi vediamo ragazzi giovanissimi togliersi la vita, perché non vengono rispettati. Perciò lo dico sempre: stiamo vicino ai nostri giovani, perché sono tanto fragili e hanno bisogno d'amore, perché l'amore, lo so, forse sono sciocca a crederci ancora, ma l'amore ci può salvare».