Music & Theater

Il silenzio e la musica di Edipo: la rivoluzione di Alessandro Serra al Teatro Bellini

Alessandro Serra ci regala un'altra opera che promette di rimanere impressa nel panorama teatrale contemporaneo: “Tragùdia. Il canto di Edipo”, in scena al Teatro Bellini di Napoli fino al 17 novembre, che segna un punto di riferimento nel cosiddetto “teatro povero”, un termine che Serra ha reso innovativo e denso di significato. Questa versione del ciclo edipico, recitata in grecanico calabro e sottotitolata, richiede al pubblico non solo di assistere, ma di immergersi in una dimensione sonoro-visiva dove la musica della natura, le voci del coro e il silenzio stesso si intrecciano per restituire l’essenza del dramma umano.
Tragùdia è liberamente ispirato alle opere di Sofocle e ai racconti del mito di Edipo, una storia che continua a colpire per la sua profondità psicologica e la sua tragicità senza tempo. La narrazione si svolge a Tebe, devastata da una peste, e si dipana come un giallo intriso di elementi mitologici, in cui il protagonista, Edipo, cerca di smascherare un assassino, solo per scoprire che quell'assassino è lui stesso. Edipo si rende conto che, nel suo tentativo di fuggire dalle profezie, ha in realtà perseguito il sentiero di un destino ineluttabile: ha ucciso suo padre e ha sposato sua madre. La verità esplode come una bomba devastante. Nel momento in cui apprende l’orribile evidenza della sua discendenza, Giocasta si toglie la vita, lasciando Edipo in uno stato di completa disperazione.
Un progetto iniziato due anni fa, il primo anno e mezzo è stato un investimento stesso del regista: “viaggi, studio; infatti, con gli attori siamo stati due volte in residenza in Calabria per conoscere le persone, ascoltare i suoni, farci contagiare da questa meravigliosa musicalità, da questo parlare largo alla maniera dorica. Alla fine abbiamo fatto i consueti due mesi di prove, arrivando molto preparati” (da un’intervista su Gagarin Magazine).

                                                                  
In questo lavoro, l’autore-regista combina l'estetica del teatro con la profondità della mitologia greca. L'aspetto più sorprendente di Tragùdia è la scelta della lingua grecanica, una decisione audace che riflette il desiderio di riportare alla luce le radici di una cultura in via di estinzione. Questa lingua, parlata in una ristretta area del sud Italia, serve non solo a conferire autenticità filologica alla rappresentazione, ma invita lo spettatore a confrontarsi con l’ineffabilità del dramma. Chi assiste si trova spiazzato: la comprensibilità della trama passa in secondo piano, mentre è la musicalità delle voci, l’armonia dei suoni e il ritmo delle azioni a trasmettere la potenza del racconto veicolato nella sua atavica funzione di pharmakos. Abbandonare le mediazioni filologiche delle tradizioni permette allo spettatore di immergersi nel suo primitivo del mito; la musicalità della lingua antica diventa un veicolo per il sensibile: le parole perdono la loro funzione descrittiva per trasformarsi in echi emotivi di ciò che plasticamente si costruisce sulla scena. 
Un’apoteosi dionisiaca, il significato cede il passo al senso. 
Per gli attori, assumere quei suoni e recitare quelle parole arcaiche, tradotte in lingua grecanica da Salvino Nucera, è stata una sfida, ma hanno realizzato un ottimo lavoro di recitazione e movimenti, con l’aiuto dell’attrice Chiara Michelini. La scenografia essenziale, con una struttura di legno che richiama l’iconostasi ortodossa, costumi che oscillano tra il militare e il religioso, luci che si muovono con delicatezza e suoni della natura, contribuiscono a creare un’atmosfera avvolgente e mistica. L’eleganza del lavoro scenico, curato dallo stesso Serra, è accentuata da una fusione di luci e ombre che richiamano il chiaroscuro di vecchi dipinti barocchi.
Quando si arriva alla scelta di Edipo di cavarsi gli occhi, una manifestazione dolorosa della sua incapacità di affrontare la realtà e le conseguenze delle sue azioni, arriva il buio totale in scena e si sentono solo i lamenti e mugugni di Edipo, evidenziando la sua cecità figurativa e costringendo il pubblico, paradossalmente, a “guardare con gli occhi di Edipo”, abbracciando il nulla assoluto.
Rimarchevole è la scelta del regista di dedicare la sua attenzione anche ad una parte del mito spesso lasciata in ombra, ovvero “Edipo a Colono”, scritta da Sofocle trent’anni dopo la prima rappresentazione di “Edipo re”. Questa seconda parte del mito concede al protagonista uno sguardo sorprendentemente umano: non si tratta più di un eroe tragico, incastrato nella schiacciante morsa di un implacabile destino, ma un uomo che, in quella che è l’intimità di una vita che volge al termine, chiede e ottiene per sé stesso la possibilità di una redenzione spirituale. Paradossalmente, ritroviamo un Edipo che pur nella completa cecità organica, ha abbandonato la ceca hybris da cui era dominato nelle vicende di Tebe, abbracciando l’umiltà, diventando simbolo di trasformazione e purificazione. La messa in scena sottolinea il portato ascetico di questa riconciliazione che culmina in una resa serena al volere divino, in cui Edipo, ormai in pace, si ricongiunge con gli déi, sollevato dal peso delle sofferenze terrene, in una tempesta di luce. 

                                      
La potenza del coro, figura centrale nel dramma, viene esaltata dalle musiche e dai canti concepiti da Bruno de Franceschi, che incapsulano le tensioni emotive dei personaggi. Questi momenti di canto si intrecciano con le parole, generando un linguaggio nuovo che va oltre il semplice dire e abbraccia il senso dell’essere e del sentire. Ogni nota e ogni ritmo diventano un passo verso la catarsi.
La recitazione del cast, ridotto ma intenso e ben calibrato, rappresenta un elemento cruciale nel rendere tangibile questa esperienza. Jared McNeill, nel ruolo di Edipo, offre un’interpretazione che va oltre la mera recitazione: il suo corpo e il suo modo di muoversi sul palco comunicano molto più delle parole che pronuncia. Al suo fianco, Chiara Michelini fornisce una potentissima interpretazione di Tiresia, piegandosi al tema della cecità e rivelando le complessità del sapere e del non vedere. Il pubblico è accompagnato in un viaggio attraverso emozioni e paure di un uomo che, pur desiderando abbracciare la verità, si trova incatenato a una predestinazione ineluttabile.
Tragùdia. Il canto di Edipo è un’opera d’arte viva che scava nell’animo umano, rivelando la fragilità e la complessità delle relazioni. Attraverso una selezione di elementi scenici ridotti all’essenziale, Serra riesce a comunicare un messaggio di bellezza e speranza: anche nel buio, c’è spazio per l’accoglienza e la conoscenza, per l’amore. Questa è la parola chiave che chiude il dramma di Serra.