Dimaggio: Un grido di ribellione e consapevolezza nella scena indie. Intervista
- di Nicola GarofanoDopo l’entusiasmo suscitato dal tour di presentazione del suo EP A me non serve niente, che ha toccato le principali città italiane, Dimaggio continua a farsi spazio nella scena musicale emergente. Il suo EP d’esordio, pubblicato a novembre scorso e anticipato dal singolo Le nonne e le chiese, è stato subito accolto positivamente, guadagnandosi una posizione nelle playlist di Spotify come Scuola Indie e New Music Friday. Con più di 50 concerti all’attivo e un pubblico sempre più fedele, il giovane artista indie pop ha conquistato la scena con il suo mix di sonorità fresche, riflessioni intime e la sua voce profonda.
A me non serve niente è un progetto che racconta il viaggio interiore di una generazione che cerca sé stessa, tra le sfide quotidiane e le aspettative sociali. Il disco, che mescola pop d’autore, chitarre sporche e momenti più intimi, è un’affermazione di indipendenza e consapevolezza. Dimaggio ci racconta del processo creativo dietro l’EP, della sua ricerca di identità artistica e del significato di un album che invita alla riflessione sulla libertà di essere se stessi, senza compromessi.
A me non serve niente: com’è stato il processo creativo dietro quest’EP e come hai scelto il titolo così forte e deciso?
«È nato da sè… i brani di questo Ep, senza alcun tipo di “forzatura”, sono brani venuti a galla nei due anni che vanno dalla fine del liceo ai primi mesi del mio trasferimento a Milano. È una vera e propria raccolta di una serie di “inneschi” avvenuti nella mia vita che mi hanno portato a una consapevolezza: dal punto di vista interno ed emotivo, a volte ripetersi di non aver bisogno di niente è l’unico modo che abbiamo per poter sopravvivere a delle mancanze causate da terzi e che, a lungo termine, possono diventare una zavorra troppo ingombrante per la nostra evoluzione».
Hai parlato in passato della tua ricerca di identità artistica. In che modo questo EP rappresenta un momento di crescita e consapevolezza per te?
«Ho sempre studiato canto, fin dai primi anni di scuola, ed è stata una mia grandissima passione, ma non ho mai pensato alla musica come motore dei miei giorni e della mia vita adulta. Una volta capito che niente potesse essere paragonabile alla dimensione della scrittura e del palco e che, di conseguenza, bisognava lavorare affinché qualsiasi cosa potesse essere svolta al meglio, mi sono dovuto chiedere: “Chi sei? Da dove vieni e, soprattutto, dove vuoi andare?” (parlando di orizzonti musicali). Quando ho iniziato a programmare questo disco, era obbligatorio perlomeno iniziare a ricercare la risposta a queste domande, ed è inevitabile che questa ricerca continui tutt’ora».
Nel brano A me non serve niente, esplori un tema di autoaffermazione e indipendenza. Cosa ti ha spinto a scrivere una canzone che sembra quasi un manifesto di autonomia? È una riflessione sulla generazione di oggi o qualcosa di più personale?
«Questo brano nasce da una condizione profondamente personale, la cui ‘spiegazione’ si ritrova obbligatoriamente in una realtà sociale che va contestualizzata e, allo stesso tempo, a mio avviso, criticata. Negli anni della mia crescita ho avuto modo di assistere, sulla mia pelle e su quella delle mie amiche e amici, a delle vere e proprie opere di ‘manipolazione’, spesso celate sotto le spoglie di consigli. Sentiamo parlare continuamente di quanto le nuove generazioni siano svogliate, ma nessuno esplora i possibili motivi di questa inerzia. Penso che spesso ci vengano proposte solo delle alternative di vita che rientrino in alcuni schemi e preconcetti. Obbligare una persona a vivere in un ambiente che non gli appartiene significa determinare la condanna del suo ‘essere’… Ecco cosa significa: ‘A me non serve niente’, non aver bisogno di niente per esistere, decidere, chi e come esserlo».
Nel brano, c’è un chiaro contrasto tra il bisogno di cercare conferme e l'affermazione di non aver bisogno di niente. Come si concilia questo dualismo nel tuo percorso artistico e nella tua vita quotidiana?
«Beh, ovviamente quanto detto precedentemente appartiene a un ragionamento fortemente razionale. Mi fa piacere che si noti questo contrasto. Personalmente, non riesco sempre a resistere nella razionalità, e questo brano credo spieghi bene come il lato inconscio di una persona possa far emergere delle sofferenze che è giusto siano legittimare».
Il brano Le nonne e le chiese è stato subito un successo, toccando temi di distanza e incomunicabilità. Che significato ha questa canzone per te e cosa rappresenta nella tua musica?
«Questo brano parla del mio primo vero e proprio amore un po’ più maturo, quelli per cui il mondo sembra poter improvvisamente smettere di essere ostile. Si parla di incompatibilità di vita e di scelte, sia musicalmente sia personalmente, e ha decretato una svolta di “maturità” e consapevolezza. Costringersi a lasciare andare un amore, nonostante non lo si voglia fare, rappresenta un punto di non ritorno».
Il verso "Se stessimo insieme non avremmo rimpianti" è molto potente. Credi che sia possibile per le persone superare le barriere emotive e sociali, o è un sogno difficile da realizzare?
«Assolutamente sì, non c’è nulla che possa fermare la nostra forza di volontà, soprattutto quando si tratta di legittimare dei sentimenti. Il problema sta nel volerlo fare, soprattutto quando ci sono delle strade più semplici. A quel punto si parla di coraggio, che è una cosa ben diversa».
Nel testo ci sono riferimenti a cani abbandonati e bambini incompresi. Come vedi il ruolo della vulnerabilità nelle tue canzoni e nel tuo percorso artistico?
«Io mi auguro che “Dimaggio” possa rappresentare per le persone una dimensione di “ritrovo”. Per anni, ho sentito parlare della mia emotività come di un qualcosa da combattere e “levigare”. Posso solo sperare di diventare un punto di riferimento, per chi come me, non ha avuto paura di conoscersi, disinnescarsi e accettarsi».
In La sera dei licantropi, c’è il verso "Scambiarsi i corpi e non i cuori", forse una riflessione sulla superficialità delle relazioni moderne. Cosa pensi del ruolo dei legami emotivi nella società di oggi, soprattutto nei confronti delle giovani generazioni?
«Penso che ci sia tanta paura, tanta disillusione. Sono il primo a chiedersi a cosa sia dovuto il mio cinismo nei confronti dei sentimenti amorosi. Credo che siano cambiati i modelli e gli strumenti, a volte mi chiedo se sono solo “nostalgico” o se tutto ciò rappresenta un’insofferenza non di poco conto. Sono molto felice che stiano iniziando a tremare i grandi pilastri del bigottismo riguardo alle libertà sessuali, ma basare le relazioni sul sesso non è qualcosa che voglio mi appartenga».
Il tuo sound mescola pop d'autore, chitarre sporche e brani più intimi. Come descriveresti la tua evoluzione musicale e quali sono le influenze che ti hanno spinto a sperimentare con questi stili?
«La dimensione a cui aspiro e in cui continuo a vivere è quella del cantautorato di Dalla, Battisti, De Gregori e, in generale, della musica “suonata” in studio come dal vivo. È inevitabile però che si aggiungano le contaminazioni dell’indie pop/rock internazionale con cui sono cresciuto, partendo da Harry Styles fino ai Manchester Orchestra».
Hai detto che la creazione di un disco è come svuotare le tasche per fare ordine tra priorità, aspettative e desideri. Durante il processo di scrittura, c’era qualche momento in cui ti sei davvero messo in discussione?
«Se mi sono messo in discussione, è merito principalmente del percorso di terapia che ho intrapreso prima dei miei diciotto anni. Passare in rassegna anche gli eventi più “banali” all’apparenza è un’occasione impagabile di conoscersi, vagliare anche le varie ipotesi sui comportamenti che avremmo voluto o potuto assumere, e scegliere consapevolmente nel presente chi essere, soprattutto nel rispetto della versione di noi che non aveva gli strumenti per farlo».
Parlando del video della titletrack, la tua immagine è mostrata in maniera molto semplice e minimalista. Come hai voluto rappresentare te stesso visivamente e cosa volevi che il pubblico percepisse di più attraverso questa scelta estetica?
«Mi accorgo spessissimo sulla mia pelle di come il tasso di concentrazione negli ultimi anni sia nettamente calato. Questo mi ha portato, nel momento in cui ho realizzato i video del disco, a ricercare un’immagine che non catturasse troppo l’attenzione (come anche nel video de Le nonne e le chiese), e potesse permettere, a chi interagiva, di concentrarsi solo sul testo».
Dopo aver calcato più di 50 palchi in tutta Italia, quali sono stati i concerti che ricordi con più emozione e che tipo di connessione senti di aver costruito con il tuo pubblico durante il tour?
«Ogni concerto da ‘emergente’, senza costi esorbitanti, calca e spintoni, mia ha permesso di instaurare una vera e propria comunicazione con il pubblico. Ogni live, dai più ai meno frequentatati, mi ha insegnato qualcosa, facendomi diventare un grandissimo fan della celebre ‘gavetta’. Il concerto che rimane imbattuto, un vero e proprio motore per la mia progettazione futura, è quello del 30 dicembre 2024 a Lecce. Non ho mai vissuto il calore del pubblico in un modo più forte e diretto, è stato incredibile».
Cosa possiamo aspettarci in futuro da te? Stai già pensando a nuovi progetti o brani da pubblicare?
«Assolutamente sì! La scrittura fortunatamente c’è, e i nuovi brani anche. Sicuramente ci si può aspettare che io faccia quello che mi pare, che le produzioni si muovano a passo di Riccardo, e magari anche dello studio che sto facendo in conservatorio».
La tua biografia parla di un legame forte con la comunità queer. Come vedi l’evoluzione della scena musicale legata alla visibilità e all'inclusione?
«Per quanto mi riguarda, avere la fortuna di avere uno spazio, non importa di quante persone, significa avere la responsabilità di dare voce a chi ha difficoltà a trovarla. La mia comunità, la comunità queer, troverà sempre una casa di risonanza in quello che faccio. Parlare, rappresentare, dare spazio e visibilità ai temi che non siamo abituati a vedere primeggiare nel dibattito dell’opinione pubblica dovrebbe essere un compito di noi tutti, finché ne sarà necessario».
Hobby? Libri, fumetti, sport, collezioni particolari…
«Ho superato di recente un blocco del lettore che durava da anni…a sbloccarmi è stato leggere di sociologia, politica e diritti civili, temi che sono gli unici che a volte riescono a non farmi pensare alla musica!».