Music & Theater

Capolavoro dopo capolavoro, De André dopo De André. Recensione

Ph. Lidia Santangelo

De André canta De André – Best Of Estate 2025, sold out per Cristiano De André sul palco del Teatro Carlo Gesualdo di Avellino, per raccontare, reinterpretare e, in qualche modo, abitare le canzoni del padre: un vero atto d'amore, un rito collettivo di rievocazione poetica, tappa a cura di Anni 60 produzioni..
Ad accompagnarlo, una band di altissimo livello: Osvaldo Di Dio alle chitarre, Davide Pezzin al basso, Luciano Luisi alle tastiere, Ivano Zanotti alla batteria. Gli arrangiamenti, firmati dallo stesso Cristiano insieme a Luisi, Max Marcolini e Stefano Melone, sono profondamente coerenti con lo spirito originario delle opere di Fabrizio. Un equilibrio raro tra fedeltà e rinnovamento.
Cristiano, abilissimo polistrumentista, ha imbracciato la chitarra acustica e classica, il bouzouki, il pianoforte e perfino il violino, dando corpo e anima a un repertorio che è ormai parte integrante della nostra memoria culturale.
Il concerto si apre con Mégu megún (medico medicone), una delle più intense e grottesche incursioni di Fabrizio De André nell’animo umano, esattamente di un ipocondriaco tragicomico. Cantata in genovese, la canzone mette in scena il monologo ossessivo di un malato immaginario che rifiuta la guarigione per paura del mondo esterno, popolato da gente invadente, sporca, minacciosa. Il videoclip è diretto da Gabriele Salvatores, con protagonista Claudio Bisio.
Dopo  çìmma, piatto tipico genovese, Cristiano si rivolge al pubblico:
«Siamo ancora qui, in un viaggio nella musica e nella poesia di mio padre. Quest’anno cade anche il 26° della sua scomparsa. Credo sia un dovere di figlio continuare a cantare le sue canzoni per dare l’opportunità a chi non ha potuto assistere a un suo concerto di ascoltarle dal vivo, non da lui, ma da un parente stretto. Sono opere che raccontano un pezzo di storia del Paese, e questo The Best Of Tour racchiude il meglio degli ultimi quattro album dal vivo, De André canta De André. C’è un filo rosso che lega tutte le canzoni di mio padre, dalla prima all’ultima, ed è sicuramente la coerenza, l’ansia di giustizia, il punto di vista di chi si è sempre schierato dalla parte degli ultimi, degli indifesi. Lui era veramente convinto che ci fosse un modo di vivere senza dolore e ci ha insegnato che non ci sono “poco di buono”, che solo l’amore, la compassione e il riconoscersi nel più debole possano salvare l’uomo e, di conseguenza, il mondo».


Tra i brani più toccanti della serata, Ho visto Nina volare, con il celebre verso: Mastica e sputa, da una parte il miele, mastica e sputa, dall'altra la cera. Una citazione poetica e concreta al tempo stesso, ispirata a un’antica pratica dell’apicoltura lucana osservata da De André e Fossati nel Materano.
Arriva Don Raffaè, uno dei brani più popolari di De André, usato inadeguatamente in siparietti televisivi, non considerando che si tratta di una fucilata contro uno Stato corrotto e assente, con un grottesco ribaltamento dei ruoli tra legalità e criminalità. Attraverso l’ironia e il dialetto maccheronico, De André dipinge uno Stato da galera e una camorra che diventa istituzione parallela, ispirata a Raffaele Cutolo. Faber diceva: «Le bande camorristiche e mafiose, chiamiamole ormai istituzioni antistatali, nascono dove lo Stato lascia i buchi e quindi danno loro il lavoro, lavoro sporco, fottuto a chi non ne ha».
Altro momento altissimo è stato Se ti tagliassero a pezzetti, dove l’amore per la libertà si traveste da amore carnale, e la strage di Bologna del 1980 fa da sfondo crudo e doloroso. La canzone ha assunto una forza quasi viscerale, amplificata da un arrangiamento energico anni Ottanta, che ha avvolto la platea in un silenzio riverente.
Smisurata preghiera, ultimo brano dell’album Anime Salve, ispirata alla poesia di Álvaro Mutis, è apparsa come una sorta di preghiera laica, una liturgia solenne per i viaggiatori ostinati e contrari, gli emarginati, i ribelli.
La voce di Cristiano, qui, ha raggiunto vette di struggente lirismo, come anche in Verranno a chiederti del nostro amore, che ha toccato corde intime e delicate. Considerata una delle più belle canzoni d’amore mai scritte da De André, tratta da Storia di un impiegato (1973), in cui: Alla fidanzata del mostro, l'impiegato scrive una lettera dal carcere nel quale è rinchiuso.
Altre due canzoni dall’album Storia di un impiegato, le cui musiche sono state scritte da Faber insieme a Nicola Piovani: Canzone del padre e Nella mia ora di libertà.
Indimenticabile Amico fragile, con venature rock progressive che ne amplificano l’intensità emotiva: è una confessione ubriaca e lucidissima, nata da una notte di disillusione e rabbia. De André scava nelle ipocrisie sociali e personali con sarcasmo tagliente, oscillando tra distacco e intimità, tra condanna e autocritica. È il canto di chi sceglie di non fingere, anche a costo della solitudine: un inno fragile e feroce alla libertà di essere, anche nella sconfitta.
De André, nel libro Sotto le ciglia, chissà – I Diari, racconta: «È penoso pensare a una minoranza, anche a una minoranza di un individuo, che si camuffa da maggioranza per vivere tranquillo, all’omosessuale che finge di essere eterosessuale, allo zingaro che si camuffa da borghese benestante: apparentemente, vivranno meglio, facendo parte della maggioranza, ma vivranno la loro dissociazione interiore come un incubo. Vivranno male».


Cristiano ha saputo alternare con disinvoltura intensità e leggerezza, come nel caso della Canzone di Marinella e di Bocca di Rosa, dove la narrazione si fa mito e satira sociale allo stesso tempo. Bocca di Rosa è un inno all’amore libero, un’irriverente ballata che sfida l’ipocrisia di provincia con ironia e poesia.
De André canta la storia di una donna che non si vende, ma ama per passione, scandalizzando le ‘comari’ e cambiando, con il solo potere del desiderio, la mentalità di un paese. Un personaggio reale, Maritza, che diventa leggenda, trova l’indirizzo di Fabrizio su un giornale di musica e si presenta a casa sua perchè voleva togliersi la voglia. E in questo racconto tra sacro e profano, Fabrizio si ritrova profondamente: è la canzone che più mi somiglia.
La canzone di Marinella, capolavoro assoluto, ebbe attenzione solo quando fu cantata da Mina: a lei si deve il successo della canzone e della sorte di Fabrizio De André. «Scrivevo già canzoni da circa 7-8 anni – racconta Faber in un’intervista a Vincenzo Mollica – ne avevo fatte già una ventina, però non avevo risultati pratici e, quindi, avevo quasi deciso di finire gli studi in legge, per diventare quello che, probabilmente, sarei diventato: un pessimo avvocato.
E a truccare le carte è intervenuta Mina, cantandomi La canzone di Marinella, e con i proventi SIAE mi rincuorai e decisi di continuare a fare lo scrittore di canzoni
».


Disamistade, Andrea, La cattiva strada. Il pathos tocca il culmine con Un giudice, dove l’interpretazione tagliente ha restituito tutta la violenza simbolica e grottesca del brano, e con Il testamento di Tito, che Cristiano canta con una forza quasi profetica. Poi La collina, Volta la carta, Quello che non ho, Fiume Sand Creek: per ogni canzone ci sarebbero fiumi e fiumi di spiegazioni e significati, gli stessi che Fabrizio De André ha lasciato durante le interviste, nei vari libri e negli aneddoti, alcuni raccontati da Cristiano stesso, anche in questo tour di grande successo.
Dopo Crêuza de mä, che ha avuto nuova linfa dal successo a Sanremo, cantata insieme a Bresh nella serata dei duetti, Cristiano ha invitato il pubblico sotto al palco per i bis, e la platea si è trasformata in un coro unanime per Il pescatore. Poi, con dolcezza, si è seduto al pianoforte verticale e ha chiuso con La canzone dell’amore perduto, in un silenzio che sembrava sospendere il tempo.
Ho visto tante lacrime di gioia e tanta euforia per questo De André canta De André – Best Of Estate 2025 che non è solo un concerto. È una dichiarazione di continuità, un ponte tra generazioni, una celebrazione viva della musica come strumento di comprensione del mondo. Cristiano De André non si limita a riproporre un repertorio: lo rivive, lo reinterpreta, lo riaccende. E in questo, forse, riesce a compiere il gesto più rivoluzionario: tenere viva la voce di chi ha scelto di stare dalla parte degli ultimi.