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“Siamo imperfetti, ma veri”, il manifesto comico-esistenziale dei The Jackal al SWFF

Foto di Nicola Garofano

Ospiti al Social World Film Festival di Vico Equense, i The Jackal hanno partecipato a un Q&A con i giovani studenti di cinema per presentare la seconda stagione della loro serie Pesci Piccoli – Un'agenzia. Molte idee. Poco budget, proiettata integralmente alla Sala Rosi del Museo Antico Palazzo del Cinema. La serie, prodotta da The Jackal e Mad Entertainment in collaborazione con Prime Video, è composta da quattordici episodi di circa 26-29 minuti. Dopo il debutto della prima stagione nel giugno 2023, la seconda stagione è arrivata il 13 giugno 2025. Ambientata nell’era dei social e degli influencer, la serie racconta l’arrivo di Greta, manager declassata dalla sede di Milano a quella di Napoli dell’agenzia Tree of Us. Qui si scontra (e s’intreccia) con un team stralunato fatto di creativi, piccoli influencer e ambizioni al ribasso, tra dinamiche da ufficio, flirt e riti collettivi. Con un tono ironico e malinconico, la serie riflette le contraddizioni della generazione contemporanea. Nell’intervista che segue, i The Jackal ci raccontano com’è cambiata la loro comicità, l’importanza dell’imperfezione, e come affrontano tematiche complesse con leggerezza.
Cosa vi ha colpito maggiormente nell’incontro con gli studenti del Social World Film Festival?
Ciro Priello: «Tutti i ragazzi sembravano molto più grandi della loro età. Mi ha colpito molto l’interesse reale che avevano per la nostra produzione, in particolare per la seconda stagione di Pesci Piccoli. Hanno fatto domande molto particolari, sulla produzione e su tutto il percorso artistico che ci ha portato alla realizzazione della seconda stagione. Quindi, beh, un’ottima impressione, almeno dal mio punto di vista. È sempre bello in queste occasioni avere un confronto reale con chi segue quello che facciamo sul web, su Prime Video, e apprezza i nostri contenuti. In un’epoca in cui siamo abituati a vedere solo visualizzazioni e commenti digitali, è stata una grande soddisfazione».
La seconda stagione è percepita come un’evoluzione rispetto alla prima. Avete vissuto anche voi questo cambiamento?
Ciro Priello: «Devo essere sincero, l’ho percepito già dalle prime letture. Sentivo che poteva essere qualcosa di davvero speciale. Non che la prima stagione non lo fosse, ma era un prodotto nuovo, che doveva ancora definire il suo mondo. Nella seconda stagione, invece, gli sceneggiatori, e anche noi attori, che abbiamo partecipato un po’ alla scrittura, sentivamo il bisogno di approfondire i personaggi, di capire perché erano fatti così. Abbiamo inserito anche una componente più drammatica, per restituire quella sensazione di commedia amara a cui noi italiani siamo abituati, ma che da un po’ non si vedeva più. Nella vita ci sono momenti divertenti e momenti drammatici, e fondere questi due aspetti è stato per me un grande traguardo».
Martina Tinnirello: «Non solo i personaggi principali sono più sviluppati, ma anche i secondari. Ho rivisto la serie dieci giorni fa e mi ha meravigliato vedere come delle piccole scelte dei personaggi secondari abbiano reso la serie bellissima. In ogni episodio ci sono piccoli fuochi d’artificio che rendono tutto più denso ed esplosivo. Quindi un plauso anche a loro».
Nicola Verre: «È un po’ un parallelismo con quello che è The Jackal: cerchiamo sempre di migliorarci. La prima stagione era importante e bella, ma volevamo fare qualcosa di meglio. Lavoriamo sempre così, su tutte le produzioni. Sono vent’anni che cerchiamo di aumentare la squadra, il team, e migliorare tutto nei minimi dettagli. La seconda stagione è un esempio: la prima era un figlio che ci siamo coccolati, la seconda volevamo farla bene, bene, bene».
Ciro Priello: «Il figlio lo abbiamo mandato a scuola, questa volta. È cresciuto abbastanza per andarci».


In un’intervista avete detto che, in un mondo omologato, vi piace essere imperfetti ma veri. Quali sono le vostre imperfezioni, sia personali sia nei personaggi della serie?
Martina Tinnirello: «In realtà io non somiglio per niente al personaggio che interpreto, però abbiamo una matrice patologica comune: il perfezionismo. Infatti, non è poi così vero che Greta sia così lontana da me. Mi sono chiesta: “Ma perché ho beccato Greta? Perché mi sembra di conoscerla così bene?”. Poi mi sono ricordata com’ero al liceo: rigida, perfezionista, pur di non mostrare le mie vulnerabilità non mi mettevo in gioco, e quindi sembravo superba, poco incline all’emotività. Poi c’è stato un momento di svolta in cui ho capito che, per fare l’attrice, dovevo mettere il cuore in mano a chi mi guardava. Da lì sono cambiata, oggi tendo a far vedere spesso le mie fragilità. E questo a volte è positivo, a volte no. Sono stata Greta, ora non lo sono più, ma le voglio molto bene. Anche se si comporta un po’ male con tutti, soprattutto con Fabio, in questa seconda stagione, ma non è uno spoiler!».
Fabio Balsamo: «Grazie per la domanda, perché la serie è proprio un elogio all’imperfezione. È nata per raccontare il percorso di accettazione che una persona dovrebbe fare verso sé stessa. In una società che ti dice sempre che non sei abbastanza, nessuno ti insegna davvero a volerti bene così come sei. Questa serie serve anche a noi, come attori e come gruppo, e a chi la guarda. Fabio è arrendevole, è pesante perché ha subìto moralmente tante cose, ha perso un po’ la forza di lottare. Io gli somiglio molto: nel personaggio ho riversato il peso emotivo di esperienze difficili. È un orso che si trascina, ma che quando trova l’energia emotiva per esporsi, lo fa con tutta la sua intensità. Ecco, credo che tra me e lui ci sia molta assonanza».
Ciro Priello: «Amiamo quei personaggi sui social o in tv che sono sempre brillanti, ma la vita vera è fatta di imperfezioni. Eppure ognuno di noi ha una propria unicità. Pesci Piccoli vuole raccontare proprio questo: persone vere, imperfette, che sanno ridere di sé, ma che vivono anche drammi autentici. In un’epoca di perfezione esibita, raccontare l’imperfezione è la vera forza della serie. Credo che il pubblico si rispecchi in ogni personaggio, chi più chi meno».
Nicola Verre: «Anche le storie della serie sono imperfette. La storia di Ciro non è quella che ti aspetti. Anche quella di Aurora è lontana dagli stereotipi. Non abbiamo mai cercato la perfezione semplice. La verità è che siamo tutti imperfetti, ed è questa la bellezza».
Vi rivedete in alcune manie o tic dei vostri personaggi nella serie?
Fabio Balsamo: «Non abbiamo un traguardo fisso, ma siamo affamati del percorso che ci porta ad alzare l’asticella. Il nostro divertimento è nel processo di creazione. Il giorno in cui ci adagiamo su quello che abbiamo ottenuto, finisce il gioco, non solo tra me e Ciro, ma per tutto il gruppo. È bello porsi sempre nuovi obiettivi. Abbiamo qualche certezza sulla carriera, ma vogliamo ancora sperimentare. Credo che siamo nell’epoca delle sperimentazioni, e forse abbiamo ancora l’età per capire cosa vogliamo fare da grandi. Per quanto riguarda il mio approccio da attore, io credo nel partire da sé stessi. Si parte da un’anima reale e poi si costruisce il personaggio. Abbiamo approfondito un aspetto di noi stessi che era funzionale al ruolo».
Ciro Priello: «Anche io parto da lì. Scrivendo con Francesco Ebbasta, che conosco dalle medie, noto che scrive per me con uno sguardo esterno molto acuto. Ci sono storie in Pesci Piccoli che non vivo personalmente, ma che Francesco vede come caratteristiche mie. Quando leggevo la sceneggiatura a mia moglie, lei diceva: “È incredibile come ti conosce Francesco, ti comporti proprio così”. Quindi sì, parto da esperienze reali, anche se poi la serie racconta altro. E concordo con Fabio su tutto. Per la seconda parte: io sono un grande fan di Tom Cruise. Scriviamo ogni giorno, e da sceneggiatori cerchiamo di far chiudere i cerchi. Il primo film che mi ha fatto innamorare del cinema è stato Top Gun, e il mio sogno sarebbe recitare un giorno accanto al mio eroe. Magari è solo un sogno, ma chissà».
Nicola Verre: «Alcune cose che inseriamo sono davvero reali. Per esempio, nella puntata 5, Giuliano/Alfredo conta gli sbadigli. In realtà noi contiamo gli starnuti di Alfredo quando ha le crisi allergiche. Oppure il premio della schiscetta d’oro. Prendiamo molto da ciò che accade in ufficio per arricchire la serie. I personaggi prendono spunto da noi, ma anche da altri. Raccontiamo l’ufficio com’è davvero, e forse questa è la forza della serie: è autentica».
Ciro Priello: «Pesci Piccoli è un contenitore: ci abbiamo messo esperienze vere, trattate per iperbole, ma non così lontane dalla realtà. Ve lo garantisco».


Cos’è cambiato nel tempo nei The Jackal, e cosa vi ha aiutato a rimanere fedeli agli esordi?
Fabio Balsamo: «È cambiato tutto: le nostre vite, i problemi… ma siamo rimasti noi. Il fuoco e il gruppo sono ciò che ci tiene saldi. Quando qualcuno si monta la testa, arriva il gruppo e lo riporta giù. Quando invece uno è a terra, c’è il gruppo a sollevarlo. Sono gli specchi in cui ci guardiamo ogni giorno: ci ricordano chi siamo davvero».
Nicola Verre: «Siamo passati da una stanzetta a Melito con Ciro che veniva solo ogni tanto perché vendeva contratti telefonici, a un’azienda strutturata con tante persone. Ma l’idea iniziale è sempre la stessa, e deve restarlo: se svanisce quella, finisce tutto».
Ciro Priello: «Sì, e abbiamo sempre la stessa voglia di raccontare storie. Cambiano gli strumenti, cambia l’abito, ma non il desiderio di condividere ciò che siamo, anche esagerando, com’è tipico dei The Jackal. È parte della nostra identità, e non credo cambierà mai».
Chi è il più geniale di voi?
Ciro Priello: «Per me è Gianluca Fru. Comunque vorrei ricordare che The Jackal oggi conta 25 professionisti. È un grande lavoro corale».
Nei vostri sketch affrontate anche temi seri come razzismo, precarietà, identità di genere e omofobia. Quanto è difficile restare nella comicità senza scivolare nel cinismo?
Martina Tinnirello: «È una linea sottilissima. Per esempio, in Pesci Piccoli è stato fatto un atto di coraggio: si è scelta la via della tenerezza. È difficile non essere patetici o cinici. La chiave, credo, è non semplificare l’argomento e affrontarlo da più prospettive. L’episodio 6, che è il mio preferito, parla di disabilità in modo leggero ma profondo. Questo è possibile perché siamo un gruppo coeso».
Ciro Priello: «La leggerezza è il nostro modo per offrire punti di vista diversi. Molti temi vengono evitati perché ritenuti “pesanti”, ma noi vogliamo discuterne nel modo più adatto. L’ironia è parte della nostra identità, ma serve anche a cambiare prospettiva e far riflettere».
Avete mai pensato di abbandonare la territorialità napoletana per puntare a un linguaggio più neutro?
Fabio Balsamo: «Provo a rispondere io. Mi è affidata un po’ la responsabilità del dialetto nella serie. Abbiamo sempre cercato di valorizzare la cultura napoletana, portando con noi anche elementi della commedia dell’arte. Ma The Jackal, già dal nome, ha sempre cercato di andare oltre. Pur restando fedeli alle radici, tendiamo a un linguaggio più universale. Negli sketch come Effetti di Gomorra o Despacito non usiamo solo il napoletano. In Pesci Piccoli, solo io parlo in dialetto, eppure è una serie tutta napoletana. Ciro parla in dizione, Martina è torinese nella serie. La neutralità, intesa come lingua piatta, secondo me è sbagliata: bisogna partire da ciò che si conosce. Scrivere di qualcosa che non si conosce è fallimentare. Noi abbiamo dentro la napoletanità e la commedia, non possiamo rinnegarla».
Cosa dobbiamo aspettarci dalla seconda stagione di Pesci Piccoli?
Martina Tinnirello: «Più introspezione. Ogni personaggio “esplode” nella seconda stagione. Anche i personaggi secondari hanno grande rilievo. Si ha la sensazione che l’agenzia sia un personaggio unico, pur mantenendo le unicità di ciascuno. Ogni episodio approfondisce le ragioni dietro le azioni dei personaggi. E, ovviamente, ci sono ancora avventure rocambolesche per mandare avanti l’agenzia».
Ciro Priello: «E tante risate! La prima stagione serviva a settare il mondo. Ora ci concentriamo sull’approfondimento dei personaggi: capire perché sono fatti così. E poi ci saranno anche momenti drammatici, per raccontare la realtà. Perché, proprio come nella vita, un minuto ridi e quello dopo sei triste. Abbiamo cercato di raccontare questo».