“Selfie”, un film di Agostino Ferrante in anteprima stasera al Cinema Modernissimo di Napoli. Recensione
- di Maria BattagliaPresentato alla 69esima Mostra Internazionale del Cinema di Berlino sezione Panorama, Selfie è un film di Agostino Ferrante e uscirà nelle sale il prossimo 30 maggio. Stasera alle 20.30 sarà presentato in anteprima al pubblico napoletano al Cinema Modernissimo in presenza del regista e degli attori protagonisti: Alessandro Antonelli e Pietro Orlando.
La particolarità di questo film sta nel fatto che i due interpreti hanno utilizzato il telefono cellulare per effettuare le riprese e se la sono cavata egregiamente tanto da avere critiche lusinghiere.
Il The Hollywood Report ha giudicato il film “penetrante e commovente”, mentre per Variety gli interpreti sono “due fantastici protagonisti”.
Il film è ambientato al Rione Traiano di Napoli.
Nell’estate del 2014 un ragazzo di 16 anni Davide Bifolco viene ucciso da un carabiniere che lo aveva scambiato per un latitante. Anche Alessandro e Pietro vivono al rione Traiano e hanno entrambi 16 anni, come il loro amico Davide che sognava di diventare un famoso calciatore. Sono amici fraterni e complementari e accettano la proposta del regista di auto-riprendersi con il suo iPhone per raccontare in presa diretta il loro quartiere, i loro sogni e le loro speranze, la profonda amicizia che li lega, la tragedia di Davide e della sua famiglia, le storie di altri amici molto simili alla loro.
I due ragazzi filmano le “cose belle e le cose brutte” che accadono nel quartiere. Sono testimoni della loro realtà , anzi, documentaristi. La scena relativa alla descrizione di una piazza di spaccio e relativa intervista allo spacciatore ne è la prova.
Aiutati dalla guida costante del regista di cui si sente solo la voce e dal resto della troupe, i due ragazzi interpretano se stessi e si guardano spesso sul display del cellulare che diventa quasi uno specchio per rivedere la loro vita.
Le immagini che registrano i ragazzi vengono spesso interrotte da quelle delle telecamere di sorveglianza e da quelle del funerale di Davide.
Il rione Traiano appare fin da subito grigio, squallido, desolato come sono spesso i quartieri decentrati delle grandi città. Nei due amici prevale una rassegnazione legata a un destino infame per il solo fatto di essere nati lì e non a Posillipo, dove vanno a farsi il bagno. Anche le due amiche di Alessandro e Pietro vorrebbero fuggire da quel ghetto, ma sanno che sposeranno ragazzi legati alla criminalità organizzata e dovranno per il troppo “rispetto” delle convenzioni sociali e del “poco-grande” amore rimanere legate ad uomini carcerati, senza alcuna volontà di riscatto sociale.
Tutto appare come una scelta del destino che ti cade addosso appena nasci.
Alessandro e Pietro non hanno il conforto delle loro famiglie e neppure la scuola li ha saputi accogliere come meritavano.
Alessandro ha abbandonato gli studi perché l’insegnante pretendeva che imparasse a memoria L’infinito di Giacomo Leopardi. Ora fa il garzone in un bar. Guadagna poco, ma almeno è un lavoro onesto in un quartiere dove lo spaccio è un ammortizzatore sociale di facile accesso.
Pietro ha frequentato una scuola per parrucchieri, ma al momento nessuno lo prende nella sua bottega a causa dell’inesperienza.
Il rione Traiano, allora, diventa una parafrasi della lirica leopardiana circondato com’è da un muro di indifferenza che emargina ed esclude la conoscenza di tutto ciò che sta al di là .
Eppure gli sguardi dei ragazzi sono vivi, commossi, penetranti, “bucano lo schermo” e lo spettatore se li porta dentro ben oltre la durata del film. Esso andrebbe distribuito nelle scuole perché fornisce un ritratto vivido, autentico e spontaneo di una generazione costretta a confrontarsi ogni giorno con una realtà difficile ed un futuro insicuro.