Film & TV

“Corduroy” il nuovo corto di Francesco Mucci pone lo spettatore attivo rispetto a ciò che vede. Intervista

Corduroy è il nuovo e interessante cortometraggio di Francesco Mucci, regista, sceneggiatore e musicista e invita il pubblico a esserne parte attiva: «É veramente importante per me – ha raccontato il regista Francesco Mucci durante la presentazione del corto al Modernissimo di Napoli - e penso per chiunque ha studiato cinema o teatro o è solo appassionato o chi fa tutt’altro, ma vive un po’ anche di questo, quanto sia importante ritornare a essere un pubblico attivo rispetto a ciò che vediamo. Scegliere di essere qui, stasera, significa alzare il mazzo, muoversi, venire a Napoli con un tempo odioso, ma essere presenti e come pubblico dobbiamo smetterla di prendercela con chi ci propina qualcosa e chi crea, ma cominciare a chiederci dove siamo noi come spettatori rispetto a questa cosa. Vi chiedo di fare questo esercizio anche durante la proiezione di questo corto, così come ho fatto io nella prima esperienza da regista, chiedendomi costantemente dove mi trovassi io rispetto alla storia, dove mi trovassi rispetto agli attori…».
Francesco Mucci è figlio d’arte, sua madre è la grande attrice Nunzia Schiano e suo padre è un altro grande artista Niko, attore, regista, poeta, autore e musicista. Francesco si è laureato all’Università di Salerno in Discipline delle Arti visive, della Musica e dello Spettacolo, specializzandosi poi in Scienze dello Spettacolo e della produzione multimediale ed ha conseguito il Diploma alla Scuola italiana di Comix a Napoli in Sceneggiatura. Ha un suo blog  ilgrigio.net, dove tratta di cultura audiovisiva, spaziando tra cinema, fumetti, musica e tanto altro. Nel sito sono presenti anche vari racconti brevi e una serie a puntate. 
Il corto Corduroy è stato realizzato grazie al contributo di Nuovo Imaie (Nuovo Istituto Mutualistico per la tutela dei diritti degli Artisti Interpreti Esecutori) per i prodotti audiovisivi. La protagonista della storia nel ruolo di Marta Perna è Nunzia Schiano e gli  altri del cast sono Maria Bolignano, Lello Serao e Raffaele Ausiello.

     

Com’è nata l'idea e la storia del corto?
«É nato tra le mure domestiche, essendo un personaggio scritto su Nunzia Schiano che è mia madre, in qualche modo, è nato da una suggestione visiva che riguarda la quotidianità di quello che viviamo. Insieme a un discorso che facevo su una canzone dei Pearl Jam, che è omonima, s’intitola appunto Corduroy, il senso e il significato della canzone è poi il senso venuto fuori dal film e da lì, poi mi sono collegato. All'inizio era anche presente la colonna sonora, ma per motivi economici non poteva esserci, quindi è mutato tutto.  Ci sono state varie versioni, varie stesure, ma nasce dall'idea di volere fare una sfida rispetto allo spettatore: chiedersi se sapesse cosa c'è dietro quello che viviamo noi quotidianamente come artisti, come lavoratori dello spettacolo e avesse il coraggio veramente di venirci a pungolare sul vivo. Se sapesse cosa c'è all'interno del piatto che vi stiamo offrendo.»
Com’è caduta la scelta su tua madre Nunzia Schiano? 
«Lei doveva essere la protagonista, perché il corto è pensato ed è nato su una gestione visiva rispetto a quello che è lei, rispetto alle sue spalle, è stato un punto della mia regia su cui ho insistito tanto. E poi per tutto quello che significa il rapporto con la madre, il rapporto con una persona che ha l'età che ha, il suo vissuto, tutto quello che riguarda la cucina, la casa e la quotidianità del vivere e anche un aspetto della solitudine che molto spesso non vieni fuori o nell'essere donna e poi un’altra chiave di lettura sono le sfumature caratteriali di un’attrice che quasi mai riesce a manifestare per i ruoli che interpreta.»
Qual è il messaggio che vuoi lanciare attraverso questo corto?
«Io ho anche un blog grigio.net e spesso e volentieri mi ritrovo a scrivere degli articoli, non dico che lancio delle invettive, ma ce l'ho un po' con gli spettatori, tra i quali metto anche me stesso. Sono un po' stanco di scrollare all'interno della home di Facebook o all'interno del catalogo di Netflix o di Amazon Prime, perché non credo che là ci sia una vera e propria scelta, ma in questa cornucopia di possibilità di titoli,  soprattutto di prodotti che ci vengono propinati, manco fosse un supermercato. La scelta, in realtà, è assente, noi subiamo come spettatori, invece, di essere parte attiva, non scegliamo cosa vedere, andare al cinema implica un movimento come andare a teatro. Il teatro è un essere che vive, un organismo vivo, anche come spettatori, noi abbiamo un compito e una responsabilità.»

                 
Anche con la televisione non abbiamo scelta, tra talent e reality scadenti… 
«La televisione è ancora più inquietante, perché riguarda direttamente la nostra professione, nostra intesa in senso lato, io ho fatto parte anche del mondo della musica, i miei genitori sono artisti, attori, eccetera e la tv è ancora più svilente, perché viene mercificato qualcosa che per noi, invece, significa portare il pane a casa. L'unica scelta che si può fare per la televisione, al di là di spegnerla, che sarebbe la risposta un po' più easy, è che si potrebbe fare una ricerca vera e propria, perché la televisione interessante, i canali che propongono qualcosa di qualità esistono. Le fasce orarie che propongono programmi di alto livello esistono ancora, grazie a dio e vanno ricercate, quindi, anche in quel caso lo spettatore deve essere attivo e protagonista all'interno di quella scelta che fa rispetto al palinsesto.»
Dopo questo corto a cosa stai pensando, a un lungometraggio?
«Ho nella manica, più che altro nelle vene, l'idea e la voglia di scrivere un lungometraggio. Molte delle mie storie hanno un ampio respiro, il corto mi sta stretto, già Corduroy dura venti minuti e sto scrivendo un sequel ideale, solo se vuole il pubblico, un secondo cortometraggio magari con un budget più elevato. Sto scrivendo un videoclip per una band di amici, sto scrivendo un lungometraggio e ho anche un progetto a fumetti che dovrebbe uscire per il Napoli Comicon con altri amici fumettisti. Alla fine la scrittura è proprio il mio pane quotidiano, però non disdegno la produzione, mi tengo attivo su più fronti, anche perché da qualche parte, prima o poi, le soddisfazioni devono arrivare. Chi semina prima o poi raccoglie.»

                        
E il musicista che è in te dov'è andato a finire?
«Il musicista che è in me è chiuso in questa stanza con la sua Fender Stratocaster a gridare, perché non lo lascia uscire, tranne che in qualche piccola sortita in camera e, alla fine, è un altro aspetto della mia vita che dovrò coltivare di nuovo, perché mi fa male anche solo a pensarci, mi metto a piangere.»
Ci sono delle canzoni che hai scritto…
«Avevo un progetto con una band durato almeno due o tre anni, gli Ardens, abbiamo girato per tutta l'Italia e avevamo un bel repertorio di una trentina di pezzi. È un po' una ferita apertissima della mia vita, anche da solista ho scritto delle cose in italiano e in inglese e spero di avere il tempo e la voglia e i soldi per riuscire a rimettere in moto anche quella macchina.»
É difficile trovare delle storie da raccontare? Negli ultimi anni ci sono storie trite e ritrite che girano nei festival sul bullismo, sulla violenza delle donne, come se tutto ruotasse intorno a questi temi. Per carità, è importantissimo parlarne, ma non sono idee originali… 
«C'è un piccolo progetto che feci tempo fa che s’intitolava “A sfondo sociale”, un cortometraggio che era una vera e propria invettiva contro questi cortometraggi a sfondo sociale. Appunto i festival sono pieni di contenuti sociali che poi di sociale non hanno nulla, perché non raccontano delle vere e proprie storie, anche se volentieri c’è chi mi ha detto: “No, questo corto parla di una malattia.” Non puoi parlare di una malattia, tu parli di personaggi, stai scrivendo una storia e attraverso quella storia, ci sono delle caratteristiche di quei personaggi. Ma non è possibile svilire quello che è la vera natura creativa dell'immaginario, io purtroppo dico una cosa e citerò Stephen King: “L'immaginazione è un grande pregio, un grande dono, ma anche una grande maledizione per chi come me vive di quello. Io ho idee di continuo, il problema è proprio riuscire a trovare lo spazio adeguato, talvolta  anche il pubblico che è disposto a fare quei 20 metri per venirti ad ascoltare.”»

COURDUROY
Il cortometraggio Corduroy è la storia di una cuoca, Marta Perna, caduta in disgrazia a causa del marito ed ex co-proprietario del loro ristorante. L’uomo è in carcere per l’omicidio, secondo le voci, dell’amante della cuoca. Nel tentativo di sfondare ora nel mondo di Youtube come cuoca in rete, Marta rispolvera una vecchia ricetta da cui era ossessionata e che la porterà a mostrare il suo lato più mostruoso.
Nota di Regia. Tutto è nato dall’immagine del finale, da quella sfida che retroattivamente segna il tono del cortometraggio. Si tratta di un viaggio che muove dalla curiosità e, più ci si addentra nel mondo di Marta Perna, più si scopre che nulla è come sembra. Lo stile della regia vuole sottolineare proprio l’inafferrabilità della natura di Marta e della sua passione/ossessione. Al tempo stesso gli spettatori diventano parte attiva del racconto e sono chiamati in causa da una regia che sembra seguire più la loro irrequietezza che quella della protagonista.