“Cantare è qualche cosa di straordinario che la vita mi ha regalato.” Alice e il suo Viaggio in Italia arriva a Napoli. Intervista
- di Nicola GarofanoContinua con successo “Viaggio in Italia” il tour notevole e interessante di Alice, una delle cantautrici italiane che ha segnato successi anche fuori dal tradizionale ciclo promozionale. Domani, giovedì 20 dicembre, arriverà a Napoli alla Chiesa di Santa Maria Donnaregina Nuova nell’ambito del festival organizzato da Enzo Avitabile e Black Tarantella, Sacro Sud – Anime Salve.
E Alice accompagnerà il pubblico in un viaggio attraverso intricate emozioni di brani epici, da De Andrè a Dalla, da Guccini a Gaber, ma anche i suoi brani più belli e interessanti che si mescolano con gli altri come affluenti con uno splendore astrale, in cui le parole sono luccicanti senza mai chiedere grandiosità, gemme che giacciono in secche di alloro e attendono con impazienza la riscoperta.
Arriva a Napoli il suo Viaggio in Italia. Come ha scelto i brani per la scaletta?
«I brani sono una parte del progetto “Viaggio in Italia”, che ha preso il titolo da un mio disco pubblicato nel 2003, in cui canto i cantautori fondamentalmente italiani. Ho ripreso questo progetto dopo che ho fatto un lungo tour con Franco Battiato nel 2016 e, più recentemente, la mia partecipazione molto particolare al Festival di Sanremo insieme a Ron come ospite nella serata dedicata ai duetti, cantando “Almeno Pensami”, l’inedito bellissimo di Lucio Dalla. Così mi è venuta voglia di recuperare la canzone d’autore italiana che, comunque, ho sempre cantato nel corso degli anni e ho sempre inserito nei miei programmi, e ho recuperato alcuni brani del progetto originale del 2003, da Fabrizio De Andrè a Francesco De Gregori a Francesco Guccini, Giorgio Gaber e ho inserito altre canzoni di cantautori che nel frattempo, nel corso di tutti questi anni, di volta in volta, ho inserito nei miei album come Il Cielo di Lucio Dalla nell’album Samsara o Claudio Rocchi recentemente in Weekend, con L’umana nostalgia e La realtà non esiste e canzoni di compositori con i quali collaboro da molti anni, come Juri Camisasca o Mino Di Martino, senza dimenticare Giuni Russo che ha musicato la bellissima poesia di Totò ‘A cchiù bella, e poi canterò alcuni brani che ho scritto, perché in questo “Viaggio in Italia” anch’io non ho solo cantato, ma ho anche scritto diverse canzoni, per cui si sentirà anche qualcosa che ho scritto io.»
Fra tutti questi brani ce n’è uno in particolare che la emoziona cantare dal vivo?
«Io mi emoziono a cantare tutti i brani, per me sono tutti dei capolavori, perché ho fatto una scelta oculata e particolare, con due musicisti così speciali come Carlo Guaitoli al pianoforte e alle tastiere Antonello D’Urso alle chitarre e alle programmazioni ed io suonerò anche la tastiera qua e là. É un programma molto intenso ed io mi calo come interprete e cerco di essere semplicemente strumento, ma ogni canzone ha una tale intensità e potenza che mi emoziono per ognuna.»
Grandi cantautori e, quindi, grandi autori, ma che fine hanno fatto gli autori di una volta, sono stati “repressi dalle major”?
«A me lo chiede? Non ho la più pallida idea.»
Come si avvicina a un nuovo pezzo? Con quale emozione o con quale rabbia scrive un pezzo?
«Adesso non scrivo quasi più, agli inizi, bene o male, scrivevo un sacco. Lo scrivere non è legato a un’emozione e a nessuna rabbia, ma è uno stato d’essere, è sempre stato così. È cogliere determinati aspetti o a manifestare un sentimento che non è esattamente un’emozione, è qualcos’altro. In momenti più elevati e compositivi, sono indubbiamente quelli in cui si può parlare d’ispirazione, ma che cos’è l’ispirazione se non un contatto con qualcos’altro, tutto è già qua, noi semplicemente siamo degli strumenti attraverso cui quello che già c’è, si manifesta concretamente, questo è quello che penso quando scrivo.»
Ha detto che non sta scrivendo più…
«Poco. Ho scritto degli inediti che ancora non ho pubblicato, non so neanche se mai li pubblicherò, insomma, intanto li ho scritti…»
Si sente che sta migliorando professionalmente con l'età?
«Come interprete sicuramente, non ho dubbi su questo. Le mie capacità espressive si sono arricchite di colori, pertanto mi diverto molto di più di un tempo, in maniera molto più consapevole. Non ho più il problema che avevo in gioventù di essere considerata come cantante, come interprete, come cantautrice e di conseguenza è sempre una gioia, un divertimento. Fare musica è la cosa più bella che esista, cantare è qualche cosa di straordinario che la vita mi ha regalato, ho un senso profondo di gratitudine e cerco di rendere grazie a questo dono e a questa possibilità che ho ricevuto, di essere ancora qui oggi a cantare.»
Qual è il suo luogo preferito in cui lei abbia mai cantato?
«A Napoli canterò in una chiesa bellissima, il sogno più grande della mia vita è sempre stato quello di potere cantare in chiesa e questo sogno si è realizzato diversi anni fa, nel 1999, durante “Musica dei Cieli”, una rassegna milanese che è stata portata anche in tutta Italia, in cui, per la prima volta, ho cantato la ricerca del sacro nella musica, e, infatti, dopo una serie di concerti ho realizzato un disco che si chiama God is my dj. Tornare a cantare in una chiesa e per di più a Napoli, una chiesa veramente bella, l’ho vista dalle foto io non la conosco, sono molto contenta anche di poterla visitare e vedere e vivere facendo musica, per me è qualche cosa di veramente speciale. Infatti, preparerò anche un regalo speciale per quest’occasione, siamo vicini a Natale. Per cui il programma è “Viaggio in Italia” quello che porto nei teatri, ma non canterò certe canzoni del mio passato più glorioso, perché in chiesa non me la sento di farlo e, quindi, farò altro.»
Inevitabile non chiedere della sua lunga collaborazione con Franco Battiato. Quali erano le sue affinità e di cosa parlavate?
«Fa parte della mia vita personale e artistica. Noi ci trovavamo sempre in orari molto regolari, perché Battiato è sempre stato un lavoratore regolare, si cominciava alle nove di mattina e si smetteva all’una, si pranzava e alle tre si ricominciava e si terminava alle sette, sette e mezzo di sera, da sempre questa era la regola…»
Come un orario d’ufficio…
«Esatto, orario d’ufficio, ma con un’intensità e una qualità di attenzione e concentrazione che, quando lavoravamo eravamo completamente, interamente, totalmente assorbiti da quello che stavamo facendo, non c’erano distrazioni di cellulari, telefoni e quant’altro, era veramente un condividere dei momenti e creare musica. Si partiva quasi sempre da idee musicali che aveva Franco insieme a Giusto Pio ed io, ovviamente, partecipavo molto spesso, più che altro scrivevo, scrivevo le partiture, fissavo quello che si faceva, poi la sera quando tornavo in albergo, si lavorava a Milano ed io non ero di lì, con il walkman, perché esisteva quello, riascoltavo le registrazioni fatte e scrivevo i testi. Funzionava così quando facevamo le cose insieme, diversamente, quando i brani erano miei, loro curavano gli arrangiamenti.»
Infatti, c’è Una notte speciale che è molto bella come canzone, molto particolare…
«Quella è una canzone che, se non fosse stato per Franco, non l’avrei mai, mai e poi mai registrata, perché la consideravo veramente minore, invece, devo dire che in Germania ha avuto un successo strepitoso. In Italia non ho voluto farla uscire e, grazie a Franco, che gli stavo facendo sentire i miei brani, quelli che avevo fatto e Una Notte Speciale era iniziato e dissi: “No, ma questo non te lo faccio neanche sentire, perché non ne vale la pena.” E lui: “No, no, ma come non vale la pena. Fammelo sentire, ma come sei matta?”. Meno male che l'ha sentito poi il brano, perché se fosse stato per me, non sarebbe mai stato pubblicato e nemmeno realizzato.»
Ho letto da qualche parte che dopo “Per Elisa” le fu offerto di andare in America. È vera questa storia?
«E non solo in America. La proposta era che dovevo fare le versioni in diverse lingue, inglese, spagnolo e poi rifare completamente gli arrangiamenti di tutto l'album e stare in giro per tre anni per il mondo per promuoverlo, eccetera. Io mi sono rifiutata, perché per me il disco era quello e l'idea che qualcuno potesse mettere le mani di nuovo su tutte le canzoni e stravolgermi il mondo musicale, che per me era perfetto, ho detto no, ma anche no. Ho semplicemente fatto una scelta, certo mi avrebbe dato tanto di più, dal punto di vista commerciale, economico, ma non era quello che m’interessava.»
Manco oggi le interessa questo…
«Appunto.»
Un altro incontro che m’incuriosisce è quello con Henri Thomasson…
«Lui è stato il maestro spirituale, sia mio sia di Franco Battiato. Chan-son egocentrique, ad esempio, è una poesia di Henri Thomasson, che Franco Battiato e Francesco Messina hanno musicato e hanno adattato. In realtà, io l'ho cantata ma ancora non conoscevo chi aveva scritto la poesia e che ho conosciuto, invece, soltanto due anni dopo. Come va la vita è, curioso!»
Che insegnamento le ha dato poi riflesso nella sua vita professionale e, soprattutto, nella scrittura…
«Henri Thomasson è stato allievo di Gurdjieff e ha trasmesso il suo insegnamento. È un percorso spirituale di ricerca e quello che mi ha trasmesso è stato per me fondamentale per la mia crescita personale e individuale, per superare anche tanti ostacoli nella vita, tante difficoltà, anche per poter scrivere emancipandomi un po' da tutte le dinamiche che, inevitabilmente questo tipo di mestiere, genera e determina e, anche cui bisogna, in qualche modo, far fronte.»
Molti artisti non ascoltano la propria musica. Lei ascolta i suoi brani?
«Una volta che li ho registrati, non li ascolto più, una volta che ho finito il lavoro è finito. Semplicemente li riascolto solo dopo molti anni, se per caso li riprendo per ricantarli, per riarrangiarli, fare delle versioni diverse, allora riascolto l'originale, ma normalmente non mi ascolto. No, decisamente no.»
Lei ha iniziato da piccola a cantare. Un fenomeno dilagante negli ultimi anni è il bullismo. Esisteva all’epoca e se è mai stata vittima di bullismo…
«Sì, c'era, c'è sempre stato. Certe manifestazioni da ragazzi erano considerate abbastanza nella norma, adesso, il bullismo attuale raggiunge dei livelli esasperati ed esasperanti e, quindi, è qualche cosa che è aumentato come grado di violenza, di aggressività, però, in generale, c'è sempre stato, non si chiamava bullismo, ma era in una forma decisamente molto meno importante. C'erano dei casi, ma in una forma talmente minima che non era neanche preso in considerazione. Si sapeva, ogni tanto c'era qualcuno che aveva delle caratteristiche di aggressività a scapito di chi magari era più fragile, più in difficoltà, però erano degli episodi sporadici.»