La vita bugiarda degli adulti di Elena Ferrante. Recensione
- di Maria Battaglia“Due anni prima di andarsene di casa mio padre disse a mia madre che ero molto brutta. La frase fu pronunciata sottovoce, nell’appartamento che, appena sposati, i miei genitori avevano acquistato al Rione Alto, in cima a San Giacomo dei Capri… sta facendo la faccia di Vittoria… Se lui avesse saputo che potevo sentirlo, sono sicura che non avrebbe mai parlato a quel modo. Entrambi credevano che la porta della mia camera fosse chiusa… Fu così che a dodici anni appresi dalla voce di mio padre, soffocata dallo sforzo di tenerla bassa, che stavo diventando come sua sorella, una donna nella quale combaciavano alla perfezione la bruttezza e la malvagità”.
Questo l’incipit intrigante dell’ultimo romanzo di Elena Ferrante, La vita bugiarda degli adulti (Edizioni e/o) la scrittrice più misteriosa nel panorama della letteratura italiana, amata e osannata in tutto il mondo grazie anche ai libri de L’Amica geniale proposti in una fiction televisiva per la regia di Saverio Costanzo.
Il bel viso della bambina Giovanna si sta lentamente trasformando in quello di una brutta adolescente. Ma davvero Giovanna è uguale a zia Vittoria, allontanata per sempre dai suoi genitori per vecchi rancori familiari? L’unico modo per scoprirlo è incontrarla, parlare con lei, farsi spiegare i motivi dei rapporti interrotti e questa ricerca dà vita ad una storia ben costruita e ad una serie di riflessioni profonde sul mondo degli adulti ricco di segreti e bugie.
Giovanna non parla in dialetto, è ben educata, va a scuola con ottimi risultati, ha due amiche carissime Angela e Ida a cui confida sogni e speranze. Ma dopo aver conosciuto la terribile e temibile zia Vittoria tutto cambia: diventa svogliata, triviale, insofferente all’autorità genitoriale, viene bocciata, si trucca in modo pesante, si veste quasi sempre di nero mortificando il suo bel corpo prosperoso. Ma è stata davvero la frequentazione e la conoscenza di zia Vittoria a trasformarla in una brutta e sgraziata adolescente o piuttosto l’aver scoperto le falsità e le menzogne dei suoi genitori?
Entrare nel mondo degli adulti ha un prezzo. Zia Vittoria con i suoi modi triviali, con le sue verità urlate attraverso la concretezza ruvida di un linguaggio appassionato e feroce porta lentamente Giovanna a riconsiderare i suoi genitori. Come suonano ipocriti i loro comportamenti borghesi, le loro discussioni elevate, la loro finta patina da intellettuali! Giovanna farà scoperte inquietanti e sperimenterà sulla propria pelle il fallimento delle strategie educative adottate nei suoi confronti sotto un cumulo di menzogne e di falso perbenismo.
Oltre le due protagoniste Giovanna e zia Vittoria, compaiono nel romanzo altri personaggi che alimentano le riflessioni e le paure dell’incerta adolescente: Margherita, la moglie legittima di Enzo, il grande amore di Vittoria, i suoi figli e Roberto colui che traghetterà Giovanna nel mondo degli adulti attraverso le sue riflessioni sulla vita e la fede. Ma i maschi non fanno una bella figura nel romanzo: prepotenti, rozzi, maneschi e con un unico pensiero fisso ovvero quello di possedere una femmina.
Oltre Giovanna e zia Vittoria c’è un terzo protagonista: un braccialetto che per alcuni personaggi ha una funzione apotropaica, per altri portatore di sventure.
Elena Ferrante è Giovanna, la voce narrante, abilissima nel raccontare un mondo al femminile. Nelle sue parole c’è sempre un realismo crudo e a tratti volgare che si esplicita in un linguaggio quasi personalizzato per ciascun personaggio scavando nei sentimenti.
L’aver ambientato le vicende negli anni ’70 a cui fa da sfondo il contrasto tra le classi sociali è un ulteriore elemento antropologico positivo del romanzo.
Le descrizioni dei luoghi Vomero-Pascone (Quartiere Poggioreale) con tutte le loro diversità culturali è ben riuscita al pari di quelle che si trovano nella tetralogia de L’Amica geniale come pure la predilezione della scrittrice nel raccontare l’ingrata età dell’adolescenza ed i rapporti complessi e complicati tra genitori e figli.
Un romanzo da leggere tutto d’un fiato che conferma, qualora ce ne fosse ancora bisogno, che Elena Ferrante è una scrittrice di razza, sicuramente napoletana.