Giuliana Covella: la cronaca nera e la ricerca della verità nel delitto di Ponticelli. Intervista
- di Nicola GarofanoIl quartiere napoletano di Ponticelli non dimenticherà mai quel tragico 3 luglio 1983, quando i corpi delle piccole Nunzia Munizzi e Barbara Sellini furono trovati brutalmente uccisi e bruciati in un torrente in secca. Un delitto che scosse l'Italia intera e che, a distanza di 40 anni, continua a suscitare dubbi e domande. Giuliana Covella, giornalista de Il Mattino e autrice di "Il mostro dagli occhi azzurri. Il Delitto di Ponticelli", si è immersa in questa oscura vicenda con una dedizione che va oltre la semplice cronaca, spinta dai ricordi d'infanzia e dalla passione per la giustizia. In questo libro, Covella non solo racconta i fatti con minuzia, ma solleva interrogativi cruciali sulla colpevolezza dei tre giovani condannati, oggi liberi e ancora dichiaratisi innocenti. Un'opera che ha ispirato una docu-serie su Sky Original che, grazie anche al rinnovato interesse della politica e della magistratura, potrebbe finalmente portare a nuove verità. In quest'intervista, Giuliana Covella ci svela le motivazioni profonde che l'hanno spinta a scrivere il libro, le sue opinioni sulla vicenda e le sue speranze per il futuro.
Può raccontarci cosa l'ha spinta a scrivere "Il mostro dagli occhi azzurri. Il Delitto di Ponticelli"? Quali sono state le motivazioni personali e professionali dietro la stesura di questo libro?
«A scrivere il libro mi ha spinto il ricordo di quando ero bambina, nel 1983, avevo quasi 11 anni e ricordo perfettamente che quando si seppe del duplice delitto delle bambine si creò un clima di terrore in tutta la città, a livello nazionale. Le nostre famiglie, i nostri genitori, ci impedivano di uscire di casa perché era rischioso, perché c'erano i mostri in giro. Questo è il ricordo ricorrente che mi viene di quel periodo, ed è una delle motivazioni personali.
Quelle professionali derivano dal fatto che, scegliendo da adulta di fare questo lavoro, mi sono appassionata alla cronaca nera e giudiziaria, in particolare ai cosiddetti cold case. Questo caso in particolare mi ha colpito perché, leggendo gli atti giudiziari, ero convinta che la verità raccontata non fosse quella corretta. Così mi sono appassionata sempre di più al caso e ho deciso di occuparmene nel dicembre 2010, quando andai a Roma, come descritto anche nel libro, per recuperare gli atti giudiziari poiché a Napoli avevo incontrato delle difficoltà».
Nel libro, descrive minuziosamente gli eventi di quel tragico 3 luglio 1983. Quali sono state le fonti principali delle sue ricerche e quanto tempo ha dedicato alla raccolta di informazioni?
«Le mie fonti principali sono state anzitutto le carte processuali: gli atti del processo, le sentenze di primo, secondo e terzo grado di giudizio. Inoltre, ho utilizzato fonti giornalistiche, articoli della stampa dell'epoca, e ho visionato molti servizi televisivi nelle teche della RAI qui a Napoli. Ho anche condotto interviste con i diretti protagonisti della vicenda. Ho dedicato circa due anni alla raccolta delle informazioni per il primo libro, iniziato nel 2010, e la prima edizione è uscita nel 2012. Poi c'è la seconda edizione, aggiornata e modificata, uscita nel giugno 2023. La prima edizione del 2012 fu allegata alla revisione del processo dall'ex giudice Ferdinando Imposimato, perché seguivamo la stessa pista».
I tre giovani condannati, Ciro Imperante, Giuseppe La Rocca e Luigi Schiavo, sono stati rilasciati dopo 27 anni di carcere e continuano a dichiararsi innocenti. Qual è la sua opinione personale sulla loro colpevolezza o innocenza?
«All'inizio avevo ancora dei dubbi fino a quando non li ho incontrati la prima volta nel maggio 2011 a Spoleto, come raccontato nel libro. Lì si sono sciolti tutti i miei dubbi. Non solo perché ho iniziato a parlare con loro e a conoscerli, ma anche perché, leggendo gli atti del processo, ho trovato riscontro nei loro racconti e mi sono sempre più convinta della loro innocenza. Credo che siano vittime di un grandissimo errore giudiziario».
L'interesse della politica e la nuova richiesta di revisione del caso hanno riportato il delitto di Ponticelli alla ribalta nazionale. Cosa pensa che abbia portato a questo rinnovato interesse e quali sono le sue speranze per l'esito di questa nuova indagine?
«Sono d'accordo che l'interesse della politica ha avuto un ruolo importante. Dopo 41 anni, ci si è svegliati da questo lungo sonno. La politica ha la responsabilità di smuovere situazioni che si trovano in una sorta di stallo. Questo caso è ormai opinione comune un errore giudiziario, ma bisogna dimostrarlo. Una nuova richiesta di revisione non è ancora stata presentata, ma è quella che si aspetta. La terza fu presentata e bocciata nel maggio 2013. Il rinnovato interesse è dovuto alla consapevolezza delle responsabilità e all'intervento della commissione parlamentare Antimafia, con la deputata Stefania Ascari che ha chiesto di riaprire il caso. Le mie speranze sono di arrivare alla verità e alla giustizia, sia per le due bambine che per le tre persone che hanno scontato tanti anni di galera da innocenti».
Nel suo libro e nelle sue interviste, menziona spesso l'omertà presente nei quartieri di Ponticelli e simili. Come crede che questa cultura del silenzio abbia influenzato le indagini iniziali e l'intero processo giudiziario?
«L'omertà esiste ancora in parte nel quartiere e in quartieri simili come il Parco Verde di Caivano, dove sono accaduti recenti fatti di cronaca. Credo che questa cultura del silenzio abbia influenzato le indagini iniziali e l'intero processo. Ancora oggi mi sento dire che nel quartiere sanno chi è stato, ma non si vuole parlare. Spero davvero che le coscienze delle persone si rendano conto che è arrivato il momento di dire la verità, perché basta un minimo dettaglio per fare luce sul caso».
Il suo libro ha ispirato una docu-serie su Sky Original. Come è nata questa collaborazione e quanto è stato coinvolta nella realizzazione della serie?
«La prima edizione del libro ha ispirato la docu-serie su Sky. Nel 2020, in piena pandemia, fui contattata da Emanuele Cava, un documentarista e uno degli autori della serie. Ci incontrammo la prima volta a Napoli e lui aveva iniziato a fare ricerche per reperire la bibliografia sul caso di Ponticelli, trovando che il mio era l'unico libro esistente. Così abbiamo iniziato a collaborare. Ho fornito materiali, contatti telefonici e permesso di ricostruire la storia. Sono uno dei protagonisti della docu-serie, e il mio racconto è un filo conduttore nei quattro episodi. Mi vedrete intervistare i due ex pregiudicati che sostengono i tre condannati, fare il viaggio da Napoli a Ischia e raccontare la mia esperienza di bambina legata al caso».
A distanza di 40 anni dai fatti, come è cambiata la percezione pubblica del delitto di Ponticelli e dei tre uomini condannati per il crimine?
«A distanza di 40 anni, la percezione pubblica del delitto e dei tre uomini condannati è cambiata. L'opinione pubblica ora è consapevole che si tratta di tre persone innocenti. Possiamo dire che loro sono stati riabilitati dall'opinione pubblica e dalla società, e ora dovrebbero esserlo anche dalla giustizia».
Nella sua opinione, qual è stato il ruolo della camorra in questo caso? Pensa che la longa manus della criminalità organizzata abbia effettivamente influenzato l'esito delle indagini e del processo?
«La camorra aveva tutto l'interesse a tenere spenti i riflettori sul quartiere. Nel 1983 eravamo negli anni della faida tra la NCO di Cutolo e la Nuova Famiglia. Nella caserma Pastrengo di Napoli, dove sono stati condotti gli interrogatori, c'erano i primi pentiti di camorra che dettavano legge e facevano anche gli interrogatori. Questo è stato confermato dai testimoni, che hanno raccontato di intimidazioni, minacce e torture per dichiarare il falso. Questo ha influenzato in modo determinante le indagini e il processo».
L'indagine aperta dalla Procura di Napoli prevede verifiche ulteriori che potrebbero servire a fare giustizia per le piccole Nunzia e Barbara. Quali sviluppi spera di vedere da questa nuova indagine?
«L'indagine aperta dalla Procura di Napoli, un anno fa, è un fascicolo gestito dal procuratore aggiunto Raffaello Falcone. Si spera che possa essere uno sprone per arrivare poi alla revisione del caso. Mi auguro che questa nuova indagine porti alla verità e alla giustizia per le due bambine e per le tre persone ingiustamente condannate».
Nel contesto odierno, come valuta la situazione della violenza e della pedofilia nelle periferie italiane? Pensa che ci siano delle similitudini con il contesto del delitto di Ponticelli?
«Ci sono ancora periferie che sono dei ghetti, degli universi paralleli spesso ignorati. Il Parco Verde di Caivano, dove si sono verificati fatti simili a quelli di Ponticelli, è un esempio. Assolutamente ci sono similitudini quando parliamo di infanzia violata. I diritti dell'infanzia vanno tutelati ancora di più proprio perché in queste periferie sono abbandonati».
Quali sono i suoi progetti futuri? Ci sono altri casi di cronaca che intende esplorare e raccontare attraverso i suoi libri?
«Sto lavorando su un altro caso di cronaca e spero vedrà la luce tra fine anno e inizio anno».