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Gisa e Adalgisa, tra storia e leggende: il nuovo romanzo di Giovanni Carullo

Nell'affascinante intreccio di storia e contemporaneità, il nuovo romanzo di Giovanni Carullo, Gisa e Adalgisa – L’occhio del pavone, Edizioni Montag – Collana “Le Fenici”, si presenta come un'epopea che attraversa il tempo, unendo i destini di due donne forti e audaci che sfidano le convenzioni sociali, scrittura perfetta per il cinema. Carullo, avellinese e appassionato di storia, ci guida attraverso le bellezze e le complessità della sua terra natia, l'Irpinia, esplorando temi di giustizia, amore e la lotta tra sacro e profano. In quest'intervista, lo scrittore condivide le sue fonti di ispirazione, rivelando come le sue radici e le sue esperienze personali s'intrecciano con le storie di Gisa e Adalgisa, donne emblema di una continua ricerca di riscatto e verità.

Qual è stata l'ispirazione alla base di questo libro? Ci sono eventi specifici o esperienze personali che hanno influenzato la tua scrittura? 
«Eventi personali e diretti che abbiano potuto influenzarmi nella scrittura di questo romanzo non ci sono. Se non il fascino che ho sempre avvertito per determinati contesti naturali presenti nella storia, come Forino e come Volturara, paesi dell’Irpinia entrambi caratterizzati da un sistema carsico di accoglimento e indirizzamento delle acque. Acqua che tutto mescola, storia e presente, incrocia destini, conduce e indirizza popoli e conquiste. E poi il fascino per la storia, con la mia convinzione che non esiste pietra, non esiste via, non esiste traccia che non possa raccontarci di quello di cui è stata testimone, invitandoci ad approfondire, a ricercare, a immaginare». 
I tuoi personaggi sembrano profondamente legati ai luoghi e alla cultura di Benevento e dei suoi dintorni. Come hai sviluppato questi personaggi e che significato hanno per te nel contesto della storia? 
«Uno dei principali protagonisti del mio romanzo è il giornalista (ancora senza nome) già presente nel mio primo romanzo “La bocca del dragone”. Avellinese di origini, ma ormai trapiantato a Roma, conduce per mano il lettore alla scoperta del territorio, risolvendo casi con l’aiuto del suo impegno e della sua arguzia. Irpina è anche Adalgisa, mentre tutta la parte ambientata nel settimo secolo è popolata da personaggi della storia beneventana, dai principi longobardi, al Vescovo Barbato. Quest’ultimo è un personaggio che ho avuto modo di conoscere e approfondire nelle mie ricerche, assecondando il mio interesse per la storia delle religioni. È grazie a questa figura, oggi venerata in molti paesi del Centro Sud, che il cristianesimo riuscì ad imporsi e a sopravvivere ai culti longobardi di origine nord europea. È un personaggio interessante, oggi esiste persino un meeting dei Comuni devoti ed è presente anche in antiche filastrocche». 
La narrazione tocca diversi temi, come il conflitto tra il sacro e il profano, la ricerca di giustizia e la tradizione. Quali consideri fondamentali? 
«Accanto ad altri aspetti, il tema fondamentale di questo romanzo è il conflitto tra la razionalità (profano) di due donne di diverse epoche contro i pregiudizi della tradizione, del sacro, e del potere, che si identifica, ieri come oggi prelevatemene nella sopraffazione dell’elemento maschile (fratello, guerriero, vescovo, professore)».
Il tuo romanzo si snoda tra due epoche molto distanti, il 633 d.C. e il 1966 d.C. Cosa ti ha spinto a scegliere queste due date e come pensi che influenzino le storie di Gisa e Adalgisa?
«Ho azzardato a scrivere un romanzo con due storie che si srotolano a distanza di oltre mille anni di distanza. Con la consapevolezza del rischio di far perdere il lettore tra un capitolo e l’altro. Ma, dai primi riscontri, sembra che sia riuscito nell’operazione, anche aiutandomi con i titoli dati ai vari capitoli. Gli anni sessanta, pur non avendoli vissuti direttamente, se non nella primissima infanzia, per me restano anni fondamentali da un punto di vista sociale e politico, anni di speranze, di scoperte, di cambiamenti, spartiacque tra una realtà agricola e uno sviluppo industriale del Paese, che ebbe a toccare anche il nostro Sud, soprattutto col fenomeno dell’emigrazione. Il tema dell’emigrazione lo ritroviamo sia nel mio primo romanzo che in quest’ultimo, la voglia e la necessità di abbandonare una terra avara, e la nostalgia dei ricordi e del ritorno».
In che modo le vicende storiche, come l’arrivo di Costante II e le battaglie dell'epoca longobarda, influenzano le dinamiche dei personaggi nel tuo racconto? 
«La scena bucolica del bagno al fiume è interrotta dai messaggeri che avvertono dell’imminente arrivo delle truppe bizantine. L’esercito di Costante e il suo assedio sotto le mura di Benevento segnerà il destino di tanti beneventani e di Gisa in particolare. Ho voluto creare un effetto di tipo scenografico, il passaggio dalla quiete alla tempesta, un contrasto forte che ho ritrovato qualche giorno fa nella visione delle scene iniziali del Gladiatore 2. L’esercito di Costante irrompe come un fatto avverso della vita, rivela pericoli e fragilità, ridisegna i percorsi esistenziali ed apre nuove possibilità. La forza di certi personaggi è quella di reagire, di trasformare gli eventi negativi in nuove possibilità, di conoscere dentro di sé nuove potenzialità. Un messaggio senza tempo, che vale per sempre».
Gisa e Adalgisa vivono entrambe amori complicati in contesti sociali che sembrano opporsi. Come hai esplorato il concetto di amore e scandalo nel tuo libro e quali messaggi volevi trasmettere attraverso queste storie? 

«Nella costruzione della storia sono partito ponendomi diversi interrogativi. Uno di questi riguardava il culto e il mito delle streghe nelle città di Benevento. Da dove nasceva questa credenza? Cosa c’era alla base dei riti all’ombra degli alberi secolari? E mi sono interrogato sul concetto di strega. Quali donne oggi potrebbero essere additate come streghe? Tutte le donne che sfuggono alla tradizionale catalogazione potrebbero essere potenziali streghe da ardere, come fece di loro la Santa (?) Inquisizione nel sedicesimo secolo. Le prime che mi sono venute in mente, sono le protagoniste di amori “scandalosi”, estranei alla morale e alla narrativa religiosa. Donne che ci sono sempre state, ma sono sempre state costrette a reprimersi e a nascondersi. Il coraggio di Adalgisa e di Gisa, prima di lei, sono un omaggio a tutte le streghe che hanno vissuto e sono morte nella più indicibile delle sofferenze, quella di non poter godere alla luce del sole di un sentimento sincero».

                                                                             
                                                                              Giovanni Carullo

L'anello con la testa di vipera e la voglia a forma di occhio di pavone ricoprono un ruolo simbolico nella narrazione. Puoi spiegare quale significato hai voluto attribuire a questi elementi? 
«La vipera a doppia testa è un riferimento storico, effettivo oggetto di venerazione da parte del popolo longobardo prima della sua conversione. Mi serviva un oggetto simbolico per creare una connessione che valicasse i limiti spazio temporali, e che servisse da traccia sottile per connettere i diversi capitoli del libro. E accanto a un oggetto materiale e simbolico, ho descritto un particolare fisico, una specie di voglia, magari oggi identificabile in un melanoma o qualcosa di simile, ma che comunque nella storia serve a identificare “il prescelto”, qualcuno a cui l’energia cosmica riserva un destino particolare». 
Gisa e Adalgisa sono forti personalità, ciascuna con le proprie sfide. Come hai sviluppato i loro caratteri e quali aspetti del femminile volevi mettere in risalto attraverso di loro? 
«In occasione di un corso di scrittura creativa, una delle partecipanti mi fece notare che le protagoniste dei miei racconti sono quasi sempre donne. Ho particolare facilità a sviluppare caratteri femminili, credo che tutti siamo dotati di un duplice aspetto, fatto di sensibilità maschili e femminili, più o meno accentuate. Con Gisa è stato impegnativo conciliare nello stesso personaggio caratteri da guerriera e da tenera innamorata. Analogamente con Adalgisa ho lavorato sulle ambizioni di una studentessa di provincia, che combatte con la stessa caparbietà di Gisa per un successo professionale».  
Adalgisa si dedica allo studio di pratiche occulte ritenute scomparse. Qual è stata la tua ricerca su questo tema e come pensi che influisca sulla percezione del lettore riguardo ai misteri del passato? 
«Le confraternite sono state una delle reti di sostegno delle comunità e mi domando quale possa essere il loro ruolo attuale, al di là del folklore in occasione di riti e processioni. Ad un diverso livello, considero le società segrete e massoniche protagoniste di scelte che influenzano politica e società, e con le opportune proporzioni anche le istituzioni religiose mantengono canali riservati che hanno indirizzato eventi del passato e del futuro. Tra l’altro l’uomo non si accontenta del suo lato razionale, si rifugia nel sacro e nell’occulto per trovare risposte e per illudersi di plasmare il futuro. Potranno passare secoli, ma questa struttura mentale non risente del tempo». 
Qual è il messaggio principale che desideri trasmettere ai lettori riguardo la continuità tra il passato e il presente, considerando che eventi simili si ripetono anche in epoche così distanti? 
«Studiare il passato. Studiare la storia. Conoscere. Siamo il frutto di tutti gli eventi che ci hanno preceduto. Non siamo nulla senza radici, indipendentemente da dove andremo a produrre i nostri frutti e a gettare i nostri semi. E sviluppare un rapporto sano con il potere, senza subirlo, ma difendendosi anche dal proprio possibile potere». 
In che misura il tuo background personale ha influenzato la stesura di "Gisa e Adalgisa"? Ci sono delle esperienze che hai trovato risuonare con le storie delle tue protagoniste? 
«Mi pongo ogni tanto la domanda, dopo aver terminato un libro, chi sia io, esattamente, in quel libro.  Sono una delle due protagoniste? Sono il giornalista? Sono la ragazza desiderosa di uscire dall’asfissiante ambito provinciale ma che rimane senza coraggio nel suo angusto negozio di bottoni? Sono Amalongo, Romualdo, Barbato o forse c’è qualcosa di me nella dedizione di Roslinda?  Qualcosa di me è ovviamente presente in ogni personaggio, non appartengo a nessuno in particolare, ma tutti mi appartengono. Pur senza aver vissuto nessuna o quasi delle esperienze raccontare nel romanzo, mi vedo a mio agio indagare sui misteri della cripta di San Nicola, come in quella dei sotterranei del palazzo ducale di Benevento». 
Dopo "Gisa e Adalgisa", hai in programma di esplorare altre storie che intrecciano passato e presente? Quali sono i temi che ti appassionano di più per i tuoi prossimi lavori?
«Esistono altri ambienti nel territorio irpino che si prestano a raccontare gialli, e sinceramente sto raccogliendo materiale per una storia anche questa volta a cavallo di diverse epoche. Il rischio di una provincializzazione delle mie storie è assai forte, l’obiettivo di catalizzare l’attenzione su un determinato territorio potrebbe limitare il bacino di lettura dei miei libri. Eppure ci sono esempi di scrittori che hanno fatto del loro territorio la loro forza narrativa e credo che almeno con un terzo romanzo batterò la stessa strada. Successivamente ho intenzione di allargare gli orizzonti, anche alla luce di esperienze personali vorrei confrontare storie attuali in cui si intrecciano e confrontano diversi tipo di approccio religioso alla vita quotidiana».