Foto di Anna Abet
Miseria e Nobiltà, capolavoro del 1888 di Eduardo Scarpetta, continua a brillare nel panorama teatrale contemporaneo come simbolo irresoluto della tradizione napoletana. Trasformato in film nel 1954 da Mario Mattoli con la magistrale interpretazione di Totò, la pièce ha saputo attraversare il tempo mantenendo intatta la sua essenza. La recente messa in scena a cura di Luciano Melchionna, con Massimo De Matteo nel ruolo di Felice Sciosciammocca, rappresenta un audace tentativo di rivisitare questo classico, esplorando nuove forme e contenuti che riflettono le sfide contemporanee.
In scena fino al 1 dicembre al Teatro Augusteo di Napoli, quest'interpretazione si configura come un coinvolgente viaggio negli abissi di un capolavoro senza tempo, un’oscillazione continua tra il riso e la riflessione profonda. Abisso in cui le tipizzazioni create dalla mente di Scarpetta vengono esasperate, diventano grottesche, nel tentativo di smascherare le contraddizioni morali del nostro tempo. Melchionna riesce a coniugare la comicità intramontabile di Scarpetta con una lettura acuta e critica delle disuguaglianze sociali che affliggono la nostra epoca. Proprio in questa direzione, una delle sequenze più disturbanti e impattanti dello spettacolo è quella in cui gli spaghetti vengono letteralmente gettati dall’alto sugli attori. Questo gesto violento diventa una potente allegoria della bulimica tracotanza che oggi viene scagliata con indifferenza in faccia ai meno fortunati, rendendo palpabile la brutalità di una società che ignora la dignità della vita umana. Nonostante l’impatto emotivo di questa scena, il suo valore artistico è innegabile, sebbene alcuni spettatori possano trovarla inquietante e offensiva. Lo stesso vale per il ritratto dei miseri come ratti in cerca di cibo, una scelta sicuramente audace, ma puntuale nello stimolare una riflessione, seppur inquietante. Melchionna e Arena riescono a proporre la miseria non solo come una condizione materiale, ma come una condizione umana universale e palpabile.
La commedia riesce a mantenere intatti i dialoghi originali, arricchendoli con nuove battute che attualizzano la narrazione, senza comprometterne identità. Alcune iconiche frasi possono risultare modificate o sacrificate, ma Melchionna e Arena affrontano la sfida con coraggio, riproponendo situazioni e personaggi familiari con una sensibilità rinnovata, verso le problematiche contemporanee, come la povertà, il razzismo e il rispetto della dignità umana. Il risultato è uno spettacolo che non solo diverte, ma induce anche a una riflessione profonda, grazie a un linguaggio fresco e vibrante, capace di attrarre tutte le generazioni.
La scenografia, curata da Roberto Crea e ispirata dalla visionaria direzione di Melchionna, si propone come una chiara dichiarazione di intenti: la netta opposizione tra il buio fatiscente dello scantinato delle famiglie di Felice e Pasquale, un eccezionale Andrea de Goyzueta, e il bianco abbagliante della casa del ricco Gaetano Semmolone, un bravissimo Luciano Giugliano, simboleggia come l’apparenza della nobiltà possa nascondere miserie ancora più profonde. Questa dualità scenografica trasmette visivamente lo stato d'animo delle due classi sociali, rendendo palese l’alienazione e la sofferenza degli emarginati.
L’interpretazione di Massimo De Matteo nei panni di Felice è di straordinaria qualità: la sua comicità, intrisa di sensibilità, innalza il personaggio a una figura complessa, con sogni, fragilità e una profondità umana che va oltre la mera rappresentazione del "povero cristo". Il cast, composto da talenti come Alessandro Freschi, che porta in scena il frizzante Peppeniello, e Ingrid Sansone in Luisella incarna la vivacità e cazzimma, contribuisce a creare un affresco articolato delle tensioni familiari di fine Ottocento (e non solo). Ognuno dei membri del cast arricchisce la rappresentazione, creando una coralità che è il vero punto di forza dello spettacolo: Raffaele Ausiello, il Marchesino, un sosia del sosia di un Renato Zero biondo; la straordinaria Chiara Baffi in Concetta, Marika De Chiara brava nell'interpretare la pseudofintoichic vrenzola Gemma; Renato De Simone un vivace Luigino, Valentina Elia nella martire vendicatrice Bettina, Irene Grasso valente nella spregiudicata Pupella, Raffaele Milite nei panni del saggio servitore Vincenzo e Fabio Rossi bravo a interpretaare il bizzarro Signor Bebè.
La regia di Melchionna risulta fluida e visivamente coinvolgente, capace di mantenere viva l’attenzione del pubblico attraverso un tessuto narrativo che scorre armoniosamente. Completano l’allestimento i costumi di Milla, che scolpiscono i caratteri dei personaggi, e le musiche di Stag, capaci di amplificare le emozioni sul palcoscenico, con sonorità pompose e dirompenti.
Miseria e Nobiltà di Luciano Melchionna e Lello Arena, non riflette solo le condizioni di un’epoca passata ma affronta anche i dilemmi esistenziali delle società moderne, chiudendo con un messaggio di verità universale: la miseria, sia essa fisica, sociale o umana, sarà sempre parte integrante della condizione umana.