"Arrivato a 34 anni dico che basta la musica". Intervista ad Achille Lauro

- di

"Arrivato a 34 anni dico che basta la musica". Intervista ad Achille Lauro

Dopo un Sanremo che lo ha visto protagonista sul palco dell’Ariston e fuori, tra performance indimenticabili e bagni di folla, Achille Lauro continua a conquistare il pubblico con la sua musica. Il suo nuovo singolo Incoscienti giovani è diventato un vero e proprio successo, arrivando in vetta alla classifica EarOne a soli dieci giorni dalla release, guadagnandosi il primo posto tra le canzoni più trasmesse dalle radio italiane. Ma non si ferma qui: il brano ha già raggiunto oltre 11 milioni di streaming sulle piattaforme digitali, mentre il videoclip girato alla Fontana di Trevi con Celeste Dalla Porta ha superato i 5 milioni di visualizzazioni, un grande omaggio alla sua amata Roma.
Un nuovo capitolo di successo che si aggiunge a quello segnato con Amore disperato, diventato ormai un classico nel repertorio di Achille Lauro e che ha dominato le classifiche per tre mesi, ottenendo il disco di Platino. Nel frattempo, cresce l'attesa per il suo tour, con i biglietti già in volo per i prossimi appuntamenti live: il 29 giugno e il 1° luglio al Circo Massimo di Roma, dove presenterà il suo settimo album in uscita, e le sette date nei palasport a marzo 2026 (Eboli, Bari, Padova, Torino, Milano, Bologna, Firenze). Il tour, prodotto da Friends&Partners, promette di essere uno degli eventi musicali più attesi del 2025.
Con 'Incoscienti giovani' hai dato vita a un brano che sembra occupare un posto speciale nella tua carriera. Pensi che, con questa canzone, l'asticella si sia alzata e che il livello sia superiore rispetto a quanto fatto in passato? E, guardando al futuro, credi che cercherai sempre di mantenere questo standard nelle tue prossime produzioni?
«Credo che la musica che ho ancora in cantiere non ha ancora mostrato tutto il suo potenziale. Non lo dico per presunzione, ma sono molto cinico riguardo la mia musica. Dopo quasi tre anni di lavoro in disparte, sento che il mio percorso si sta evolvendo. Sto molto all'estero, e questo mi permette di guardarmi dall'esterno e di osservare il mercato italiano da una prospettiva diversa. Alla fine, le cose più belle nascono quando hai il tempo di concepirle e svilupparle. Questi tre anni mi hanno dato una gran quantità di nuova musica, e ho diversi album pronti. Alcuni usciranno quest'anno. Il primo di questi album è quello di cui sono più fiero, indipendentemente dai risultati che otterrà. I cavalli migliori si vedono all’arrivo, come si dice, e questo disco è quello che mi rappresenta di più. Non vedo l’ora di farlo uscire. Mi ricorda quelle grandi canzoni che mi emozionano, anche se forse mi ricorda più a me.»
Usciranno due dischi nel 2025?
«Sì, uno seguirà il percorso che ho iniziato con "Amore Disperato" e prosegue con "Incoscienti Giovani", che è parte di un album ma che in realtà ha sempre fatto parte del mio percorso. Anche nel 2015, per esempio, facevo la "Bella e la Bestia Unplugged". Cos’è che distingue "Amore Disperato"? Nulla di particolare. L'altro album, invece, è più sperimentale: un tributo alla mia carriera, un gesto verso i miei fan storici. Questo progetto nasce anche per supportare la Fondazione "Ragazzi Madre" che nascerà e che aiuterà i giovani in difficoltà, un po' come raccontavo nel mio primo album. Vogliamo strutturare un progetto che vada oltre la musica. Il disco che accompagna la fondazione avrà sonorità più americane, sarà un po' più avanguardista, ma allo stesso tempo molto personale».
Molti hanno detto che 'Incoscienti giovani' era pensato per vincere, ma chi ti conosce sa che è frutto di un'evoluzione artistica. Ti sei mai sentito realmente un candidato alla vittoria?"
«Noi viviamo tutto dall’interno, quindi è difficile avere una percezione oggettiva. Spesso sono proprio i giornalisti, quando li incontro, a farmi capire quanto la canzone stia arrivando al pubblico. In quei giorni non ho dormito molto, ma riuscivo a rimanere incredibilmente calmo, anche se tutto intorno era un tornado. Sono ambizioso e non nascondo che voglio arrivare al top, ma senza essere presuntuoso. Non voglio fare l'umile né nascondermi. È normale voler portare la propria musica ai massimi livelli, ma ci sono dinamiche che vanno oltre la semplice classifica. A volte, chi non arriva primo raccoglie di più di chi arriva primo. Ad esempio, con "Me ne frego" sono arrivato decimo, ma ho ricevuto un consenso enorme e ho un pubblico molto ampio che mi ha cambiato la vita».

Quando hai capito che "Incoscienti Giovani" fosse il pezzo giusto per Sanremo?  
«Ho capito subito che era qualcosa di grande, già dai primi accordi e dalle prime parole, un pezzo che va dall’Ave Maria a Can’t Help Falling in Love di Elvis Presley così come al grande cantautorato italiano degli anni 70, 80, 90 e alla scuola romana di quegli anni, è un ibrido strano. Quando scrivi una canzone, capisci subito se è qualcosa di speciale. Quando ho scritto i primi accordi e le prime parole: "Oh… bambina / Dormivamo in un Peugeot / Sì noi due ladri di fiori ", ho capito che stavo creando qualcosa di unico, di prezioso».
Quali emozioni hai provato nel tornare sul palco dell'Ariston?
«Il festival di Sanremo mi ha dato sicuramente l'opportunità di portare la mia musica a un livello universale. Grazie alla trasversalità del mio pubblico, ho potuto confrontarmi con persone di tutte le età e abbattere molti pregiudizi. Salire su quel palco è una grande opportunità. Quando arrivai nel 2019, mi guardavano come un alieno, e i giovani non erano attratti da me, mentre oggi mi sembra che ci sia un grande interesse».
Qual è stato il tuo rapporto con i ragazzi della comunità Kayros durante la realizzazione del video di "Banda Kawasaki"?
«Apprezzo molto Don Claudio Burgio, perché mi ha insegnato l’importanza dell'accoglienza e dell'amore in senso orizzontale, non verticale. I ragazzi che sbandano lo fanno spesso perché non hanno un posto nel mondo, non perché sono cattivi. Credo che l'infelicità possa portare a comportamenti negativi, ma il male in sé non è una caratteristica intrinseca di chi sta male».

Capita che nelle tue canzoni tu ti apra molto, ma comunque ci sia una certa riservatezza. E parlando delle due lettere, quella di tua madre e del tuo primo amore S., come hai convinto due persone molto importanti del tuo passato a mettersi a nudo in un momento così cruciale per la tua carriera, durante Sanremo? Non pensi che qualcuno possa pensare che sia un'operazione di marketing?
«Conosco bene Sanremo, e so che a volte si possono perdere delle chiavi di lettura. Per esempio, quando ho presentato “Me ne frego”, la mia squadra ed io abbiamo passato notti intere a pensare a come sarebbe stato, al minimo dettaglio, a qualcosa che nessuno avrebbe visto. Un anno prima, avevo deciso di tornare a Sanremo con uno spettacolo che non aveva nulla a che vedere con quello che avevo fatto prima, subito dopo il successo di "Rolls Royce". Ho lavorato su quel progetto per un anno, in cui ho messo tempo, pensieri e risorse, rischiando tutto. La squadra era composta da 40 persone, e il costo era come quello di un appartamento a Milano. Però io sono anche produttore e mi sono preso tutti i rischi. Con Incoscienti giovani non volevo che la mia performance venisse fraintesa. Quello che volevo era che la canzone fosse davvero la mia storia. Ho deciso di lasciare tutto nell’anonimato e far parlare la musica. La cosa bella è che io vivo la musica in modo intenso e mi vergogno anche di certe cose, mentre magari gli altri hanno una visione più distaccata».
Questo Sanremo ti ha dato di più rispetto agli altri. Cosa pensi, in base alla tua esperienza, che sia diverso rispetto alle edizioni passate?
«Questo Sanremo ha dato valore anche a progetti passati che erano stati travisati. Ora c’è più serietà, ma anche una semplicità che arriva in modo più diretto rispetto ai progetti precedenti. Forse siamo un paese che vuole certezze, ma io credo che l’arte, come diceva Carmelo Bene, non debba essere rassicurante, ma debba spiazzare, anche disturbare».


La lettera che tua madre ti ha fatto recapitare è stata molto toccante. È la prima volta che parla in modo così aperto sul volontariato e sul suo impegno verso gli altri. Com’è nata questa lettera?  
«La forza di mia madre è stata sempre quella di fare la sua vita e di essere un esempio per me. Non mi ha mai imposto nulla, ma mi ha lasciato libero, anche quando sbagliavo, pur restando sempre al mio fianco. La lettera ha un significato profondo, soprattutto in un contesto come Sanremo, che a volte può far sembrare che una canzone sia solo un prodotto da vendere. Ma questa è la mia storia, una storia autobiografica, e volevo che fosse raccontata da chi l'ha vissuta davvero».
La tua canzone sembra essere intrisa di malinconia. Qual è il più grande rimpianto della tua vita?
«Sì, c'è sempre un po' di malinconia nel passato. Non sono uno che vive nel rimpianto, ma il tempo che passa inevitabilmente ci lascia sempre un po' di tristezza. L’amore, per me, è anche saper lasciar andare. La vera forza è saper dire basta quando la relazione diventa insostenibile. Non credo di avere un rimpianto specifico, ma una certa malinconia per il passato è parte dell’essere umano».
E riguardo al duetto con Elodie…
«Elodie è una grande interprete che vive le canzoni, e per me l’interpretazione è quasi più difficile che scrivere. Quando senti le strofe di "Amore Disperato", in cui ci sono anche dei riferimenti specifici della mia vita come la merceria di Piazza Sempione, non si può non avvertire la profondità del messaggio. È una canzone che ti fa venire il magone. Non è un pezzo costruito per diventare un singolo radiofonico, ma è il frutto della vita stessa, trasposta in musica».


Come reagisci alle critiche e come ti aiutano a crescere come artista?  
«Le critiche fanno parte del nostro lavoro. Quando scegli di metterti in piazza e far sentire la tua musica, è normale che non piaccia a tutti, e va bene così. Ho imparato a comprendere le critiche. Alcune mi hanno toccato più di altre, ma ormai sono abbastanza grande per accettarle.»
C’è una critica in particolare che ti ha disturbato riguardo al tuo percorso artistico?
«Mi ha disturbato vedere un progetto che ho sviluppato per un anno, insieme alla mia squadra, sminuito. Mi riferisco a quando sono stato etichettato come quello che indossava una "tutina da carnevale", ma quel progetto aveva un significato profondo. Poi, quando sono stato invitato come superospite per cinque serate, ho dovuto fare attenzione a non limitarmi alla semplice promozione. Volevo portare qualcosa di più profondo, ispirato anche a film come Velvet Goldmine. Ora vedo che “Rolls Royce” ha acquisito un valore che prima non aveva, e questo mi rende felice»
Riguardo al paragone tra il Sanremo condotto da Amadeus e quello di Carlo Conti, quale dei due ti appassiona di più? 
«Sono due Sanremo diversi, ognuno con una grande sfida. Il primo, quello di Amadeus, aveva il compito di rivitalizzare Sanremo, di renderlo interessante per i giovani, perché rischiava di diventare obsoleto. Il secondo, quello di Conti, ha avuto il compito di mantenere questa rilevanza, di farlo restare attuale. Sanremo è un evento che blocca il paese per una settimana e ha un impatto enorme, paragonabile a un evento come il Super Bowl, ma in Italia. È incredibile come un festival musicale abbia una tale attenzione».
Nei primi giorni del festival c'è stata una polemica riguardante i testi, con alcuni autori accusati di essere gli unici a scrivere per gli artisti in gara, tra cui Davide Simonetta. Che cosa ne pensi?
«Questi 'autori fantomatici' sono in realtà persone come me, giovani che scrivono canzoni da anni. A volte ci incontriamo e creiamo insieme, per adattare le canzoni a quello che sono gli artisti. Nel mio caso, io scrivo il 100% delle mie canzoni, ma mi piace confrontarmi con amici come Davide Simonetta, che mi dà spunti utili. Per esempio, "Rolls Royce" è una canzone che ho scritto interamente io, ma con il contributo di Davide Petrella che mi dato un’idea e un suggerimento e lo incluso come autore della canzone. Non c'è nulla di male nel collaborare con altri autori, ognuno porta il proprio contributo».
Come nascono le tue canzoni? C’è una tecnica particolare che usi, o sono più istintive?
«Le mie canzoni nascono in modo molto casuale. “C’est la vie” l'ho scritta senza musica, in 12 minuti. Altre volte, suono la chitarra o il pianoforte e lavoro sulle melodie. A volte parto da un’idea o una frase che mi viene in mente, altre volte sono ispirato da una conversazione o un incontro. L’importante è che ci sia sempre una scintilla che mi faccia partire, poi vado in studio e lavoro con il mio produttore per far crescere l’idea».
Hai temuto che il clamore che si è scatenato qualche settimana fa potesse condizionare il tuo Festival di Sanremo? 
«La mia dichiarazione ha sicuramente attirato attenzione e un po’ ha offuscato la conferenza stampa, ma in quel momento sono stato spontaneo. Dopo, ci siamo confrontati con il mio ufficio stampa e siamo giunti alla conclusione che fosse stata una dichiarazione giusta. Era un mio pensiero personale, inattaccabile e forse era anche condiviso. Poi, a Sanremo nessuno mi ha chiesto niente, avevamo già detto in due parole quello che dovevamo dire, chiudendo definitivamente una questione che sinceramente non mi interessa. Tanto le persone non dobbiamo convincerle, avranno sempre il dubbio, non dobbiamo stare là a fare il tiro e molla. Io faccio un altro lavoro, scrivo canzoni. Anzi, devo cercare di stare lontano il più possibile da queste cose. Mi è successo in passato di essere in un frullatore e pensare più ad altre stronzate che alla musica, ma la verità, arrivato a 34 anni dico che basta la musica».

Di seguito i testi delle due lettere:

Questa è “Incoscienti Giovani” raccontata da chi l’ha vissuta, stasera da mia Madre:

Lauro ha sempre avuto una fissazione per la scrittura.
La mattina, quando mi svegliavo, entravo in camera sua e lo trovavo ancora sveglio a scrivere. Lo sgridavo perché non dormiva mai. Aveva solo 11 anni.
Si imbarazzava, nascondeva i fogli. Non ha mai detto “scrivo canzoni” o “voglio fare il cantante”, ma ho capito presto che per lui scrivere era un modo per superare momenti difficili.
In mezzo a tutto quello che abbiamo vissuto, ho sempre cercato di insegnargli cosa fosse l’amore, convinta che chi impara a seguire quel faro, presto o tardi, riconosca la strada.
E così è stato.
Lauro è cresciuto in casa con ragazzi che non erano miei figli, ma che ho accolto come tali.
Figli di storie difficili e case famiglia dove io facevo volontariato.
È cresciuto insieme alle ragazze di strada, ricordo quando andavo di notte sui marciapiedi con Don Giovanni a convincerle a scappare da quella vita e a trovare un posto sicuro, e molte volte, restavano a casa nostra.
È cresciuto con i suoi amici, ragazzi con famiglie inesistenti, errori alle spalle, rabbia dentro.
Li conosco tutti. Sono stati come figli anche per me.
Giovani incoscienti, ma con un grande cuore.
Oggi Lauro è adulto e insieme cerchiamo di sostenere tutti quei posti dove ci sono ragazzi che hanno bisogno: dagli ospedali, alle comunità e ovunque ci sia necessità.
Sono grata di tutto questo e di vedere che oggi lui non si dimentica di chi ha bisogno e di chi era come lui.
Nonostante tutto quello che abbiamo passato, Lauro ha riconosciuto quel faro e ha imparato l’unica cosa che conta realmente: l’importanza di amare e il bisogno di tutti noi di essere amati.
Se quei ragazzi non avessero conosciuto l’amore, incluso mio figlio, forse si sarebbero persi in cerca di quell’amore che non avrebbero mai trovato
”.
Mamma


Questa è “Incoscienti Giovani” raccontata da chi l’ha vissuta, stasera dal mio più grande amore:
Quando ho conosciuto Lauro era un adolescente magrolino, con i capelli sempre rasati corti e il viso scavato.
Eravamo molto giovani quando ci siamo innamorati.

Io vivevo da sola con mia madre, e lui veniva spesso da noi.
Lo abbiamo aiutato tanto quando era solo, per mia madre era come un figlio.
Aveva questa ossessione per la scrittura, come se fosse l’unico modo per dare un senso a tutto ciò che lo circondava e , probabilmente, scrivere lo aiutava anche a metabolizzare la situazione che viveva.
Lauro ha sempre cercato di nascondere i suoi traumi. Li tiene dentro. É forse per questo che scrive canzoni. Ha imparato a soffrire in silenzio.
Io lo capivo.
Anche io e mia madre eravamo rimaste sole.
Mio padre l’ha sempre umiliata, fino al giorno in cui se ne è andato.
Lui non ha mai saputo cosa significasse davvero stare insieme.
Lui non conosce l’amore.
Anche in quegli anni senza casa, Lauro non mi ha mai chiesto aiuto. Si vergognava. Dormiva dove capitava:
Ricordo quell’hotel fatiscente a una stella a Boccea, che odiava, e quella vecchia Peugeot 206 grigia.
Ricordo che mentiva, pur di non pesare su di me e su i suoi amici.
A notte tarda, quando tutti rientravano, lui diceva:
“Tranquilli, sto da un amico.”
Ma poi finiva a dormire in macchina nascosto in qualche parcheggio.
Non scorderò mai quello che è stata la nostra adolescenza incosciente
e sarò sempre innamorata di quel ragazzino sognatore.
Nonostante fosse un ragazzo difficile, chi riusciva a superare lo scoglio scopriva una sensibilità preziosa.
Forse proprio quella che ancora oggi riesce a mettere in quelle canzoni che parlano ancora di noi, Come questa
”.
Il tuo più grande amore, S.