Giorgio Giorgetti il giornalista Personal Chef. Intervista
- di Nicola Di DioNon un personal chef qualsiasi, ma un giornalista chef che crea menù personalizzati in un modo unico e speciale: basandosi sulle storie di vita dei suoi clienti e individuando i loro desideri in cucina con una speciale intervista.
Giorgio Giorgetti è un giornalista che, a 52 anni, ha scelto di cambiare la sua vita e trasformare la passione per i fornelli in un lavoro: è diventato chef a domicilio, animando le cucine di tante famiglie tra Milano, Varese, Como, Lecco, Verbano Cusio Ossola e Canton Ticino e si è raccontato alle nostre pagine.
Giorgio, tu crei il menù in base alla storia delle persone. Con quale criteri componi il menù dei tuoi clienti?
«É una scelta di piatti, di preferenze dal punto di vista dei gusti. Ognuno di noi ha una storia del proprio gusto, tua madre ti ha educato attraverso l'abitudine, attraverso la tradizione del paese dove abitavi. Ci sono dei sapori, dei gusti che si sono fissati nei cromosomi, per questo tu sei molto diverso da me, per il semplice fatto che la tua storia è diversa dalla mia, non abbiamo avuto la stessa madre, non abbiamo abitato nello stesso paese, probabilmente siamo di due zone d'Italia completamente diverse, quindi, ciò hanno formato una base tutta tua che riguarda proprio la tua storia del gusto. A una certa età, tu cominci ad avere delle preferenze, che possono essere preferenze inconscie, magari ti senti attirato da alcune cose, ma non stai li a pensarci, mangi quello che ti piace e scarti il resto. Più vai avanti con la vita e più le tue esperienze aumentano perchè viaggi, conosci e impari. A un certo punto arriviamo ad avere un'identità gustativa che è diversa da qualsiasi altra persona. Un'identità che viene sminuita quando è costretta a scegliere in una lista di piatti come fai al ristorante. Quando ho iniziato a fare il Personal Chef ho pensato che questa fosse la chiave di volta della mia professione, cioè scardinare questa scelta obbligata e permettere attraverso interviste, attraverso domande e attraverso piccoli sondaggi di capire qual è l'impronta gustativa di una persona, in modo da creare insieme un menù che sia proprio il suo, che non sia quello che prendi tu o lo stesso che prendo io, con dei piatti costruiti ad hoc per lui».
Come inizia la tua ricerca dei piatti giusti per i tuoi clienti?
«Parto sempre inviando un grande elenco di piatti dall'antipasto ai dessert e chiedo di segnare quelli che il cliente preferisce. Quello che ne esce fuori è l'indicazione di quei piatti che, in quel momento della vita, lo stanno attirando di più. A volte capita che evidenzino il pesce crudo, pur non essendo mai andati in un ristorante giapponese, però la cosa lo attira in qualche modo. Attraverso queste indicazioni costruisco dei menù per i miei clienti. Se uno sceglie una tartare di gamberi, io faccio altre proposte che prevedono del pesce crudo, cosa che poi mi permette di capire se la persona ama tutto il pesce crudo oppure solamente una parte di questa cosa oppure ha scritto questa cosa in quel momento, ma in realtà non la voleva davvero. É una costruzione abbastanza lenta, perché ci vuole una certa partecipazione da parte del cliente. A volte capitano clienti che scelgono solo dalla lista, altre volte sono un po' presi dal gioco perchè anche per loro è un modo per scoprirsi».
Quale tipologia di domande proproni ai tuoi clienti?
«Dopo aver inviato la lista, le mie domande partono sempre dalla persona. Una volta un cliente mi disse che sembrano domande degli astrologi (ride), del tipo «Qual è il tuo colore preferito?», «Qual è il tuo profumo preferito?». Persone che scelgono il verde, che scelgono profumi floreali hanno un modo di porsi davanti al cibo in modo diverso rispetto a quelli a cui piace un profumo speziato oppure preferiscono colori intesi come il rosso e il blu, queste sono persone che cercano cibi più complessi. Chi ha l'idea di un profumo floreale, del colore verde, giallo, un colore luminoso è sempre indirizzato verso cibi più freschi, più semplici, non banali, ma ha la voglia di sentire dei sapori genuini, reali. Una persona che ama particolarmente un profumo agrumato, floreale, fruttato, ha una particolare simpatia per i colori accesi scelgono piatti semplici, una tartare, pesce crudo o pesce o carne cotti in maniera molto veloce e semplice. Persone più complesse, che amano i sapori più speziati preferiscono piatti più complessi. Ricordo, ad esempio, una signora che faceva la psicologa che, per il suo compleanno, aveva scelto polenta e brasato, se fosse andata in trattoria avrebbe speso meno (ride). Le domande non sono solo astrologiche, ma cerco di capire anche come sono cresciuti, chiedo della loro infanzia, dico di chiudere gli occhi e dirmi il primo cibo che gli viene in mente di quando erano bambini, a volte mi dicono Nutella, a volte le zucchine allo scapece che mi faceva mia mamma. Da lì si va avanti, io cerco di togliere i cibi obbligati della giornata, cioè quelli che mangiamo per sopravvivere, magari perchè a pranzo siamo fuori per lavoro o a cena siamo stanchi di cucinare, chi cucina per noi magari ha meno voglia di noi di cucinare e cerco di arrivare al nocciolo di quello che vorresti mangiare. C'è gente che è molto curiosa, ma a volte il nuovo spaventa. Mi capitano spesso persone che si rifugiano in qualcosa di confortevole, in qualcosa che conoscono molto bene, il lato B di questa intervista è che le persone tirano fuori un lato confortante del cibo che magari non pensavano neanche di avere. C'è gente che ti dice di voler provare qualcosa di nuovo, ma poi vogliono ritrovarsi in sapori confortanti, perchè magari sono i sapori dell'infanzia, con i quali ha più confidenza».
A volte magari vuoi provare un piatto nuovo, ma non è detto che alla fine ti piaccia, anche se è giusto assaggiare prima di giudicare un piatto. Restare nella tua zona comfort, prendendo sempre lo stesso piatto, ti preclude la conoscenza di altri sapori...
«Sì, sono d'accordo con te, io sono uno che vende e, quindi, il mio cliente ha sempre ragione, fino a un certo punto. Ho clienti che sono molto contenti di essere intervistati, di scoprire cose nuove. Proprio l'altro giorno una cliente mi diceva: “Sai volevamo che venissi qui a cucinare a casa nostra per preparare una paella” , l'ho guardata e ho detto "Ma la paella la mangi sempre!" (ride). I miei colleghi non fanno la stessa cosa, perchè è onerosa sia dal punto di vista economico sia dal punto di vista del tempo. Tutti i miei colleghi hanno il loro menù e si comportano come in un ristorante, ti propongono due o tre menù ti dicono che puoi cambiare qualche piatto, però le scelte sono queste. Quello che faccio è tirar fuori dei piatti che, a volte, neanche io ho mai cucinato nella mia vita. É successo con una signora che mi dice “Sai io guardo Gordon Ramsey alla televisione e voglio il filetto alla Wellington"».
Beh il filetto alla Wellington è un must di Gordon Ramsey...
«Esatto, ad Hell's Kitchen e mi ha detto che avrebbe voluto mangiarlo, però non lo avevo mai cucinato, e allora mi sono messo lì a fare prove su prove, fino a quando non mi è venuto bene».
Tu nasci come giornalista, ma la passione per la cucina l'hai sempre avuta. Ma di preciso, quando hai detto basta metto la penna nel cassetto e tiro fuori i coltelli?
«Sono tutt'ora giornalista, perchè non sono riuscito ad appendere la penna al chiodo. A 52 anni lavoravo per una rivista che si chiamava “Partiamo”, ci conoscevamo non benissimo ma abbastanza, facemmo un patto tra gentiluomini, quelli che non si dovrebbero mai fare nel mondo del lavoro. Avrei dovuto scrivere tutti i mesi 20 pagine della rivista a fronte di un tot. Passavano i mesi e questa gente non pagava, allora iniziai a chiamare e sollecitare il pagamento. Dopo sei mesi di lavoro mi arrivò questo bonifico di € 150,00 ed io rimasi impietrito, ma non potevo fare niente perchè non c'era niente di scritto. Ci rimasi talmemte male, non potendo fare niente essendo tutto a voce. Quel giorno presi la matita e un pezzo di carta e mi misi a scrivere tutto quello che sapevo fare, perchè volevo trovare la via d'uscita a questa situazione. E allora vidi che la cosa che avevo più coltivato nella vita era prorpio la passione per la cucina. Avevo preso un diploma da sommelier professionista, avevo fatto degli stage, dei corsi di cucina. Mi misi allora a cercare su internet e trovai quest'associazione che si chiama FIPPC -Federazione Italiana Professional Personal Chef - e li contattai immediatamente. Feci il corso a Milano anche se loro hanno la sede in Puglia. Poi con loro ho approfondito i rapporti. L'illuminazione, quindi, è arrivata da questa grande rabbia».
Sei un Personal Chef e mi incuriosisce chiederti, se tu fossi un piatto che piatto saresti?
«Hai fatto una domanda splendida secondo me. Se fossi un piatto vorrei essere il piatto più semplice, una caprese, mozzarella di bufala, un buon pomodro estivo con un goccio d'olio fantastico e una foglia di basilico. Perchè è il contrario di me (ride), credo di essere una persona complicata, piena di pensieri. Quando cucino cerco sempre la semplicità assoluta, la materia prima migliore, la manipolazione minore possibile, cottura a temperature basse. Quando i clienti mi chiedono una tartare di gamberi rossi, io sono felicissimo perchè vado a cercare il gambero rosso più bello che riesco a trovare, trovo l'olio migliore, il sale migliore».
Io il gambero rosso l'ho preparato con una spuma di mozzarella di bufala aromatizzata al lime e pepe e con dei carciofi. Il gambero rosso lo ho appena scottato...
«Già, però il tuo piatto è complicato (ride)».
Il piatto semplice però nasconde delle insidie proprio nel bilanciamento dei sapori...
«Bravo, hai perfettamente ragione, è il piatto semplice quello più difficile, perchè quando ti arriva nella sua semplicità di colpisce».